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Farmaco migliora le funzioni cerebrali in certi casi che portano all'Alzheimer

Uno studio della Johns Hopkins University ha scoperto che un medicinale anti-epilettico già esistente migliora la memoria e le funzioni cerebrali negli adulti con una forma di deterioramento cognitivo che spesso porta alla piena malattia di Alzheimer.

La scoperta fa nascere la possibilità che i medici un giorno siano in grado di utilizzare il farmaco, ("levetiracetam"), già approvato per l'uso in pazienti con epilessia, per rallentare la perdita anormale di funzioni cerebrali in alcuni pazienti anziani, prima che la loro condizione diventi Alzheimer. I ricercatori sottolineano, tuttavia, che ulteriori studi sono necessari prima che tali raccomandazioni possano essere fatte a medici e pazienti.

Gli effetti osservati nello studio "possono essere come togliere il piede dall'acceleratore o come toccare il freno, e forse potrebbe rallentare la progressione verso [l'Alzheimer]", ha affermato Michela Gallagher, la ricercatrice principale e neuroscienziata.

"Abbiamo bisogno di ulteriori studi clinici con più esposizione al farmaco, per assicurare prima di tutto con una rigorosa valutazione che il farmaco è efficace nel lungo termine e, cosa altrettanto importante, che non fa male".

Il nuovo studio, presentato il 20 luglio al Congresso internazionale dell'Alzheimer a Parigi, mostra anche che l'attività cerebrale in eccesso nei pazienti con una condizione nota come deterioramento cognitivo lieve amnesico (aMCI), contribuisce ad una disfunzione cerebrale che sottende la perdita di memoria. In precedenza, si era pensato che questa iperattività fosse il tentativo del cervello di "compensare" la debolezza nella sua capacità di formare nuovi ricordi.

Lo studio clinico, finanziato dai National Institutes of Health, ha testato 34 partecipanti, alcuni anziani sani ed altri con aMCI, nel senso che avevano difficoltà di memoria maggiore di quanto ci si aspetta alla loro età. Ogni persona ha partecipato ad una sequenza di due fasi di trattamento della durata di due settimane ciascuna. I pazienti hanno ricevuto una dose bassa di levetiracetam durante una fase e un placebo durante l'altra. Dopo ogni fase di trattamento, i ricercatori hanno valutato la memoria dei soggetti e hanno eseguito la risonanza magnetica funzionale del cervello. Queste scansioni sono state utilizzate per mappare l'attività cerebrale durante l'esecuzione di un compito di memoria, permettendo ai ricercatori di confrontare lo stato di ogni individuo sia con che senza la medicina.

Rispetto ai partecipanti normali, i soggetti con MCI amnesico che hanno preso il placebo avevano un'attività in eccesso dell'ippocampo, una parte del cervello fondamentale per la memoria. Ma dopo aver preso il levetiracetam per due settimane, l'attività in eccesso è stata ridotta allo stesso livello di quella dei soggetti di controllo; inoltre le prestazioni della memoria nel compito sono migliorate al livello dei controlli.

La scoperta ha implicazioni possibili per la progressione all'Alzheimer. Gli studi che dimostrano l'attività in eccesso nell'ippocampo nei pazienti con aMCI hanno scoperto che, se questi pazienti sono seguiti per un certo numero di anni, quelli con la maggiore attivazione in eccesso hanno il più grande calo di memoria in seguito e hanno più probabilità di ricevere una diagnosi di Alzheimer nel corso degli successivi 4-6 anni.

Altre ricerche recenti forniscono indizi sul perché questo succede, dice Gallagher, Professore Krieger-Eisenhower di Scienze Psicologiche e del cervello alla Scuola di Arti e Scienze della Johns Hopkins'. "Poiché una parte della fisiologia che crea l'Alzheimer nel cervello è guidata da una maggiore attività cerebrale, questa attività in eccesso potrebbe essere come avere il piede sull'acceleratore se si è sulla strada per l'Alzheimer", ha detto Gallagher. "Quindi il prossimo passo in questa linea di ricerca sarà quello di testare questa idea per vedere se, ridurre l'attività in eccesso, può effettivamente rallentare la progressione di Alzheimer per i pazienti con aMCI".

Tra l'8 e il 15 per cento dei pazienti con aMCI progrediscono alla diagnosi di Alzheimer ogni anno, rendendo la aMCI una fase di transizione tra il normale invecchiamento e le malattie neurodegenerative. Allo stato attuale non esiste alcun trattamento efficace per modificare questa progressione prima che il danno irreversibile si verifichi nel cervello. Sarebbe un passo avanti significativo per rallentare la progressione dell'Alzheimer, una malattia che si pensa possa influenzare ben 16 milioni di americani entro il 2050.

Il levetiracetam, il farmaco utilizzato nello studio, è un anticonvulsivante che diminuisce attività anormalmente alta del cervello. È combinato con altri farmaci per il trattamento di alcuni tipi di crisi epilettiche.

Il gruppo che ha condotto lo studio della Johns Hopkins comprende Marilyn Albert e Gregory Krauss, entrambi professori di neurologia presso la Johns Hopkins University School of Medicine, e Arnold Bakker, uno studente laureato nel laboratorio di Gallagher, che ha presentato i risultati alla conferenza dei Alzheimer. La Gallagher è fondatrice e membro del consiglio scientifico di AgeneBio, un'azienda biotecnologica focalizzata sullo sviluppo di trattamenti per malattie che hanno un impatto sulla memoria, come deterioramento cognitivo lieve amnesico e Alzheimer. La società ha sede a Indianapolis. La Gallagher possiede azioni della AgeneBio, ed è sottoposta a talune restrizioni nell'ambito della politica di John Hopkins. Ha diritto alle quote delle royalties ricevute dall'università sulle vendite di prodotti relativi alla creazione della proprietà intellettuale. I termini di questi accordi sono gestiti dall'Università in conformità con le sue politiche sui conflitti di interesse.

 



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Fonte: Materiale della Johns Hopkins University.

Pubblicato in ScienceDaily il 20 luglio 2011 - Traduzione di Franco Pellizzari.

Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi, eventualmente citati nell'articolo, sono riservati ai rispettivi proprietari.

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.

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