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Perché il cervello ci impedisce di imparare dai nostri errori e cosa fare al riguardo

The restaurant that makes mistakes"Il ristorante che fa errori" di Tokio.

Tu impari dai tuoi errori. O per lo meno, questo è stato detto alla maggior parte di noi. Ma la scienza mostra che spesso non riusciamo a imparare dagli errori del passato. Al contrario, è probabile che continuiamo a ripeterli.


Cosa intendo per errori qui? Ad esempio, penso che siamo tutti d'accordo sul fatto che impariamo rapidamente che se mettiamo la mano su una stufa calda, ci scottiamo, e quindi è improbabile che ripetiamo di nuovo questo errore. Questo perché il nostro cervello crea una risposta alla minaccia proveniente dagli stimoli fisici dolorosi basati su esperienze passate.


Ma quando si tratta di pensiero, di schemi comportamentali e di processo decisionale, spesso ripetiamo gli errori, come essere in ritardo agli appuntamenti, affrontare i compiti solo all'ultimo momento o giudicare le persone in base alla prima impressione. Il motivo può risiedere nel modo in cui il nostro cervello elabora le informazioni e crea modelli a cui ci riferiamo ancora e ancora. Questi modelli sono essenzialmente scorciatoie, che ci aiutano a prendere decisioni nel mondo reale. Ma questi collegamenti, chiamati 'euristici', possono anche farci ripetere i nostri errori.


Come scrivo nel mio libro Sway: Unravelling Unconscious Bias (ondeggiare, vacillare: svelare distorsioni inconsce), gli umani non sono naturalmente razionali, anche se vogliamo credere di esserlo. Il sovraccarico di informazioni è estenuante e confondente, quindi filtriamo il rumore.


Vediamo solo alcune parti del mondo. Tendiamo a notare cose che si ripetono, che ci siano schemi o meno, e tendiamo a preservare la memoria generalizzando e ricorrendo al tipo. Traiamo anche conclusioni da dati sparsi e utilizziamo collegamenti cognitivi per creare una versione della realtà a cui vogliamo implicitamente credere. Questo crea un flusso ridotto di informazioni in entrata, che ci aiuta a collegare punti e colmare le lacune con cose che già conosciamo.


Alla fine, il nostro cervello è pigro e servono molti sforzi cognitivi per cambiare il copione e questi collegamenti che abbiamo già costruito. E quindi abbiamo maggiori probabilità di ricadere sugli stessi schemi di comportamenti e azioni, anche quando siamo consapevoli di ripetere i nostri errori.


Questo si chiama 'distorsione di conferma': la nostra tendenza a confermare ciò in cui crediamo già, piuttosto che modificare la nostra mentalità per incorporare nuove informazioni e idee. Spesso usiamo l'«istinto di pancia» (intuizione), un tipo di pensiero automatico e subconscio che attinge dall'accumulo di esperienze passate mentre si formano giudizi e decisioni in nuove situazioni.
A volte ci leghiamo a determinati schemi di comportamento e ripetiamo i nostri errori a causa di un 'effetto ego' che ci costringe a restare fermi sulle nostre convinzioni esistenti. È probabile che scegliamo selettivamente le strutture e la reazione che ci aiutano a proteggere il nostro ego.


Un esperimento ha scoperto che quando alle persone si ricordano i loro successi del passato, avevano maggiori probabilità di ripetere quei comportamenti di successo. Ma quando erano consapevoli o attivamente resi consapevoli dei loro fallimenti del passato, avevano meno probabilità di ribaltare il modello di comportamento che aveva portato al fallimento. Quindi le persone in realtà probabilmente avrebbero ripetuto quel comportamento.


Questo perché, quando pensiamo ai nostri fallimenti passati, è probabile che ci sentiamo giù di morale. E in quei momenti, abbiamo maggiori probabilità di indulgere nel comportamento familiare, che ci fa sentire a nostro agio. Anche quando pensiamo attentamente e lentamente, il nostro cervello ha una distorsione nei confronti delle informazioni e dei modelli che avevamo usato in passato, indipendentemente dal fatto che questi abbiano provocato errori. Questo è chiamato 'distorsione (bias) di familiarità'.


Però possiamo imparare dagli errori. In un esperimento, scimmie e umani dovevano guardare punti rumorosi che si muovendo su uno schermo e giudicare la direzione netta del loro movimento. I ricercatori hanno scoperto che entrambi hanno rallentato dopo un errore. Più grande era l'errore, più lungo era il rallentamento post-errore, una indicazione che erano state accumulate ulteriori informazioni. Tuttavia, la qualità di queste informazioni era bassa. Le nostre scorciatoie cognitive possono costringerci a sovrascrivere qualsiasi nuova informazione che potrebbe aiutare a prevenire la ripetizione degli errori.


In effetti, se commettiamo errori durante l'esecuzione di un determinato compito, la 'distorsione di frequenza' rende probabile che li ripetiamo ogni volta che eseguiamo di nuovo quell'attività. In altre parole, il nostro cervello inizia a supporre che gli errori che abbiamo commesso in precedenza siano il modo corretto per eseguire un'attività: creando un 'percorso di errore' abituale. Quindi più ripetiamo gli stessi compiti, più è probabile che restiamo sul percorso di errore, fino a quando non si incorpora così profondamente da diventare un insieme di scorciatoie cognitive permanenti nel nostro cervello.

 

Controllo cognitivo

Sembra deprimente, quindi cosa si può fare? Abbiamo un'abilità mentale che può sovrascrivere scorciatoie euristiche: il 'controllo cognitivo'. E ci sono alcuni studi recenti sulla neuroscienza nei topi che ci stanno dando un'idea migliore di quali parti del nostro cervello sono coinvolte in questo.


I ricercatori hanno anche identificato due regioni cerebrali con 'neuroni di auto-monitoraggio degli errori', cellule cerebrali che monitorano gli errori. Queste aree sono nella corteccia frontale e sembrano far parte di una sequenza di fasi di elaborazione, dalla rifocalizzazione all'apprendimento dai nostri errori. I ricercatori stanno studiando se una migliore comprensione di questo potrebbe aiutare a sviluppare migliori trattamenti e supporto per l'Alzheimer, ad esempio, poiché conservare il controllo cognitivo è cruciale per il benessere in tarda età.


Ma anche se non abbiamo una perfetta comprensione dei processi cerebrali coinvolti nel controllo cognitivo e nell'auto-correzione, ci sono cose più semplici che possiamo fare.


Una è sentirsi più a proprio agio nel commettere errori. Potremmo pensare che questo sia l'atteggiamento sbagliato nei confronti dei fallimenti, ma in realtà è una via più positiva. La nostra società denigra fallimenti ed errori, e di conseguenza probabilmente ci vergogniamo dei nostri errori e cercheremo di nasconderli. Più ci sentiamo in colpa e vergognosi, più cerchiamo di nascondere i nostri errori agli altri, più è probabile che li ripetiamo. Quando non ci sentiamo così giù di morale per noi stessi, abbiamo maggiori probabilità di essere più bravi ad affrontare nuove informazioni che possono aiutarci a correggere gli errori.


Può anche essere una buona idea posticipare l'esecuzione di un compito che vogliamo imparare a fare di meglio. Riconoscere i nostri fallimenti e fare una pausa per considerarli può aiutarci a ridurre la distorsione di frequenza, il che renderà meno probabile ripetere i nostri errori e rafforzarne i percorsi.

 

 

 


Fonte: Pragya Agarwal, prof.ssa di disuguaglianze sociali e ingiustizia, Università di Loughborough

Pubblicato su The Conversation (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

 

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