Mentre le famiglie americane corrono inesorabilmente verso l'epidemia della demenza, la domanda inespressa più frequente è: "Quando non c'è più la persona?"
Oppure, in modo più prosaico, se mia mamma non riconosce più noi suoi figli, come madre non c'è più e il guscio del suo corpo è una semplice vestigia della mia memoria, ma la sua anima, come pure il suo viaggio spirituale si è esteriormente concluso?
Questo è il dilemma straziante di quello che alcuni chiamano erroneamente lo «stato dei morti viventi».
Questo problema della presenza continua, o dell'assenza, di una persona cara va al cuore della tragedia della demenza e, cosa altrettanto importante, del modo in cui ci prendiamo cura e sosteniamo coloro che ne sono afflitti.
Dopo 20 anni di assistenza alla demenza, e molti successi e battute d'arresto, credo che come società eccediamo in rassegnazione e avversione e siamo molto veloci ad abbandonare e appaltare l'assistenza a un modello istituzionale mortificante di cura. Questa è una tragedia sia per le esigenze della vittima che per le necessità dei caregiver familiari. Il beneficio dell'amore incondizionato, dopo tutto, va in entrambe le direzioni.
Sento che ci sono due ragioni fondamentali per cui tendiamo ad allontanarci dai nostri cari con demenza:
- spesso non riescono a riconoscere familiari e amici, ad un certo punto nella progressione della malattia, fatto che tende a forzare una resa alla mancanza di speranza e
- a volte possono diventare agitati e anche arrabbiati durante le visite, scoraggiando così lo sforzo.
Penso che questo sia il motivo per cui fino all'80 per cento dei miei ospiti non riescono a ricevere visite regolari dalla famiglia, e in molte case di cura questo numero è molto più alto.
Per comprendere queste reazioni, bisogna apprezzare il processo della malattia. In sostanza, la maggior parte delle forme di demenza sono causate dall'accumulo di una proteina corrosiva sulle cellule cerebrali che governano i nostri ricordi a breve termine. Questo progredisce e causa una perdita mite di memoria a breve termine, depressione e agitazione, ma ciò è solo l'inizio.
Questa confusione progredisce fino a una perdita grave, non solo della memoria, ma anche del senso del tempo e del luogo e allo smarrimento. Alla fine la capacità di comunicare è completamente compromessa, portando a periodi di movimento ripetitivo casuale e, infine, ad uno stato vegetativo.
Forse si dovrebbe pensare alle esperienze di demenza con perdita crescente di memoria a breve termine, come a uno che vive sempre con ricordi a lungo termine catturati sulla bobina di un film d'altri tempi, che gira nel retro della sua mente, diventando sempre più dominante nel corso del tempo. Mentre perde progressivamente la memoria a breve termine, vive, letteralmente, nel suo passato.
Quando le persone mi dicono che hanno smesso di visitare la mamma perché non li riconosce o li scambia per qualcun altro, ricordo loro che lei li ricorda più giovani, senza pancia, o senza perdita o incanutimento dei capelli. Forse sembri davvero un nonnetto ora.
E per quanto riguarda agitazione e rabbia, si possono capire solo considerando che i ricordi a lungo termine non erano poi così belli. Forse il matrimonio era angustiante. Finanziariamente teso. Anni difficili mentre si cresceva. Problemi di droga o alcool.
Quando vedo un comportamento aggressivo negli ospiti con demenza, capisco che probabilmente stanno rispondendo a qualche ricordo nel loro passato che è in gran parte estraneo al loro ambiente attuale. E in questo senso, si può sostenere che il viaggio nel tempo non solo è davvero possibile ma avviene ogni giorno.
Quindi, torniamo alla domanda di quando ci ha lasciato la vittima della demenza o quando è partita la sua anima ed è finita la sua peregrinazione spirituale. Per quanto mi riguarda, credo che l'anima rimane, e il viaggio continua, fino alla fine. E dico questo per tre ragioni che ritengo palesemente vere:
- Primo, tutti gli esseri umani senzienti non perdono mai il senso del tempo e dello spazio. Pensateci e chiudete gli occhi e provate a immaginare il tempo che si ferma o cercare di immaginare la propria non-esistenza. Non si può fare. Il tempo non si ferma mai. Non si può immaginare il nulla. Siamo semplicemente cablati per il tempo e lo spazio. E nel contesto del paziente di demenza questo significa che è sempre presente e vive costantemente nel mondo del tempo e dello spazio, come tutti noi. La perdita di memoria a breve termine non ha nulla a che fare con vivere nel mondo, ma lo cambia.
- Secondo, poiché la vittima di demenza dimora in gran parte nella memoria a lungo termine, rimangono vive le intuizioni e i costrutti spirituali, che sono di solito incorporati nei nostri ricordi giovanili e individuali. Forse ero diventato ateo furioso a 20 anni, ma ero anche un chierichetto a 10, e quei primi ricordi manterranno sempre un senso di conforto, riverenza e meraviglia. E' in questo senso molto reale che Dio rimarrà costante in chi ha una qualunque fede, se è stato accolto nei primi anni.
- Terzo, anche se un malato di demenza può perdere alcuni poteri della ragione e della parola, non perde mai la sua intuizione. Sa chi è gentile, impaziente o indifferente. Riconosce e risponde ad una parola d'amore, un tocco delicato o a una melodia familiare calmante. E' ancora nel mondo e reagisce al modo in cui è trattato dal suo mondo.
Così, con queste considerazioni in testa, penso che l'errore più comune fatto dalle famiglie nel trattare con la demenza è insistere a indugiare nel presente. Anche se questo è comprensibile, perché temiamo un abbandono totale, è probabile che causi solo frustrazione per tutti gli interessati.
Quando ne parlo, suggerisco che le discussioni sui bei ricordi del passato possono suscitare maggiore conforto e gioia, come un matrimonio, una nascita, i genitori o le vittorie significative di qualsiasi tipo. Un'altra considerazione sarebbe di condividere temi e riti religiosi, come il rosario, l'Haggadah o Vangeli. In questo modo, possono sentirsi toccati e confortati, in un modo che penetra multipli strati e bisogni emotivi.
Capisco la difficoltà che il figlio adulto o il coniuge ha nel mantenere un rapporto attivo e amorevole, quando viene restituito così poco amore e le delusioni sono così frequenti. Ma ogni assistente professionale che ha fatto questo cammino fino alla fine sa quanto può essere gratificante e premiante lo sforzo di amore anche per la persona più fragile in mezzo a noi.
Spesso, poiché le nostre vittime della demenza sono lasciate sole dalle loro famiglie e gli assistenti professionali diventano l'ultimo rapporto primario nella loro vita, tali aiutanti sanno con certezza che stanno facendo il lavoro di Dio e raccolgono i frutti dell'amore incondizionato.
Così, esorto i famigliari soffocati dalla demenza a essere più pazienti e a fidarsi del proprio intuito che la persona amata è sempre qui e il cammino spirituale continua per entrambi.
Fonte: Stephen Bowman in Skaneateles Journal (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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