Scienziati dell'Università di Southampton hanno scoperto che una risposta immunitaria nel cervello ha un ruolo chiave nello sviluppo dell'Alzheimer, e che un vaccino progettato per affrontare la malattia è in grado di sopprimere la risposta.
I risultati portano a conclusione un decennio di ricerche seguite ad una sperimentazione di fase I del vaccino, finanziate da Alzheimer's Research UK e dal Medical Research Council (MRC).
Un successivo studio di fase II è stato fermato quando alcuni partecipanti hanno sviluppato l'infiammazione del cervello, ma il team dell'Università di Southampton ritiene che i risultati costituiscono la prova che avrebbe potuto essere più efficace se eseguito prima nel decorso della malattia.
Pubblicati dalla rivista Brain on-line Mercoledì 14 Agosto, i nuovi risultati arrivano dopo che il team ha esaminato il tessuto cerebrale di persone che hanno preso parte alla sperimentazione clinica del vaccino AN1792 oltre dieci anni fa. Lo studio, che ha coinvolto persone con Alzheimer lieve o moderato, è stato progettato per testare la sicurezza dell'AN1792, che mirava a eliminare la proteina amiloide (una componente chiave della malattia) dal cervello.
Uno studio di fase II del vaccino è stato interrotto nel 2002, quando un piccolo numero di partecipanti ha sviluppato infiammazione nel cervello, ed i risultati dello studio non avevano mostrato alcun miglioramento dei sintomi nelle persone. Da allora, i ricercatori guidati da un team di Southampton hanno lavorato per capire meglio gli effetti del trattamento sulle persone che hanno preso parte alla fase I dell'esperimento di sicurezza. E' stato cruciale per i ricercatori aver ottenuto l'accesso ai dati del test precedente, e che un certo numero di partecipanti dello studio si sono offerti volontari per partecipare alle valutazioni del follow-up con il gruppo, e molti di loro hanno firmato per donare il loro cervello per lo studio dopo la morte.
La ricerca precedente del team aveva dimostrato che, anche se il vaccino non migliora i sintomi delle persone, esso rimuoveva con successo l'amiloide dal cervello. Essi hanno dimostrato che il vaccino lavora attivando le cellule immunitarie del cervello, chiamate microglia, rimuovendo l'amiloide e facendo nascere la teoria che il trattamento può avere sovra-attivato la risposta immunitaria e avere contribuito ulteriormente al declino dei partecipanti. In questo ultimo studio, i ricercatori hanno deciso di avere un quadro più dettagliato del modo in cui si attivano le microglia nell'Alzheimer, e di come queste cellule rispondono al trattamento con AN1792.
Il team ha confrontato il tessuto cerebrale di 11 persone che hanno preso parte all'esperimento e di 28 persone con Alzheimer, che non facevano parte dell'esperimento, indagando sul livello di diversi marcatori dei processi infiammatori nel cervello. Hanno scoperto che nel cervello delle persone che non erano state trattate, l'infiammazione era legata a livelli più elevati di una seconda proteina, la tau, che si accumula nel cervello durante l'Alzheimer - dal che si evince che l'infiammazione è una parte fondamentale del processo di malattia.
In contrasto, il tessuto cerebrale da quelli che avevano avuto il vaccino ha mostrato un minor numero di segni di infiammazione. I risultati suggeriscono che, anche se il trattamento attiva inizialmente la risposta immunitaria del cervello nel rimuovere l'amiloide, questa risposta immunitaria è successivamente soppressa, minimizzando il danno potenziale a lungo termine che può essere stato causato da un'eccessiva attività del sistema immunitario.
La Dott.ssa Delphine Boche, Senior Lecturer in Neuroscienze Cliniche all'Università di Southampton e co-autrice dello studio, ha detto: "Il nostro studio non solo aggiunge prove a quelle esistenti che l'infiammazione nel cervello ha un ruolo importante nell'Alzheimer, ma fornisce anche una nuova speranza per i futuri studi clinici. La nostra ricerca mostra che l'amiloide può essere rimosso dal cervello senza sovra-attivazione del sistema immunitario cerebrale nel lungo termine, e questo fornisce qualche speranza per trattamenti anti-amiloide futuri. Crediamo che l'amiloide agisca come un 'grilletto' precoce per l'Alzheimer, e può essere che i farmaci che puntano l'amiloide debbanno essere sperimentati prima nel decorso della malattia, per avere successo".
"Crediamo che l'infiammazione aiuti a scatenare l'Alzheimer, piuttosto che essere una risposta al processo della malattia, e il nostro prossimo passo sarà indagare ulteriormente su questa teoria. Una comprensione più completa del ruolo dei diversi processi infiammatori qui individuati potrebbe aiutare a guidare i potenziali nuovi trattamenti per l'Alzheimer. I nostri risultati sottolineano anche l'importanza di continuare a seguire i risultati di studi come questo, e siamo estremamente grati ai volontari che hanno continuato a partecipare alla ricerca e hanno contribuito a rendere possibile il nostro studio".
Il dottor Simon Ridley, direttore della ricerca per Alzheimer's Research UK, ha detto:"Continuando a seguire i partecipanti di questo esperimento, questo gruppo ha fatto sì che i dati importanti di quello che avrebbe potuto essere liquidato come esperimento fallito, non siano stati perduti. Siamo lieti di aver sostenuto questo studio, che ha gettato nuova luce su alcuni dei processi infiammatori coinvolti nell'Alzheimer - un primo passo sulla strada della progettazione di nuovi trattamenti.
Esaminando la risposta del cervello a questo particolare trattamento anti-amiloide, questo studio potrebbe anche contribuire a orientare i test futuri di altri trattamenti volti a rimuovere l'amiloide dal cervello. I risultati aggiungono anche ulteriore peso all'importanza di un intervento precoce con trattamenti farmacologici per l'Alzheimer, quando sono suscettibili di essere più efficaci. Perchè risultati promettenti come questi si traducano in benefici per le persone con Alzheimer, è fondamentale che continuiamo ad investire nella ricerca".
Il Professor Paul Bolam, membro del comitato finanziamenti Neurosciences and Mental Health al Medical Research Council, ha detto:"Meglio si capirà il rapporto tra il sistema immunitario e i processi del cervello, più saremo attrezzati per sviluppare nuovi trattamenti che possono essere implementati in una fase antecedente. Questo studio mette in evidenza anche l'importanza di ottimizzare i dati di tutti gli studi clinici, non solo di quelli che riportano un risultato positivo".
Fonte: University of Southampton
Riferimento: Elina Zotova, Viraj Bharambe, Matthew Cheaveau, William Morgan, Clive Holmes, Scott Harris, James W Neal, Seth Love, James A. R. Nicoll, and Delphine Boche. Inflammatory components in human Alzheimer’s disease and after active amyloid-β42 immunization. Brain (2013). doi: 10.1093/brain/awt210
Pubblicato in Health Canal (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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