Ti sei mai chiesto cos'è che ti rende te stesso? Se tutti i tuoi ricordi dovessero svanire, la tua identità si dissolverebbe insieme a loro? Gli amici e la famiglia non ti vedrebbero più la stessa persona di prima? Per i 5,3 milioni di americani che soffrono di perdita di memoria dovuta al morbo di Alzheimer (MA), queste domande spaventose sono più che solo teoriche.
Fortunatamente, la scienza sembra suggerire che essere derubati della propria memoria non equivale a essere derubati della propria identità. Uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Science ha scoperto che 'chi è una persona' è in gran parte definito dal proprio comportamento morale, e non dalla propria capacità di memoria o da altre capacità cognitive.
Quindi, sebbene il MA e le altre malattie neurodegenerative possano avere un impatto potente sul funzionamento mentale degli individui, i sofferenti possono trovare conforto nel fatto che i deficit di memoria sostanziale, quando non accompagnati da cambiamenti nelle caratteristiche morali, sembrano non avere alcun effetto sul modo in cui gli altri percepiscono 'chi sei tu'.
Determinare i fattori che definiscono la propria identità è un vecchio problema filosofico che è stato considerato seriamente solo nel 17° secolo dal primo empirista britannico, John Locke. Secondo la 'teoria della memoria' di Locke, l'identità di una persona arriva solo fino alla sua memoria, che si estende nel passato. In altre parole, chi è una persona dipende in modo cruciale da ciò che ricorda. Quindi, quando la memoria di una persona comincia a scomparire, lo stesso vale per la sua identità.
Questa nozione di identità come memoria ha ricevuto un supporto sperimentale dalla ricerca psicologica. Uno studio del 2004 ha seguito i malati di MA e ha scoperto che coloro che avevano deterioramenti della memoria autobiografica (la conoscenza delle proprie esperienze ed eventi passati) sui test psicologici standard, mostravano cambiamenti nella forza e nella qualità dell'identità.
La forza dell'identità è stata misurata dal numero di dichiarazioni uniche fornite dal paziente in risposta alla domanda "Chi sono io?" mentre la qualità dell'identità è stata misurata dall'astrattezza delle risposte, cioè dalla mancanza di dettagli specifici. Questi risultati sembrano implicare che i ricordi autobiografici creano una continua narrazione in prima persona che aiuta a formare un senso di sé.
Tuttavia, altri scienziati non sono convinti della premessa di Locke, dal momento che alcuni teorizzano che l'identità più centrale è la capacità morale, una variabile per la quale questi studi precedenti non erano adeguatamente controllati. L'evidenza di questa idea viene dalla ricerca sulla cognizione sociale che ha scoperto che la formazione dell'impressione dipende in gran parte dalla dimensione morale.
In altre parole, il modo in cui vediamo le persone - che siano positive o negative, da avvicinare o evitare - è determinato principalmente dalla nostra valutazione del loro carattere morale, e non dal loro intelletto, conoscenza o altri tratti della personalità. Il concetto che la morale è essenziale per l'identità è giustamente noto come ipotesi 'auto-morale-essenziale'.
I ricercatori dell'Università dell'Arizona e di Yale hanno deciso di indagare questa ipotesi direttamente in una popolazione clinica del mondo reale. Il loro studio è stato progettato per testare quali tipi di danni cognitivi inducono le persone a non sembrare più se stesse agli altri. Un elemento cruciale del progetto era la verifica dei cambiamenti di identità dal punto di vista di un osservatore in terza persona, piuttosto che dell'individuo stesso.
Oltre a sottrarre molti dei problemi di affidabilità intrinseci ai valori in prima persona, concentrarsi sull'identità percepita ha permesso agli investigatori di valutare gli effetti della memoria e dei cambiamenti morali sulla relazione del paziente con gli altri. Questo è un aspetto estremamente importante perché quando qualcuno sembra essere 'non più la stessa persona', i legami sociali tra i pazienti, i propri cari o gli assistenti si deteriorano rapidamente. Questi legami sono fondamentali per il benessere e la salute di ognuno, in quanto sono la fonte della connessione che uno prova con le persone della sua vita e del mondo esterno.
Gli investigatori hanno reclutato 248 volontari con familiari che soffrivano di uno dei tre tipi di malattie neurodegenerative. I pazienti avevano il MA o la demenza frontotemporale o la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), ognuna delle quali è caratterizzata da cambiamenti cognitivi e comportamentali relativamente distinti.
Mentre la SLA colpisce principalmente la funzione motoria ma non quella mentale, sia il MA che la demenza frontotemporale influenzano la cognizione. Tuttavia, mentre il MA influisce fortemente su cose come la memoria e il QI, quelli con demenza frontotemporale tendono a subire cambiamenti nei tratti morali, cioè cose come onestà, compassione, decenza e integrità.
I partecipanti, la maggior parte dei quali erano sposati o romanticamente coinvolti con i pazienti, sono stati istruiti a indicare quanto il paziente era cambiato in 30 categorie di tratti, da quando la malattia ha avuto inizio; 15 erano legati alla moralità e gli altri 15 alla personalità. Per valutare il grado di cambiamento nell'identità percepita, ai partecipanti è stato chiesto di fornire informazioni su eventuali differenze nella loro relazione con il paziente che si erano verificate nel corso della progressione della malattia. Ad esempio, sono state poste domande come: "Il paziente ti sembra mai un estraneo?" e "Pensi di sapere ancora chi è il paziente?".
L'analisi dei dati ha rivelato che i partecipanti hanno percepito le più grandi rotture nell'identità dei pazienti quando hanno osservato i cambiamenti nei tratti morali. Altri deficit cognitivi - come quelli visti con l'amnesia - non avevano alcun effetto misurabile sulla percezione dell'identità. Di conseguenza, quelli con demenza frontotemporale hanno mostrato i più grandi cambiamenti nell'identità percepita, poiché incidono in modo specifico sulle funzioni del lobo frontale alla base del ragionamento e del comportamento morale.
È interessante notare che quelli con SLA non hanno mostrato cambiamenti significativi nell'identità percepita nonostante l'aspetto fisico distorto che deriva dal deterioramento diffuso della funzione motoria. Sebbene ci fosse un piccolo cambiamento nella percezione dell'identità in quelli con il MA, ciò era associato a cambiamenti nei tratti morali e non alla perdita di memoria.
Queste scoperte hanno importanti implicazioni per i pazienti con malattie neurodegenerative. Gli sforzi volti ad aiutare i malati a comprendere se stessi in termini di tratti morali - caratteristiche come l'altruismo, la misericordia e la generosità - possono ripristinare il loro senso di identità e controllo mentre la memoria si affievolisce o la cognizione diminuisce.
Sapere semplicemente che gli altri continuano a percepirli come la stessa persona, anche quando sentono che la propria identità sta cambiando, può consentire loro di proteggere in modo sicuro il loro senso di sé.
Inoltre, i risultati evidenziano la necessità di futuri interventi neurologici e terapie cliniche che si concentrino specificamente sul mantenimento delle facoltà cognitive coinvolte nella funzione morale di fronte alla malattia.
Fonte: Bobby Azarian PhD (neuroscienziato cognitivo) in Psychology Today (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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