Le donne sane in menopausa, portatrici di un noto fattore di rischio genetico per l'Alzheimer, mostrano segni misurabili di invecchiamento biologico accelerato, secondo i risultati di un nuovo studio.
Tuttavia i ricercatori riferiscono che le portatrici che hanno iniziato la terapia ormonale in menopausa ed l'hanno mantenuta, non mostrano questa accelerazione. La terapia ormonale per le non-portatrici del fattore di rischio, una variante di gene chiamato ApoE4, non ha effetto protettivo sul loro invecchiamento biologico.
"Questo dimostra che l'ApoE4 contribuisce all'invecchiamento a livello cellulare ben prima che si manifestino i sintomi esteriori del declino", scrive Natalie Rasgon (foto), MD, PhD, professoressa di psichiatria e scienze comportamentali alla School of Medicine della Stanford University e direttrice del Center for Neuroscience in Women's Health della Stanford. "Eppure gli estrogeni sembrano avere un effetto protettivo per le donne di mezza età che portano questo fattore genetico di rischio".
Tutte le persone hanno due copie di un gene chiamato ApoE (una copia da ciascun genitore). Come i geni per il colore dei capelli o degli occhi, l'ApoE è disponibile in più di una versione. Circa il 15/20 per cento degli americani ha almeno una copia di ApoE4, una versione che dà loro un rischio notevolmente maggiore di Alzheimer a tarda insorgenza, rispetto alle persone che non hanno l'apoE4.
La Rasgon è l'autrice principale di uno studio, pubblicato online il 13 febbraio su PLoS ONE, che ha coinvolto 70 donne, relativamente ben istruite, ad alto funzionamento. La prima autrice Emily Jacobs, PhD, è post-dottorato della Harvard Medical School. Al tempo dello studio la Jacobs era associata al laboratorio di un'altra coautrice dello studio, Elissa Epel, PhD, professore associato di psichiatria alla University of California di San Francisco. "Sappiamo da numerosi studi che l'ApoE4 è un importante fattore di rischio genetico per il declino cognitivo, l'Alzheimer e la mortalità precoce", scrive la Jacobs. "Volevamo vedere se questo rischio potesse spiegare il tasso accelerato di invecchiamento biologico".
Un'altra co-autrice dello studio è Elizabeth Blackburn, PhD, professore di biochimica e biofisica alla UCSF, che ha vinto il premio Nobel nel 2009 per il suo lavoro che ha chiarito il meccanismo attraverso il quale le caratteristiche intracellulari chiamate telomeri agiscono come orologi biologici. I telomeri sono sequenze ripetute di unità chimiche di DNA alternate che sovrastano le estremità di ciascun cromosoma di ogni cellula di tutti gli esseri viventi, dai funghi agli esseri umani. La loro funzione è analoga a quella dei fermi di plastica che fissano le estremità di una stringa da scarpe: stabilizzano i cromosomi, impedendo loro di svelarsi e prevengono anche altri danni.
Ma i telomeri stessi non sono perfettamente stabili. Il processo di divisione cellulare, così come gli attacchi dello stress ossidativo o dell'infiammazione, li fanno accorciare. Se raggiungono il punto da pregiudicare l'integrità cromosomica, potrebbe insorgere il cancro o altri malfunzionamenti nella cellula dove sono ospitati i cromosomi colpiti. L'evoluzione ha progettato meccanismi protettivi, per i quali le cellule muoiono o quantomeno perdono la capacità di dividersi ulteriormente. Ma questo freno di emergenza evolutivo ha il suo lato negativo: contribuisce al deterioramento lento ma costante che si manifesta visibilmente nell'invecchiamento della pelle e, meno visibile, di tutti gli altri organi del corpo.
Usando l'accorciamento dei telomeri come indice di invecchiamento biologico, i ricercatori hanno raccolto campioni di sangue da quasi 70 donne in buona salute, la maggior parte delle quali di età compresa tra 45 e 65 anni, che erano in terapia ormonale dalla menopausa. Queste donne sono state divise casualmente in due gruppi. Un gruppo è rimasto con gli ormoni, mentre il secondo gruppo ha interrotto la terapia.
All'inizo dello studio e di nuovo dopo due anni, sono stati presi campioni di sangue dalle volontarie. Jacobs, Rasgon e i loro colleghi hanno separato i globuli bianchi di ogni campione, hanno estratto il DNA delle cellule e hanno misurato la lunghezza dei telomeri di ogni donna in entrambi i momenti. Hanno poi calcolato la variazione di lunghezza dei telomeri, intervenuta nei due anni. "La lunghezza dei telomeri è relativamente facile da misurare nelle cellule del sangue, ed è un marcatore emergente di invecchiamento biologico", scrive la Jacobs. "Esso prevede l'incidenza di malattie legate all'età e la mortalità".
Tra le molte altre valutazioni fatte su queste donne dai ricercatori c'è lo stato del loro ApoE. Hanno scoperto che i telomeri delle portatrici di APOE4 avevano una probabilità sei volte maggiore, di quelli delle non-portatrici, di subire un accorciamento significativo nella finestra di due anni dello studio. In media, i telomeri delle portatrici di apoE4 si erano accorciate di un valore equivalente a quello che ci si potrebbe aspettare in un decennio, in base ad altri studi su donne sane.
Tuttavia, la terapia ormonale ha efficacemente azzerato l'influenza negativa dell'ApoE4 sulla lunghezza dei telomeri nel corso del tempo. Le portatrici che sono rimaste in questo regime non hanno mostrato alcuna evidenza di accorciamento dei telomeri. "I risultati importanti di questo studio sono, in primo luogo, che le portatrici di APOE4 hanno un rischio maggiore di invecchiamento biologico, che è associato a esiti negativi per la salute e, secondo che, se si è un portatore di ApoE4 in post-menopausa, la terapia estrogenica è positiva per la lunghezza dei telomeri, una misura stabilita dell'invecchiamento biologico a livello cellulare", scrive la Rasgon. "Questo ci porta un passo più vicino ad identificare le donne che trarranno i maggiori nbenefici dalla terapia estrogenica sostitutiva".
Nel 2002, il segmento di un grande studio longitudinale che esaminava la terapia ormonale sulle donne è stato interrotto a causa di un aumento inatteso di eventi cardiovascolari avversi tra le donne in terapia. La pubblicità conseguente ha portato frotte di donne ad abbandonare il regime. Ma i soggetti dello studio tra i quali si sono verificati questi effetti negativi erano donne che avevano iniziato il trattamento estrogeno anni dopo aver raggiunto la menopausa. Studi successivi hanno dimostrato che le donne che iniziano il trattamento in menopausa o subito dopo, possono sperimentare qualche beneficio.
La Rasgon rileva che, oltre alla tempistica e allo stato dell'ApoE, il tipo di formulazione estrogena usata può rivelarsi un importante determinante dell'impatto sulla salute della terapia ormonale. Ha detto che prevede di pubblicare presto un altro lavoro riguardo gli effetti differenziali delle diverse formulazioni.
Heather Kenna, studente laureato della Rasgon, è un altro co-autore dalla Stanford dello studio, che è stato finanziato dal National Institutes of Health e dall'Health and Society Scholars Program della Robert Wood Johnson Foundation.
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Fonte: Materiale dello Stanford University Medical Center. Articolo originale scritto da Bruce Goldman.
Riferimento: Emily G. Jacobs, Candyce Kroenke, Jue Lin, Elissa S. Epel, Heather A. Kenna, Elizabeth H. Blackburn, Natalie L. Rasgon. Accelerated Cell Aging in Female APOE-ε4 Carriers: Implications for Hormone Therapy Use. PLoS ONE, 2013; 8 (2): e54713 DOI: 10.1371/journal.pone.0054713.
Pubblicato in Science Daily il 13 Febbraio 2013 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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