Gli scienziati della School of Medicine della Washington University di St. Louis hanno permesso di identificare molti dei biomarcatori dell'Alzheimer che potrebbero predire quali pazienti svilupperanno la malattia più tardi nella vita.
Ora, studiando campioni di liquido spinale e dati sulla salute di 201 partecipanti alla ricerca del Centro di Ricerca Alzheimer "Charles F. and Joanne Knight", i ricercatori dimostrano che i marcatori sono predittori accurati dell'Alzheimer, anni prima che appaiano i sintomi.
"Volevamo vedere se un marcatore era migliore degli altri nel predire quale dei nostri partecipanti sarebbe incorso in deterioramento cognitivo e quando l'avrebbe fatto", dichiara Catherine Roe, PhD, professore assistente di ricerca di neurologia. "Non abbiamo trovato differenze nella precisione dei biomarcatori". Lo studio, finanziato in parte dal National Institute on Aging, è pubblicato in Neurology.
I ricercatori hanno valutato marcatori come l'accumulo di placche amiloidi nel cervello (visibile da poco grazie a un agente di imaging sviluppato negli ultimi dieci anni), i livelli di varie proteine nel fluido cerebrospinale (come i frammenti amiloidi che sono l'ingrediente principale delle placche cerebrali), ed il rapporto tra una proteina e l'altra nel fluido cerebrospinale (come le diverse forme della proteina tau, cellula strutturale del cervello).
I marcatori sono stati studiati in volontari la cui età variava da 45 a 88 anni. In media, i dati disponibili sui partecipanti allo studio riguardavano quattro anni, il più lungo è stato registrato su un arco di 7,5 anni. I ricercatori hanno scoperto che tutti i marcatori sono stati altrettanto precisi nell'individuare i soggetti a rischio di problemi cognitivi e nel prevedere quando sarebbero diventati notevolmente compromessi.
Successivamente, gli scienziati hanno accoppiato i dati dei biomarcatori con i dati demografici, verificando se sesso, età, razza, istruzione ed altri fattori avessero potuto migliorare le previsioni. "Sesso, età e razza hanno contribuito a prevedere chi ha sviluppato il deterioramento cognitivo", scrive la Roe. "I partecipanti più anziani, uomini e afro-americani avevano più probabilità di diventare cognitivamente compromessi rispetto a quelli che erano più giovani, donne, e caucasici".
La Roe definisce i risultati come un'ulteriore prova del fatto che gli scienziati possano rilevare l'Alzheimer anni prima che diventi evidente la perdita di memoria e il declino cognitivo. "Possiamo predire meglio il deterioramento cognitivo futuro quando combiniamo i biomarcatori con le caratteristiche del paziente", spiega. "Sapere quanto sono accurati i biomarcatori è importante se vogliamo un giorno essere in grado di curare l'Alzheimer prima [dell'apparizione] dei sintomi e rallentare o prevenire la malattia".
Sono già in corso studi clinici all'Università di Washington e altrove, per determinare se i trattamenti che precedono i sintomi possano prevenire o ritardare le forme ereditarie dell'Alzheimer. I biomarcatori affidabili per l'Alzheimer dovrebbero un giorno dare la possibilità di testare i trattamenti più efficaci nelle forme molto più comuni ad insorgenza sporadica dell'Alzheimer.
Fonte: Washington University in St. Louis. Articolo originale scritto da Michael C. Purdy.
Riferimento: CM Roe, AM Fagan, EA Grant, J. Hassenstab, KL Moulder, D. Maue Dreyfus, CL Sutphen, TLS Benzinger, MA Mintun, DM Holtzman, JC Morris. Amyloid imaging and CSF biomarkers in predicting cognitive impairment up to 7.5 years later. Neurology, 2013; 80 (19): 1784 DOI: 10.1212/WNL.0b013e3182918ca6.
Pubblicato in Science Daily il 14 Maggio 2013 (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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