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Identificate cellule cerebrali molto vulnerabili all'Alzheimer

human brain tissue samples for Alzheimers researchUn mistero importante nella ricerca sul morbo di Alzheimer (MA) è perché alcune cellule cerebrali soccombono alla patologia strisciante della malattia, anni prima che appaiono per la prima volta i sintomi, mentre altre sembrano indifferenti alla degenerazione che le circonda, fino alle fasi finali della malattia.


Ora, in uno studio pubblicato il 10 gennaio 2021 su Nature Neuroscience, un team di biologi e neuropatologi molecolari della University of California di San Francisco ha unito le forze per identificare per la prima volta i neuroni che sono tra le prime vittime della malattia, accumulando 'grovigli' tossici e morendo prima delle cellule vicine.


"Sappiamo quali neuroni sono primi a morire in altre malattie neurodegenerative come il Parkinson e la SLA, ma non nel MA", ha detto il coautore senior Martin Kampmann PhD, professore associato della UCSF e ricercatore. "Se capissimo perché questi neuroni sono così vulnerabili, forse potremmo identificare gli interventi che potrebbero rendere loro, e il cervello nel suo insieme, più resilienti alla malattia".


I ricercatori di MA stanno studiando da tempo perché alcune cellule sono più inclini a produrre i grovigli tossici della proteina Tau, la cui diffusione nel cervello guida la morte cellulare diffusa e la conseguente perdita di memoria progressiva, la demenza e altri sintomi. Ma i ricercatori non avevano ancora osservato da vicino se tutte le cellule siano ugualmente vulnerabili agli effetti tossici di questi accumuli proteici.


"La credenza nel campo era che una volta che queste proteine ​​spazzatura sono lì, è sempre 'finita' per la cellula, ma il nostro laboratorio ha scoperto che non è così", ha detto Lea Grinberg MD, l'altra coautrice dello studio, professoressa associata della UCSF. "Alcune cellule finiscono per avere livelli alti di grovigli tau ben dentro la progressione della malattia, ma per qualche motivo non muoiono. È diventata una questione pressante per noi capire i fattori specifici che rendono alcune cellule selettivamente vulnerabili alla patologia di MA, mentre altre cellule sembrano in grado di resistere per anni, se non decenni".


Per identificare i neuroni selettivamente vulnerabili, i ricercatori hanno studiato il tessuto cerebrale di persone che erano morte in diverse fasi del MA, ottenute dalla Neurodegenerative Disease Brain Bank della UCSF e dalla Brazilian BioBank for Aging Studies, una risorsa unica cofondata dalla Grinberg. La Biobank di San Paolo raccoglie campioni di tessuto da un'ampia popolazione di individui defunti, tra cui molti senza una diagnosi neurologica, il cui cervello mostra comunque segni di malattia neurodegenerativa molto precoce, che è altrimenti molto difficile da studiare negli esseri umani.


Nella prima fase, il team guidato da Kun Leng e Emmi Li, dottorandi del laboratorio di Kampmann e primi coautori dello studio, ha studiato il tessuto di 10 cervelli di donatori usando una tecnica chiamata 'sequenziamento a nucleo singolo dell'RNA', che ha permesso loro di raggruppare dei neuroni in base ai modelli di attività genica.


In una regione del cervello chiamata corteccia entorinale, una delle prime aree attaccate dal MA, i ricercatori hanno identificato un particolare sottoinsieme di neuroni che cominciano a scomparire molto presto nella malattia. I ricercatori hanno scoperto che nel proseguo della malattia, anche un gruppo simile di neuroni è stato il primo a morire quando la degenerazione ha raggiunto il giro frontale superiore del cervello.


In entrambe le regioni, queste cellule vulnerabili si sono distinte per la loro espressione di una proteina chiamata RORB. Ciò ha permesso ai ricercatori del laboratorio di neuropatologia della Grinberg, guidati dall'ex direttrice del laboratorio Rana Eser, per esaminare i neuroni che esprimono RORB in modo più dettagliato nel tessuto cerebrale di una coorte maggiore di 26 donatori.


Hanno usato tecniche di colorazione istologica per esaminare il destino delle cellule provenienti da individui sani e da quelli con MA in fase iniziale e avanzata. Questo lavoro ha confermato che i neuroni che esprimono RORB in effetti muoiono all'inizio della malattia e accumulano anche i grovigli Tau prima dei neuroni vicini che non esprimono RORB.


"Questi risultati danno supporto alla visione che l'accumulo di Tau guida in modo cruciale la neurodegenerazione, ma sappiamo anche da altri dati del laboratorio della Grinberg che non tutte le cellule che costituiscono questi aggregati sono ugualmente suscettibili", ha detto Leng, che ha in programma di continuare a studiare i fattori sottostanti la vulnerabilità selettiva dei neuroni RORB, con la tecnologia basata su CRISPR sviluppata dal laboratorio di Kampmann.


I ricercatori hanno detto che non è chiaro se la RORB stessa causa la vulnerabilità selettiva delle cellule, ma la proteina fornisce una preziosa nuova 'maniglia' molecolare per gli studi futuri che cercheranno di capire cosa rende queste cellule facili a soccombere alla patologia del MA e in che modo la loro vulnerabilità potrebbe potenzialmente essere invertita.


"La nostra scoperta di un identificatore molecolare di queste cellule selettivamente vulnerabili ci dà l'opportunità di studiare in dettaglio esattamente perché soccombono alla patologia Tau, e cosa potrebbe essere fatto per renderle più resilienti", ha detto Leng. "Questo sarebbe un approccio totalmente nuovo e molto più mirato allo sviluppo di terapie per rallentare o prevenire la diffusione del MA".

 

 

 


Fonte: Nicholas Weiler in University of California - San Francisco (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Kun Leng, Emmy Li, Rana Eser, Antonia Piergies, Rene Sit, Michelle Tan, Norma Neff, Song Hua Li, Roberta Diehl Rodriguez, Claudia Kimie Suemoto, Renata Elaine Paraizo Leite, Alexander Ehrenberg, Carlos Pasqualucci, William Seeley, Salvatore Spina, Helmut Heinsen, Lea Grinberg & Martin Kampmann. Molecular characterization of selectively vulnerable neurons in Alzheimer’s disease. Nature Neuroscience, 11 Jan 2021, DOI

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