L'infiammazione è da lungo tempo un obiettivo degli studi sull'Alzheimer, e quindi una nuova scoperta riferita in Neuron è controintuitiva [= non sembra probabile che sia vera quando valutata con l'intuizione, il buon senso o i sentimenti viscerali].
Nello studio, i ricercatori hanno scoperto il meccanismo con cui i processi anti-infiammatori possono innescare la malattia, e che questo processo antinfiammatorio potrebbe effettivamente innescare la formazione di grumi appiccicosi di proteine che formano le placche nel cervello.
Queste placche bloccano la capacità delle cellule cerebrali di comunicare e sono una caratteristica ben nota della malattia. La scoperta suggerisce che i trattamenti di Alzheimer potrebbero richiedere di essere progettati su misura per ogni paziente, a seconda di quale forma di apolipoproteina E (un importante fattore di rischio per l'Alzheimer) è portatore.
I ricercatori hanno dimostrato che la proteina anti-infiammatoria interleuchina 10 (IL-10) può effettivamente aumentare la quantità di apolipoproteine E (APOE), proteine - e quindi placche - che si accumulano nel cervello di un modello di topo di Alzheimer, secondo lo studio.
Nel 1990, i ricercatori avevano ipotizzato che l'uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), può proteggere le persone dall'insorgenza dell'Alzheimer, smorzando l'infiammazione che rilascia una cascata di proteine dannose. Anche se i FANS hanno dimostrato di essere efficace in alcuni studi, altre ricerche che hanno valutato un gruppo di partecipanti che assumevano i FANS, hanno dimostrato che non hanno alcun beneficio protettivo chiaro nel tempo.
"Ci sono molti tipi diversi di FANS", ha dichiarato Todd Golde, MD, PhD, direttore del Center for Translational Research in Neurodegenerative Disease all'Università della Florida e autore principale della ricerca. "Non tutti i FANS sono uguali, e non era chiaro che cos'altro facevano quando affrontavano il loro obiettivo".
In precedenza, i ricercatori avevano ipotizzato che un flusso di proteine, chiamate citochine, coinvolte nella promozione dell'infiammazione nel cervello, contribuisse alla formazione delle placche nell'Alzheimer. Tuttavia, in questa pubblicazione, i ricercatori della UF forniscono nuove prove che gli stimoli anti-infiammatori possono effettivamente aumentare la placca.
"Questo è un altro elemento di prova che ribalta l'ipotesi di lunga data che una «tempesta di citochine» crei un ciclo di reazione neurotossico auto-rafforzante che promuove la deposizione di placca amiloide-beta", ha dichiarato Paramita Chakrabarty, PhD, membro del Center for Translational Research in Neurodegenerative Disease della UF, professore assistente del College of Medicine della UF e co-autrice della ricerca.
I ricercatori hanno detto che il rischio cha ha una persona di sviluppare l'Alzheimer dipende dal rapporto tra IL-10 e APOE. L'APOE pulisce la cellula da molte proteine differenti, compresa la proteina amiloide-beta, che contribuisce alla formazione di placca. Ma vi sono diverse forme di APOE nelle cellule, che differiscono tra loro solo di uno o due aminoacidi. La forma chiamata APOE4 è il più grande dei fattori genetici di rischio noti dell'Alzheimer, mentre l'APOE2 è ritenuto protettivo, ha detto Golde, aggiungendo che "circa il 15/17 per cento della popolazione ha l'allele APOE4, come pure circa il 50 per cento delle persone affette da Alzheimer".
In questo caso, gli autori hanno dimostrato che la proteina anti-infiammatoria IL-10 in realtà aumenta i livelli di tutti i tipi di APOE dei topi, che assomiglia all'APOE umano. Nel modello di topo, l'APOE si lega all'amiloide-beta, piuttosto che eliminarlo dal cervello, accelerando l'accumulo di placca nel cervello di un topo con Alzheimer.
Come potrebbe alterare il rischio di Alzheimer una terapia anti-infiammatoria basata sull'espressione di IL-10 può dipendere dalla variante genetica delle proteine APOE di cui la persona è portatrice. Se la persona ha un allele APOE4 i ricercatori prevedono che il rischio di Alzheimer aumenterebbe.
"In un certo senso, questo studio offre ulteriori indizi su come le influenze ambientali interagiscono con i genotipi sottostanti delle persone per modificare il loro rischio di malattia", ha detto Golde. "Sappiamo che le persone sono esposte a vari stimoli infiammatori o anti-infiammatori per tutta la vita. A seconda di qual è il loro genotipo, questa esposizione può in alcuni casi proteggerli dall'Alzheimer, o, in altri casi, aumentare il loro rischio del morbo".
In seguito i ricercatori hanno in programma di effettuare studi più approfonditi e meccanicistici per capire esattamente come un aumento della proteina APOE indotta dall'IL-10 influenzi la deposizione di placche di amiloide nei topi portatori di diversi alleli di APOE umana.
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La ricerca è stata finanziata in parte da una sovvenzione di 8,4 milioni dollari per accelerare il processo di ricerca di terapie per l'Alzheimer dai National Institutes of Health, con ulteriori finanziamenti dal National Institute on Aging e della Ellison Medical Foundation.
Fonte: University of Florida via Newswise (> English text) -Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Paramita Chakrabarty, Andrew Li, Carolina Ceballos-Diaz, James A. Eddy, Cory C. Funk, Brenda Moore, Nadia DiNunno, Awilda M. Rosario, Pedro E. Cruz, Christophe Verbeeck, Amanda Sacino, Sarah Nix, Christopher Janus, Nathan D. Price, Pritam Das, Todd E. Golde. IL-10 Alters Immunoproteostasis in APP Mice, Increasing Plaque Burden and Worsening Cognitive Behavior. Neuron, DOI: http://dx.doi.org/10.1016/j.neuron.2014.11.020
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