A prima vista, la ricerca sulla demenza può sembrare a un punto morto, con tutti gli studi clinici falliti, farmaco dopo farmaco, e la causa ultima del morbo di Alzheimer (MA) e delle malattie correlate che rimane più elusiva che mai.
Mancano ancora medicine che possono anche solo rallentare lo sviluppo della demenza, per non parlare di fermarla o invertirla, eppure David Reynolds, che segue da vicino il campo dalla sua posizione di capo scienziato dell'associazione Alzheimer's Research UK, sembra ottimista: "Stiamo comprendendo sempre più in dettaglio ciò che sta accadendo in queste malattie", dice. "Stiamo iniziando a utilizzare le informazioni per sviluppare nuovi trattamenti".
La caratteristica più ovvia del MA è che delle proteine deformi pericolose si accumulano nel cervello, mentre l'organo stesso si ritira man mano che i suoi neuroni muoiono. Allo stesso tempo, diminuiscono gradualmente le capacità cognitive del paziente, con progressiva perdita di memoria, confusione e cambiamento di personalità. Gli scienziati stanno ora cercando di districare la complessa rete di causa ed effetto che dà origine al MA e, con diversa biochimica, ad altre forme di demenza.
Due proteine in particolare si accumulano nel cervello con MA: 'placche amiloidi' e 'grovigli tau'. Le placche di amiloide hanno ricevuto la massima attenzione da parte degli scienziati e degli sviluppatori di farmaci. Questi depositi appiccicosi sono il risultato finale di un processo biologico che inizia con una molecola chiamata 'proteina precursore dell'amiloide' (APP) che è presente in tutti i neuroni sani.
Il cosiddetto 'percorso amiloide' coinvolge enzimi che tagliano l'APP in frammenti chiamati amiloide-beta (aBeta), che si accumulano in placche insolubili. Sebbene il percorso amiloide sia ampiamente considerato un segno distintivo del MA, non conduce inevitabilmente alla demenza.
Lo studio 90+ dell'Università della California di Irvine, ha arruolato 1.600 persone over-90, che hanno accettato di sottoporsi a una valutazione cognitiva in vita e di donare il cervello per l'analisi dopo la morte. Circa un terzo dei partecipanti ha la demenza, un terzo ha una perdita cognitiva e un terzo "conserva eccellenti capacità cognitive e motorie", afferma Claudia Kawas, leader dello studio 90+. "Quando abbiamo fatto l'autopsia sul cervello dei nostri individui non dementi, abbiamo scoperto che il 40% aveva la patologia piena di MA", aggiunge.
In altre parole, molti anziani hanno un cervello pieno di placche e grovigli, senza soffrire di demenza. Al contrario, un terzo degli over-90 con demenza non accumula amiloide o tau, ma soffre di una grave perdita di cellule nella parte del cervello chiamata ippocampo.
Il determinante genetico chiave per determinare se l'accumulo di amiloide causa il MA è un gene chiamato ApoE che produce proteine coinvolte nel metabolismo dei grassi. Una variante comune chiamata ApoE-2 protegge dalla demenza anche le persone il cui cervello è pieno di amiloide, dice la prof.ssa Kawas, mentre quelli con il gene ApoE-4 sono quasi certi di sviluppare la demenza quando si formano le placche amiloidi.
Uno degli argomenti più scottanti nella ricerca sulla demenza è il sistema immunitario. Si stanno accumulando evidenze che l'infiammazione, associata a una risposta immunitaria squilibrata, contribuisce al MA. L'ultimo studio, pubblicato il mese scorso da ricercatori delle università di Southampton e Oxford, ha concluso che le persone che hanno assunto farmaci anti-infiammatori per l'artrite hanno un rischio ridotto della metà di sviluppare la demenza.
L'Alzheimer's Society della GB sta finanziando uno studio clinico controllato di farmaci anti-infiammatori per l'artrite chiamati inibitori del TNF-alfa. "È fondamentale capire se i farmaci sviluppati per altre patologie hanno benefici anche per la demenza, poiché potrebbe rendere molto più rapido l'acquisto di nuovi farmaci alle persone che ne hanno disperatamente bisogno", afferma James Pickett, responsabile della ricerca dell'Alzheimer's Society.
L'obiettivo a lungo termine è di progettare farmaci che modulano il sistema immunitario in modo specifico per combattere la demenza. Le microglia, le cellule immunitarie specializzate del cervello, saranno fondamentali.
Accanto allo sviluppo dei trattamenti contro la demenza, i ricercatori stanno lavorando a test diagnostici migliori, che potrebbero eventualmente trovare un posto nella pratica medica. Il miglior indicatore disponibile della patologia di MA è ancora l'accumulo della proteina aBeta nel cervello mentre le placche di amiloide si stanno ancora formando.
Le molecole più tossiche per le cellule cerebrali sembrano essere i cosiddetti oligomeri che si formano quando le molecole di aBeta si uniscono insieme, piuttosto che le placche dello stadio finale. Un approccio promettente allo sviluppo di farmaci è quello di impedire a questi oligomeri aBeta di formarsi all'inizio.
Le uniche tecniche ora disponibili per tracciare questa attività sono le scansioni del cervello PET (costose) e il test del liquido cerebrospinale (invasivo). Ma la tanto attesa prospettiva di un esame del sangue per la formazione di amiloide si è avvicinata il mese scorso quando un team di scienziati giapponesi ha pubblicato uno studio che ha dimostrato di riuscire a identificare con il 90% di accuratezza gli individui con depositi anomali di aBeta nel cervello.
"Questi dati sono molto promettenti e potrebbero essere incredibilmente utili in futuro", afferma la professoressa Tara Spires-Jones, specialista di demenza dell'Università di Edimburgo. Dal 2012 un obiettivo ampiamente condiviso è la disponibilità entro il 2025 del primo trattamento che modifica in modo sicuro il decorso del MA. Ciò è ancora ottenibile, afferma il dott. Reynolds, nonostante il lento sviluppo clinico implichi che questo farmaco dovrebbe già essere nelle prime fasi di test nei pazienti.
Non sarà una cura miracolosa - e potrebbe dover essere combinato con altri farmaci - ma una volta dimostrata la sua efficacia, questo prodotto pionieristico fornirà una base per un vero assalto farmaceutico alla demenza.
Fonte: Clive Cookson in Financial Times (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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