Una ricerca eseguita alla Brigham Young University (BYU) di Provo nello Utah, pubblicata ieri su Genome Medicine, descrive un approccio nuovo e promettente nello sforzo di curare il morbo di Alzheimer (MA).
I professori della BYU Perry Ridge e John Kauwe hanno scoperto una variante genetica rara che fornisce un effetto protettivo alle persone ad alto rischio (gli anziani portatori di fattori noti di rischio genetico per l'MA) che non hanno mai contratto la malattia.
In altre parole, c'è una ragione specifica per cui le persone che dovrebbero ottenere l'MA rimangono in salute. Gli autori dello studio ritengono che questa funzione genetica possa essere mirata con farmaci, per aiutare a ridurre il rischio di contrarre la malattia.
"Invece di identificare le varianti genetiche che stanno causando la malattia, abbiamo voluto identificare varianti genetiche che proteggono le persone dal suo sviluppo", ha detto Ridge, assistente professore di biologia alla BYU. "E siamo riusciti a identificare una variante genetica promettente".
L'approccio precedente all'MA è stato generalmente efficace nel produrre un elenco di geni che potrebbero avere un impatto sul rischio della malattia, ma lascia i ricercatori senza dati sufficienti su cosa fare dopo. In questo nuovo approccio, Ridge e Kauwe sviluppano il meccanismo biologico mediante il quale una variante genetica influenza effettivamente l'MA.
Usando i dati dello Utah Population Database, che contiene 20 milioni di registrazioni di dati genealogici della Chiesa LDS (chiesa mormone) combinati con le cartelle cliniche storiche dello Utah, Ridge e Kauwe hanno identificato per prima cosa le famiglie che avevano un gran numero di individui resilienti: i portatori del principale fattore di rischio per l'MA (APOE4), ma erano rimasti in buona salute fino all'età avanzata.
Usando il sequenziamento dell'intero genoma e una metodologia di analisi del legame, hanno poi cercato il DNA che quelle persone resilienti condividevano con altre, ma non con i propri cari morti di MA. Hanno scoperto che i soggetti resilienti condividevano una variante del gene RAB10, al contrario di quelli che avevano avuto la malattia.
Una volta che i ricercatori hanno identificato la variante genetica potenzialmente protettiva, l'hanno sovra-espressa e sotto-espressa nelle cellule per vedere l'impatto sulle proteine correlate all'MA. Hanno capito che quando questo gene è ridotto nel nostro corpo, ha il potenziale di ridurre il rischio di MA.
"Al momento non ci sono interventi significativi per l'MA; nessuna prevenzione, nessuna terapia modificante, nessuna cura", ha detto Kauwe. "Le scoperte che riportiamo in questo manoscritto forniscono un nuovo obiettivo con un nuovo meccanismo che riteniamo abbia un grande potenziale per influenzare l'MA in futuro".
Fonte: Brigham Young University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Perry G. Ridge, Celeste M. Karch, Simon Hsu, Ivan Arano, Craig C. Teerlink, Mark T. W. Ebbert, Josue D. Gonzalez Murcia, James M. Farnham, Anna R. Damato, Mariet Allen, Xue Wang, Oscar Harari, Victoria M. Fernandez, Rita Guerreiro, Jose Bras, John Hardy, Ronald Munger, Maria Norton, Celeste Sassi, Andrew Singleton, Steven G. Younkin, Dennis W. Dickson, Todd E. Golde, Nathan D. Price, Nilüfer Ertekin-Taner, Carlos Cruchaga, Alison M. Goate, Christopher Corcoran, JoAnn Tschanz, Lisa A. Cannon-Albright, John S. K. Kauwe. Linkage, whole genome sequence, and biological data implicate variants in RAB10 in Alzheimer’s disease resilience. Genome Medicine, 2017; 9 (1) DOI: 10.1186/s13073-017-0486-1
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