Nel 2008, dei ricercatori della Scuola Perelman di Medicina dell'Università della Pennsylvania hanno dimostrato che le mutazioni in due proteine associate all'Alzheimer familiare (FAD) interrompono il flusso di ioni di calcio all'interno dei neuroni.
Le due proteine interagiscono con un canale di rilascio del calcio in un compartimento intracellulare. Le forme mutanti di queste proteine che causano la FAD (non le proteine normali) risultano in una segnalazione esagerata del calcio nella cellula.
Ora lo stesso team, guidato da J. Kevin Foskett, PhD, docente di Fisiologia e dallo studente laureato Dustin Shilling, ha scoperto che sopprimere l'iperattività dei canali del calcio allevia i sintomi di tipo FAD nei modelli di topo della malattia. I loro risultati compaiono questa settimana sul Journal of Neuroscience.
Le attuali terapie per l'Alzheimer includono farmaci che curano i sintomi di perdita cognitiva e demenza, e farmaci sperimentali che affrontano la patologia del morbo. Queste nuove osservazioni suggeriscono che potrebbero essere esplorati gli approcci basati sulla modulazione della segnalazione del calcio, dice Foskett.
Le due proteine, chiamate PS1 e PS2 (presenilina 1 e 2), interagiscono con un canale di rilascio del calcio, il recettore inositolo trifosfato (IP3R), nel reticolo endoplasmatico. Le PS1 e PS2 mutanti aumentano l'attività dell'IP3R, che a sua volta aumenta i livelli di calcio nella cellula. "Abbiamo deciso di cercare la risposta alla domanda: la maggiore segnalazione del calcio, come risultato dell'interazione presenilina-IP3R, è coinvolta nello sviluppo dei sintomi dell'Alzheimer familiare, tra cui la demenza e il deficit cognitivo?", dice Foskett. "E guardando i risultati di questi esperimenti, la risposta è un sonoro «sì»".
Fenomeno Robusto
La segnalazione esagerata del calcio intracellulare è un fenomeno robusto visto nelle cellule che esprimono le preseniline mutanti che causano la FAD, sia nelle cellule umane in coltura che nei topi. Il team ha usato due modelli di topo FAD per cercare queste connessioni. Essi hanno trovato in particolare che la riduzione del 50 per cento dell'espressione dell'IP3R1, la forma dominante di questo recettore nel cervello, normalizza la segnalazione esagerata del calcio osservata nei neuroni della corteccia e nell'ippocampo di entrambi i modelli di topo.
Inoltre nei topi 3xTg (animali contenenti presenilina 1 con una mutazione FAD, oltre a proteina tau umana mutante espressa e geni APP) il team ha osservato che la ridotta espressione di IP3R1 riduce profondamente l'accumulo di placca amiloide nel tessuto cerebrale e la iperfosforilazione della proteina tau, una caratteristica biochimica dell'Alzheimer avanzato. La ridotta espressione di IP3R1 recupera anche la segnalazione elettrica difettosa nell'ippocampo, come pure i deficit di memoria nei topi 3xTg, come verificato dai test comportamentali.
"I nostri risultati indicano che la segnalazione esagerata del calcio, associata a mutazioni della presenilina nell'Alzheimer familiare, è mediata dall'IP3R e contribuisce ai sintomi della malattia negli animali", dice Foskett. "Ora che sappiamo questo, potremmo considerare la via di segnalazione IP3 un potenziale bersaglio terapeutico per i pazienti con mutazioni nelle preseniline legate all'AD".
L'ipotesi 'disregolazione del calcio'
"L'ipotesi «disregolazione del calcio» per l'Alzheimer familiare ereditario ad esordio precoce, è stata suggerita dai risultati di ricerche precedenti nel laboratorio di Foskett. L'Alzheimer colpisce ben 5 milioni di americani, il 5 per cento dei quali hanno la forma familiare. Il segno distintivo della malattia è l'accumulo di grovigli e placche di amiloide beta proteina nel cervello. L'«ipotesi amiloide», che postula che il difetto principale è un accumulo di amiloide tossica nel cervello, è stata a lungo usata per spiegare la causa dell'Alzheimer", spiega Foskett. Nello studio del suo laboratorio pubblicato nel 2008 su Neuron, le cellule che portavano la forma mutata di PS1 che causa la malattia hanno mostrato un aumento dell'elaborazione di amiloide-beta, che dipendeva dall'interazione delle proteine PS con l'IP3R. Questa osservazione collega la disregolazione del calcio all'interno delle cellule con la produzione di amiloide, una caratteristica nel cervello delle persone con Alzheimer.
Gli studi clinici di AD sono stati in gran parte diretti a ridurre l'onere di amiloide nel cervello. Finora, dice Foskett, questi studi non sono riusciti a dimostrare i benefici terapeutici. Una idea è che gli interventi siano eseguiti troppo tardi nel processo della malattia. Di conseguenza sono attualmente in corso studi clinici anti-amiloide con pazienti asintomatici di FAD perché è noto che essi finiranno per sviluppare la malattia, mentre è molto meno certo predire chi svilupperà la forma comune di AD.
"Si è assunto che la FAD sia semplicemente l'AD con un esordio più precoce e aggressivo", dice Foskett. "Tuttavia, non sappiamo se l'eziologia della patologia FAD è la stessa di quella dell'AD comune. Quindi non è chiara la rilevanza dei nostri risultati sulla comprensione dell'AD comune. Quello che è importante, a mio parere, è riconoscere che l'AD potrebbe essere uno spettro di malattie che provocano patologie comuni di stadio finale. La FAD potrebbe quindi essere considerata una malattia orfana, ed è importante trovare trattamenti efficaci, specificamente per questi pazienti: quelli che prendono di mira l'IP3R e la segnalazione del calcio".
Hanno collaborato Dustin Shilling, Marioly Muller, Hajime Takano, Don-On Daniel Mak, Ted Abel, Douglas A. Coulter, tutti della Penn. Il lavoro è stato sostenuto dal National Institute of Mental Health e da un National Research Service Award Grant.
Fonte: University of Pennsylvania School of Medicine (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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