Nonostante il recente fallimento del farmaco crenezumab della Roche, il team della ProMIS Neurosciences rimane fiducioso di trovare nel prossimo decennio un trattamento che modifichi la malattia.
I trattamenti neurodegenerativi sono particolarmente difficili da sviluppare, a causa della difficoltà di far passare qualsiasi terapia in quantità sufficiente attraverso la barriera emato-encefalica. Un'area di malattia, in particolare, si è dimostrata particolarmente complessa per la scoperta di nuovi trattamenti: il morbo di Alzheimer (MA).
La scorsa settimana, il crenezumab della Roche si è aggiunto all'elenco di trattamenti che non hanno avuto successo nella fase di sperimentazione clinica. I dati preliminari raccolti da un comitato di monitoraggio indipendente hanno suggerito che c'erano poche probabilità che gli esperimenti del trattamento raggiungessero i loro obiettivi primari.
Ciò significa che dobbiamo incassare un altro fallimento nella battaglia contro la malattia, e la Roche non è l'unica grande azienda farmaceutica ad avere difficoltà dopo che numerose altre non sono riuscite a dimostrare il successo clinico negli ultimi anni.
Tuttavia Elliot Goldstein (EG) e James Kupiec (JK), rispettivamente CEO e CMO dell'azienda di biotecnologie ProMIS Neurosciences, esprimono in questa intervista la convinzione che la serie di fallimenti clinici si concluderà in un futuro non troppo lontano.
La Roche continuerà gli studi sul crenezumab in pazienti che non esprimono sintomi di MA, ma hanno un rischio familiare, con la speranza che un intervento precoce possa rivelarsi più vantaggioso. Su questo fronte, gli esperti di ProMIS sono meno ottimisti.
Domanda: Potresti delineare il focus del lavoro di ProMIS?
EG: Siamo concentrati esclusivamente sulle condizioni neurodegenerative e sulle '3 grandi' di queste: MA, Parkinson e sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Abbiamo altre aree che puntiamo, ma questi sono i nostri grandi obiettivi. La nostra tecnologia si basa su una comprensione molto profonda delle cause alla base di queste malattie. C'è una comunanza tra di loro: un oligomero tossico o una forma tossica misfolded (mal ripiegata) di una proteina altrimenti normale che sta uccidendo i neuroni e si sta propagando in tutto il cervello.
JK: C'è un certo numero di specie diverse di queste proteine in ciascuna di queste malattie, è qualcosa che va da un monomero, una singola proteina, a gruppi di 100 di peso molecolare più elevato. Ci sono anche gli aggregati proteici insolubili che vengono depositati nel cervello dei pazienti, per tutte e tre le condizioni. Stiamo cercando di trovare un obiettivo molto selettivo da seguire sugli oligomeri tossici e abbiamo sviluppato anticorpi per questo compito che porteremo in clinica.
D: Perché credi che la tua tecnologia avrà successo laddove altri hanno fallito?
EG: La nostra tecnologia è focalizzata sulla creazione di anticorpi per neutralizzare solo la forma tossica di queste proteine e non la forma sana. Questa è una chiave per capire perché si sono verificati i fallimenti del crenezumab e di tutti [gli altri farmaci] che abbiamo visto negli ultimi dieci anni: non sono selettivi e sprecano munizioni sulle forme normali di amiloide-beta, nel caso del MA. L'importante è avere un anticorpo altamente selettivo per l'oligomero tossico e quindi avere poco o nessun legame con le forme normali. Sappiamo oggi che i monomeri e la placca non sono tossici, c'è solo una forma che è tossica, che è quella che devi neutralizzare, e questo è ciò che noi facciamo.
D: In che modo la tecnologia è in grado di raggiungere questa specificità?
EG: La nostra tecnologia deriva da una dozzina di anni di lavoro all'Università della Colombia Britannica, e siamo l'unica azienda che ha un responsabile di fisica, oltre a quello scientifico. Perché è così? La sfida qui è che le normali tecniche utilizzate per creare anticorpi diretti selettivamente su molecole grandi, come gli oligomeri tossici dell'amiloide-beta, non funzionano. Non puoi isolare fisicamente questi oligomeri.
Usiamo due algoritmi proprietari, eseguiti su supercomputer, che ci permettono di individuare realmente dove si mal ripiegano queste molecole, perché è ciò che le rende tossiche e c'è un gancio/anello che di solito è nascosto all'interno. [Usando gli algoritmi] questi ganci si evidenziano e noi possiamo fare in modo che i nostri anticorpi non bersaglino nient'altro che questi ganci mal ripiegati. Non troverai questi ganci sui monomeri, non li troverai negli aggregati più grandi che non sono mal ripiegati e non li troverai sulle placche: la nostra tecnologia è in grado di creare anticorpi che sono altamente specifici.
Ciò che è eccitante è che possiamo applicarla a qualsiasi proteina mal ripiegata, e ci sono almeno una mezza dozzina [di malattie] che hanno questa causa alla radice.
D: Il recente fallimento del crenezumab ha visto la Roche continuare uno studio per una fase precedente di MA; secondo voi, continuerà a soffrire di una mancanza di specificità?
EG: A mio parere, è indifferente qual è la fase della malattia, se non colpisci selettivamente la cosa giusta, quindi è difficile aspettarsi che funzioni. Lo stadio della malattia è un fattore importante, ma ciò che è importante è eliminare ciò che sta uccidendo i neuroni. Il crenezumab lega tutte e tre le forme di amiloide-beta: il monomero, l'oligomero tossico e la placca. Quindi, sarei dubbioso. Gli anticorpi non attraversano bene la barriera emato-encefalica quindi è probabile che avere un prodotto altamente selettivo sia l'unica strada da percorrere. Per ogni migliaio di monomeri nel cervello, c'è circa un oligomero tossico: a meno che tu non sia molto preciso, non hai alcuna possibilità di avere un impatto.
JK: Sarei d'accordo. Penso che sia dubbio che avrà successo ma lo scopriremo solo tra cinque anni. Ci vorranno molti anni prima che conosciamo la risposta alla domanda.
D: Nonostante i dubbi sul potenziale di questo particolare studio, cosa pensi del puntare il MA in una fase precedente?
EG: Generalmente, nelle malattie croniche, non solo nei casi neurodegenerativi, devi intervenire precocemente. Nel MA si è stimato che è necessario perdere circa 10 miliardi di neuroni, su 100 miliardi circa di un adulto sano, perché sia evidente un qualsiasi sintomo. Sembra avere un senso pratico curare i pazienti prima che ci siano così tanti danni e ci sia ben poco rimasto da salvare.
JK: Questa è una malattia che sappiamo iniziare da due a tre decenni prima che i sintomi si manifestino. C'è stata una grande spinta nella comunità accademica, abbracciata dall'industria farmaceutica, che trattare prima porterà a esiti migliori. La domanda è se funzioneranno gli studi di prevenzione, che sono già iniziati e stanno usando composti che hanno fallito altrove.
La giuria è fuori ma, in base a ciò che sappiamo, sembra dubbio. Basandoci sulla nostra scienza e su quella emersa negli ultimi 5 anni sugli oligomeri tossici, sembra improbabile che questo esperimento arrivi a qualcosa di positivo. Anche se la logica è fantastica, la domanda è se stanno usando gli strumenti giusti.
D: Dopo il numero di fallimenti, il futuro è ancora brillante per la ricerca sul MA?
EG: per ogni azienda che ne è uscita, ne sono arrivate di nuove. Le aziende farmaceutiche più grandi, dopo i fallimenti degli esperimenti e il fatto che molte hanno altre opzioni di investimento, allora si preoccupano un po'. Questo è un comportamento piuttosto tradizionale. Ci sono nuovi giocatori che stanno prendendo il testimone ed è interessante notare che quasi tutti i prodotti provengono da piccole aziende biotecnologiche, come la nostra. Stiamo anche arrivando a una comprensione molto più matura del gioco e siamo riusciti a capire dai fallimenti cosa non puntare.
JK: L'intero campo sta cambiando in modo molto drastico e rapido. Negli ultimi anni sono stato molto entusiasta del settore: la nostra comprensione della biologia molecolare, sono stati sviluppati biomarcatori e ci sarà un focus reale sulle terapie combinate. Mi aspetto che entro il 2025 ci saranno una o due terapie che modificano la malattia per il MA, e ci sarà un gruppo di biomarcatori che può essere usato per determinare se c'è una patologia biologica di MA in atto nel cervello di un paziente.
Fonte: Ben Hargreaves in BioPharma (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
- Elliot Goldstein è CEO di ProMIS Neurosciences. Ha iniziato la sua carriera con Sandoz Pharmaceuticals dove ha lavorato per 14 anni, diventando capo della ricerca e sviluppo clinica negli Stati Uniti, per poi lavorare in GSK, British Biotech e Maxygen.
- James Kupiec è CMO di ProMIS Neurosciences. Di recente è stato VP e direttore clinico dell'unità di ricerca sulle neuroscienze della Pfizer.
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