Un team internazionale di ricercatori della Medical School della University of Massachusetts, dell'Università di Bonn e del Center for Advanced European Studies and Research in Germania ha dimostrato che un noto processo immunitario e infiammatorio ha un ruolo importante nella patologia dell'Alzheimer. Questo processo, che risulta nella produzione completa della citochina pro-infiammatoria interleuchina-1 beta (IL-1B), ed è coinvolto nella difesa dell'organismo dall'infezione, è stato anche individuato come obiettivo clinico per l'artrite reumatoide.
La scoperta, pubblicata in Nature, punta alla possibilità che i farmaci che interrompono la produzione di IL-1B (grafica Wikipedia a sinistra), come quelli per l'artrite reumatoide, possano rivelarsi utile anche per i pazienti con Alzheimer.
"Questa scoperta rappresenta un importante nuovo obiettivo clinico per i pazienti di Alzheimer", ha detto Douglas T. Golenbock, MD, direttore del reparto malattie infettive e immunologia e professore di medicina e di microbiologia e sistemi fisiologici. "Sappiamo da anni che le placche associate all'Alzheimer sono circondati dalle microglia, le cellule immunitarie residenti del sistema nervoso centrale. Quello che non sapevamo era se l'infiammazione ha un ruolo, e quale, nella progressione della malattia. Con questo collegamento abbiamo un nuovo percorso per identificare e potenzialmente attaccare questa malattia orribile".
Come forma più comune di demenza, l'Alzheimer è una malattia neurologica degenerativa che porta alla perdita di memoria, compromissione della funzione cognitiva, e infine alla morte. Entro il 2050 si prevede che 1 persona ogni 85 soffrirà di Alzheimer per il quale non ci sono trattamenti disponibili. Una componente fisiologica chiave dell'Alzheimer è la presenza di placche extracellulari, composte principalmente di peptidi amiloide-beta, che si aggregano nel cervello. Queste placche sono ritenute tossiche e la principale causa della morte dei neuroni vicini e della perdita di materiale corticale. L'ippocampo, che ha un ruolo importante nella memoria a breve termine, è una delle prime regioni del cervello a subire danni da Alzheimer.
Golenbock e colleghi avevano stabilito in precedenti studi che i neuroni in colture cellulari muoiono dopo che le cellule microglia vicine, la principale forma di difesa attiva immunitaria nel cervello e nel midollo spinale, sono esposte alle fibrille di amiloide-beta, come ad esempio quelle che si trovano nelle placche di Alzheimer. In genere, le microglia sono responsabili della rimozione delle placche, dei neuroni danneggiati e degli agenti infettivi del sistema nervoso centrale. Però il peptide amiloide-beta genera infiammazione nel sistema nervoso centrale inducendo le microglia a produrre composti neurotossici, quali le citochine. Come questo processo sia attivato nei pazienti di Alzheimer, però, non era chiaro.
Lavori precedenti svolti in laboratorio di Golenbock hanno dimostrato che il peptide beta amiloide potrebbe indurre la produzione di IL-1B attivando un recettore multi-proteico nelle cellule microgliali noto come inflammasome NLRP3. A causa della sua capacità di rilevare il peptide beta amiloide, l'inflammasome NLRP3 è stato implicato in varie malattie infiammatorie croniche, comprese gotta e asbestosi. Esaminando campioni di tessuto di Alzheimer, gli scienziati hanno scoperto che "ognuno dei campioni di cellule conteneva maggiori prove di attivazione di inflammasomes, suggerendo con forza che stavano producendo IL-1B", ha detto Golenbock. "Presi insieme ai nostri studi precedenti, anche questo indica con forza il ruolo del NLRP3 e della caspasi-1 nella produzione di IL-1B che porta alla progressione dell'Alzheimer", ha detto Golenbock.
Per valutare l'impatto preciso del NLRP3 e della caspasi-1 sull'Alzheimer in un organismo, i ricercatori hanno registrato le funzioni cognitive e di memoria in modelli di topo che esprimono i geni associati all'Alzheimer famigliare, ma che erano carenti in NLRP3 o caspasi-1, e li hanno confrontati con topi di Alzheimer con sistema immunitario altrimenti intatto. Quando i ricercatori hanno eseguito il test di richiamo dei ricordi nei topi di Alzheimer carenti di NLRP3 o caspasi-1, hanno trovato che gli animali hanno esibito un richiamo dei ricordi di gran lunga migliore e sembravano al riparo dalla perdita di memoria. Al contrario i topi di Alzheimer che esprimevano NLRP3 e caspasi-1 a livelli normali hanno mostrato sintomi compatibili con l'Alzheimer.
Un esame successivo ha rivelato che i topi carenti di NLRP3 e caspasi-1 avevano una diminuzione di placche amiloidi-beta e una capacità maggiore delle microglia di rimuovere le fibrille di amiloide-beta dal cervello. Si è anche scoperto che i livelli di IL-1 attivati nei topi carenti di NLRP3 e caspasi-1 erano ridotti rispetto alle controparti che avevano i sintomi. A causa del deficit di NLRP3 e caspasi-1, questi topi producevano meno IL-1. Questi deficit sembrano promuovere la formazione di un fenotipo cellulare di microglia più capace di metabolizzare e rimuovere le placche di Alzheimer dal sistema nervoso centrale.
"Questi risultati suggeriscono che l'eliminazione di NLRP3, caspasi-1 o IL-1B mature, può rappresentare un intervento terapeutico per l'Alzheimer", ha detto Golenbock. "E' possibile che farmaci che blocco il NLRP3 o l'IL-1B (compresi alcuni che sono già in studi clinici o sul mercato) potrebbero dare qualche beneficio", ha detto Golenbock. "La parte critica, però, è quanta produzione di NLRP3 o IL-1B possono interrompere questi farmaci", ha detto Golenbock. "Credo che non sia sufficiente bloccare solo il 90 per cento, ma probabilmente dovrà essere vicino al 100 per cento".
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Fonte: Materiale della University of Massachusetts Medical School, via EurekAlert!, a service of AAAS.
Riferimento:Michael T. Heneka, Markus P. Kummer, Andrea Stutz, Andrea Delekate, Stephanie Schwartz, Ana Vieira-Saecker, Angelika Griep, Daisy Axt, Anita Remus, Te-Chen Tzeng, Ellen Gelpi, Annett Halle, Martin Korte, Eicke Latz, Douglas T. Golenbock. NLRP3 is activated in Alzheimer's disease and contributes to pathology in APP/PS1 mice. Nature, 2012; DOI: 10.1038/nature11729.
Pubblicato in ScienceDaily il 19 Dicembre 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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