Il collegamento tra sonno scadente, perdita di memoria e deterioramento del cervello quando si invecchia è stato finora deludente. Ma per la prima volta, gli scienziati della University of California di Berkeley hanno trovato un legame tra questi mali caratteristici della vecchiaia.
La loro scoperta apre la porta al miglioramento della qualità del sonno nelle persone anziane per migliorare la memoria. Il ricercatore Bryce Mander, dimostra come è stato condotto lo studio del sonno.
I neuroscienziati dell'UC Berkeley hanno scoperto che le onde cerebrali lente generate durante il sonno profondo e ristoratore che sperimentiamo di solito in gioventù, hanno un ruolo chiave nel trasporto dei ricordi dall'ippocampo (che trattiene i ricordi di breve termine) alla corteccia prefrontale, sede della memoria di lungo termine.
Tuttavia i risultati suggeriscono che negli anziani i ricordi possono rimanere bloccati nell'ippocampo a causa della scarsa qualità del sonno profondo a 'onde lente', e vengono quindi sovrascritti da nuovi ricordi.
"Abbiamo scoperto un percorso disfunzionale che aiuta a spiegare la relazione tra il deterioramento del cervello, i disturbi del sonno e la perdita di memoria quando invecchiamo - e con ciò, una strada di trattamento potenzialmente nuova", dice Matthew Walker, ricercatore del sonno, professore associato di psicologia e neuroscienze alla UC Berkeley e autore senior dello studio, pubblicato il 27 Gennaio sulla rivista Nature Neuroscience.
I risultati gettano nuova luce su alcune dimenticanze comuni degli anziani, comprese le difficoltà a ricordare i nomi delle persone. "Quando siamo giovani, abbiamo un sonno profondo che aiuta il cervello a immagazzinare e mantenere nuovi fatti e informazioni", dice Walker. "Ma invecchiando, la qualità del sonno si deteriora e impedisce ai ricordi di essere salvati dal cervello di notte".
Gli adulti sani passano un quarto della notte nel sonno profondo, senza rapidi movimenti oculari (REM). Le onde lente sono generate dal lobo medio frontale del cervello. Lo studio ha rilevato che il deterioramento di questa regione frontale del cervello delle persone anziane è legato alla loro incapacità di generare un sonno profondo.
La scoperta che le onde lente del cervello frontale contribuiscono a rafforzare la memoria apre la strada a trattamenti terapeutici per la perdita di memoria negli anziani, come ad esempio la stimolazione transcranica con corrente continua o con rimedi farmaceutici. Per esempio, in uno studio recente, neuroscienziati in Germania hanno usato con successo la stimolazione elettrica del cervello nei giovani adulti per migliorare il sonno profondo, raddoppiando la loro memoria durante la notte.
I ricercatori della UC Berkeley condurranno un simile studio sul miglioramento del sonno negli anziani, per vedere se si riesce a migliorare la loro memoria durante la notte. "Possiamo indurre le onde lente aiutando le persone a ricordare meglio la loro vita e i ricordi? E' una possibilità interessante", ha dichiarato Bryce Mander, un borsista post-dottorato in psicologia all'Università di Berkeley e autore principale di questo studio recente.
Per lo studio della UC Berkeley, Mander e i colleghi ricercatori, hanno testato la memoria di 18 giovani adulti sani (per lo più tra 20 e 30 anni) e 15 anziani sani (tra 70 e 80 anni) dopo una intera notte di sonno. Prima di andare a letto, i partecipanti hanno imparato, e sono stati testati su, 120 set di parole che mettevano alla prova la loro memoria. Mentre dormivano, una macchina per elettroencefalogramma (EEG) misurava l'attività delle onde cerebrali. La mattina dopo, sono stati testati nuovamente sulle coppie di parole, ma questa volta con scansioni via risonanza magnetica funzionale e strutturale (fMRI).
Negli anziani, i risultati hanno mostrato un chiaro legame tra il grado di deterioramento cerebrale nel lobo medio frontale e la gravità della compromissione dell' "attività ad onde lente", durante il sonno. In media, la qualità del loro sonno profondo è stata del 75 per cento inferiore a quella dei partecipanti più giovani, e il loro ricordo delle coppie di parole il giorno dopo era peggiore del 55 per cento.
Al contrario, nei giovani adulti le scansioni cerebrali hanno dimostrato che il sonno profondo aveva contribuito efficacemente a spostare il loro ricordi dal deposito a breve termine dell'ippocampo alla conservazione a lungo termine della corteccia prefrontale.
Co-autori dello studio sono William Jagust, Vikram Rao, Jared Saletin e John Lindquist della UC Berkeley; Brandon Lu del California Pacific Medical Center e Sonia Ancoli-Israel della UC San Diego. La ricerca è stata finanziata dal National Institute of Aging dei National Institutes of Health.
***********************
Cosa pensi di questo articolo? Ti è stato utile? Hai rilievi, riserve, integrazioni? Conosci casi o ti è successo qualcosa che lo conferma? o lo smentisce? Puoi usare il modulo dei commenti qui sotto per dire la tua opinione. Che è importante e unica.
***********************
Fonte: Materiale della University of California - Berkeley. Articolo originale scritto da Yasmin Anwar.
Riferimento: Bryce A Mander, Vikram Rao, Brandon Lu, Jared M Saletin, John R Lindquist, Sonia Ancoli-Israel, William Jagust, Matthew P Walker. Prefrontal atrophy, disrupted NREM slow waves and impaired hippocampal-dependent memory in aging. Nature Neuroscience, 2013; DOI: 10.1038/nn.3324.
Pubblicato in Science Daily il 27 Gennaio 2013 - Traduzione di Franco Pellizzari.
Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi citati nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.
Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non dipende da, nè impegna l'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X. I siti terzi raggiungibili da eventuali links contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari proposti da Google sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.
Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.
Sostieni l'Associazione; una donazione, anche minima, ci aiuterà ad assistere malati e famiglie e continuare ad informarti. Clicca qui a destra: |