I parenti stretti di persone con Alzheimer hanno una probabilità più che doppia di sviluppare un accumulo silenzioso di placche cerebrali associate all'Alzheimer, rispetto a quelli senza una storia familiare, secondo i ricercatori della Duke Medicine.
Lo studio, pubblicato online il 17 Aprile 2013 sulla rivista PLoS One, conferma i risultati precedenti su una nota variante genetica che aumenta il rischio di Alzheimer, e solleva nuove questioni su altri fattori genetici coinvolti nella malattia che devono ancora essere identificati.
Si stima che circa 25 milioni di persone nel mondo hanno l'Alzheimer, e il numero è destinato a triplicare entro il 2050. Più del 95 per cento di questi individui hanno l'Alzheimer ad insorgenza tardiva, che di solito appare dopo i 65 anni. Le ricerche hanno dimostrato che l'Alzheimer inizia anni o decenni prima di essere diagnosticato, e le modifiche al cervello sono misurabili attraverso una serie di test.
La storia familiare è un fattore di rischio noto e un predittore della malattia ad esordio tardivo, e gli studi suggeriscono l'esistenza di un rischio di Alzheimer da due a quattro volte maggiore nei soggetti con una madre, un padre, un fratello o una sorella che hanno sviluppato la malattia. Questi parenti di primo grado condividono circa il 50 per cento dei geni con un altro membro della famiglia. Delle variazioni genetiche comuni, comprese quelle del gene APOE, rappresentano circa il 50 per cento della ereditabilità dell'Alzheimer, ma altre radici genetiche della malattia sono ancora inspiegabili.
"In questo studio, abbiamo cercato di capire se il fatto di avere una storia familiare positiva, in persone altrimenti normali o lievemente smemorate, è sufficiente a far scattare l'accumulo silenzioso di placche di Alzheimer ed il restringimento dei centri di memoria", scrive l'autore senior P. Murali Doraiswamy, professore di psichiatria e medicina alla Duke. Erika J. Lampert, tirocinante di ricerca in neuroscienze alla Duke, Doraiswamy e colleghi hanno analizzato i dati di 257 adulti, con età da 55 a 89 anni, sia cognitivamente sani che con diversi livelli di compromissione, che partecipavano all'Alzheimer's Disease Neuroimaging Initiative, uno studio nazionale che cerca di definire la progressione dell'Alzheimer attraverso i biomarcatori.
I ricercatori hanno esaminato l'età, il sesso e la storia familiare della malattia dei partecipanti, dove la storia familiare positiva era determinata dall'avere un genitore o un fratello con il morbo. Questa informazione è stata confrontata con le valutazioni cognitive e altri test biologici, compresa la genotipazione dell'APOE, scansioni MRI per misurare il volume dell'ippocampo, e gli studi su tre diversi marcatori patologici (Aβ42, t-tau, e rapporto t-tau/Aβ42) presenti nel liquido cerebrospinale.
Come previsto, i ricercatori hanno scoperto che una variazione nel gene APOE è associata ad un rischio maggiore e nei partecipanti con una storia familiare della malattia è sovrarappresentata una insorgenza anticipata dell'Alzheimer. Tuttavia sono state osservate anche altre differenze biologiche in quelli con una storia familiare, il che suggerisce che fattori genetici non identificati possono influenzare lo sviluppo della malattia prima della comparsa della demenza.
Quasi la metà di tutte le persone in buona salute con una storia familiare positiva corrispondevano ai criteri di Alzheimer preclinico, sulla base delle misurazione del liquido cerebrospinale, mentre solo il 20 per cento di quelli senza una storia familiare soddisfavano tali criteri. "Sapevamo già che la storia familiare aumenta il rischio di sviluppare l'Alzheimer, ma ora si dimostra che le persone con una storia familiare positiva possono anche avere in anticipo dei livelli più elevati di patologia di Alzheimer, una possibile spiegazione del declino cognitivo più rapido rispetto a quelli senza una storia di famiglia", scrive la Lampert.
I risultati possono influenzare la progettazione di futuri studi per sviluppare nuovi test diagnostici per l'Alzheimer, visto che i ricercatori possono scegliere di escludere come controlli sani quelli con una storia familiare positiva (un gruppo che storicamente si offre volontario per partecipare a studi per capire meglio la malattia), dato che hanno più probabilità di sviluppare la patologia di Alzheimer.
"Il nostro studio mostra la forza di un semplice questionario da un minuto sulla storia familiare per prevedere i cambiamenti cerebrali silenti", dice Doraiswamy. "Finchè non capiremo in pieno tutti i rischi genetici per l'Alzheimer ad insorgenza tardiva, le informazioni sulla storia di famiglia possono servire da strumento di stratificazione del rischio per la ricerca sulla prevenzione e per personalizzare la cura". Egli incoraggia quelli con una storia familiare positiva nota a cercare esperimenti clinici specifici sulla prevenzione della malattia.
Oltre alla Lampert e a Doraiswamy, hanno partecipato allo studio Kingshuk Roy Choudhury, Christopher A. Hostage e Jeffrey R. Petrella.
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Fonte: Duke University Medical Center.
Riferimento: Erika J. Lampert, Kingshuk Roy Choudhury, Christopher A. Hostage, Jeffrey R. Petrella, P. Murali Doraiswamy. Prevalence of Alzheimer's Pathologic Endophenotypes in Asymptomatic and Mildly Impaired First-Degree Relatives. PLoS ONE, 2013; 8 (4): e60747 DOI: 10.1371/journal.pone.0060747.
Pubblicato in Science Daily il 17 Aprile 2013 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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