Iscriviti alla newsletter



Registrati alla newsletter (giornaliera o settimanale):
Ricevi aggiornamenti sulla malattia, gli eventi e le proposte dell'associazione. Il tuo indirizzo email è usato solo per gestire il servizio, non sarà mai ceduto ad altri.


Trovato trattamento neuroprotettivo per lesioni cerebrali traumatiche croniche (nei topi)

La lesione cerebrale traumatica (TBI) è una delle principali cause di deterioramento cognitivo, che colpisce milioni di persone in tutto il mondo. Nonostante la crescente consapevolezza sulle conseguenze progressive debilitanti, e per il resto della vita, della TBI, non esistono attualmente trattamenti che rallentano il processo deteriorativo.


I sopravvissuti alla TBI sono attualmente trattati con una riabilitazione fisica e cognitiva intensa, accompagnata da farmaci che possono attenuare i sintomi, ma non possono arrestare o rallentare la neurodegenerazione.


Ora, dei ricercatori hanno scoperto per la prima volta che questo processo può essere invertito farmacologicamente in un modello animale di questa condizione cronica, offrendo una prova di principio al settore e il potenziale percorso per una nuova terapia.


Lo studio dell'Harrington Discovery Institute degli University Hospitals (UH), della Case Western Reserve University (CWRU) e del Louis Stokes Cleveland VA Medical Center, è stato pubblicato di recente in Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).


Andrew A. Pieper MD/PhD, autore senior dello studio e direttore dell'Harrington Discovery Institute, docente di neuropsichiatria e professore di psichiatria alla CWRU, e psichiatra del Louis Stokes Cleveland VA Medical Center Geriatrics Research Education and Clinical Center (GRECC), spiega:

“La TBI può portare ad effetti negativi per tutta la vita su molteplici aspetti della salute. Gli esiti avversi a lungo termine del TBI includono di solito deterioramento senso-motorio, disfunzione cognitiva, o disregolazione emozionale, come depressione e ansia, compreso il peggioramento del disturbo da stress post-traumatico. Inoltre, la TBI aumenta significativamente il rischio di sviluppare in seguito forme di demenza legate all'invecchiamento, come l'Alzheimer e il Parkinson”.


Il dott. Pieper e il suo team hanno cercato di verificare se era possibile invertire la neurodegenerazione permanente cronica e i deficit cognitivi associati alla TBI, fatto mai dimostrato prima. Hanno usato un modello di topo che imita l'impatto della commozione cerebrale nelle persone di mezza età che avevano subito una TBI decenni prima, e hanno somministrato un composto neuroprotettivo che eleva l'energia, chiamato P7C3-A20, che in precedenza aveva dimostrato di avere valore terapeutico nella TBI acuta. Il gruppo di ricerca ha aspettato un anno dopo la ferita e ha poi somministrato il composto ai topi ogni giorno per un mese.


Con sorpresa, questo breve trattamento con P7C3-A20 ha ripristinato la funzione cognitiva normale. Hanno continuato ad osservare i topi per ulteriori quattro mesi, durante i quali non hanno dato più il composto. Al termine di questo periodo i topi hanno mostrato inaspettatamente una funzione cognitiva ancora normale. Così, dopo un solo mese di trattamento, la funzione cognitiva è rimasta migliore quattro mesi più tardi.


“Quando abbiamo esaminato il cervello al microscopio, abbiamo visto che la neurodegenerazione cronica dopo la TBI si era completamente fermata nei topi che erano stati trattati brevemente con P7C3-A20”, ha dichiarato Edwin Vázquez-Rosa PhD, primo coautore dello studio. “Quindi, dalla microscopia elettronica, abbiamo scoperto che il P7C3-A20 ha anche facilitato la riparazione delle cellule endoteliali che rivestono i vasi sanguigni del cervello”.


“Questa è la prima volta che abbiamo visto che IL P7C3-A20 è in grado di proteggere le cellule endoteliali all'interfaccia del sistema cardiovascolare e il cervello, nota come 'unità neurovascolare' (NVU)”, spiega Min-Kyoo Shin PhD, primo coautore dello studio.


Il deterioramento della NVU si verifica in quasi tutti i tipi di lesioni e di malattie cerebrali, ed è una caratteristica precoce e cronica ben nota dell'Alzheimer. Il team ha anche dimostrato che il P7C3-A20 protegge direttamente pure le cellule endoteliali microvascolari del cervello umano coltivate in laboratorio.


“Fatta eccezione per l'invecchiamento e la genetica, la TBI è il più grande fattore di rischio per l'Alzheimer”, spiega Matasha Dhar PhD, prima coautrice dello studio. “Ipotizziamo che preservare la barriera emato-encefalica al NVU possa essere un modo per proteggere i pazienti con TBI da questo aumento del rischio”.


Robert A. Bonomo MD, direttore associato dello staff e direttore della Cleveland GRECC afferma: “Questi risultati seminali hanno un enorme impatto a lungo termine sulla nostra popolazione di veterani che soffre di TBI”.


Attualmente non ci sono farmaci disponibili per proteggere direttamente la barriera ematoencefalica. Una medicina con questa proprietà, come ad esempio una derivata dalla serie di composti P7C3, avrebbe ampia applicabilità in numerose condizioni del cervello, compresa la TBI e il morbo di Alzheimer.

 

 

 


Fonte: University Hospitals Cleveland Medical Center via EurekAlert! (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: http://dx.doi.org/10.1073/pnas.2010430117 (n/a 21/10/2020)

Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

Notizie da non perdere

'Scioccante': dopo un danno, i neuroni si auto-riparano ripartendo d…

17.04.2020 | Ricerche

Quando le cellule cerebrali adulte sono ferite, ritornano ad uno stato embrionale, secon...

Ricercatori delineano un nuovo approccio per trattare le malattie degenerative

8.05.2024 | Ricerche

Le proteine sono i cavalli da soma della vita. Gli organismi li usano come elementi costitutivi, ...

Subiamo un 'lavaggio del cervello' durante il sonno?

4.11.2019 | Ricerche

Una nuova ricerca eseguita alla Boston University suggerisce che questa sera durante il ...

Il ciclo dell'urea astrocitica nel cervello controlla la lesione della me…

30.06.2022 | Ricerche

Nuove scoperte rivelano che il ciclo dell'urea negli astrociti lega l'accumulo di amiloide-beta e la...

Scoperto un fattore importante che contribuisce all'Alzheimer

22.08.2022 | Ricerche

Una ricerca guidata dai dott. Yuhai Zhao e Walter Lukiw della Luisiana State University ...

L'Alzheimer è composto da quattro sottotipi distinti

4.05.2021 | Ricerche

Il morbo di Alzheimer (MA) è caratterizzato dall'accumulo anomale e dalla diffusione del...

Il 'Big Bang' dell'Alzheimer: focus sulla tau mortale che cambi…

11.07.2018 | Ricerche

Degli scienziati hanno scoperto un "Big Bang" del morbo di Alzheimer (MA) - il punto pre...

Malato di Alzheimer: la casa di cura la paga lo Stato?

25.05.2023 | Normativa

Chi si fa carico delle spese per un malato di Alzheimer ricoverato in una casa di riposo? Scopriamo ...

Identificazione dei primi segnali dell'Alzheimer

7.03.2022 | Ricerche

Un team multidisciplinare di ricerca, composto da ricercatori del progetto ARAMIS, dell...

Sciogliere il Nodo Gordiano: nuove speranze nella lotta alle neurodegenerazion…

28.03.2019 | Ricerche

Con un grande passo avanti verso la ricerca di un trattamento efficace per le malattie n...

Scoperta nuova causa di Alzheimer e di demenza vascolare

21.09.2023 | Ricerche

Uno studio evidenzia la degenerazione delle microglia nel cervello causata dalla tossicità del ferro...

Perché il diabete tipo 2 è un rischio importante per lo sviluppo dell'Alz…

24.03.2022 | Ricerche

Uno studio dell'Università di Osaka suggerisce un possibile meccanismo che collega il diabete all'Al...

Come dormiamo oggi può prevedere quando inizia l'Alzheimer

8.09.2020 | Ricerche

Cosa faresti se sapessi quanto tempo hai prima che insorga il morbo di Alzheimer (MA)? N...

Accumulo di proteine sulle gocce di grasso implicato nell'Alzheimer ad es…

21.02.2024 | Ricerche

In uno studio durato 5 anni, Sarah Cohen PhD, biologa cellulare della UNC e Ian Windham della Rockef...

Sintomi visivi bizzarri potrebbero essere segni rivelatori dell'Alzheimer…

1.02.2024 | Ricerche

Un team di ricercatori internazionali, guidato dall'Università della California di San F...

Proteine grumose induriscono i capillari del cervello: nuovo fattore di rischi…

11.09.2020 | Ricerche

I depositi di una proteina chiamata 'Medin', che è presente in quasi tutti gli anziani, ...

Riprogrammare «cellule di supporto» in neuroni per riparare il cervello adulto…

21.11.2014 | Ricerche

La porzione del cervello adulto responsabile del pensiero complesso, la corteccia cerebrale, non ...

Pensaci: tenere attivo il cervello può ritardare l'Alzheimer di 5 anni

21.07.2021 | Ricerche

Mantenere il cervello attivo in vecchiaia è sempre stata un'idea intelligente, ma un nuo...

Stimolazione dell'onda cerebrale può migliorare i sintomi di Alzheimer

15.03.2019 | Ricerche

Esponendo i topi a una combinazione unica di luce e suono, i neuroscienziati del Massach...

Demenze: forti differenze regionali nell’assistenza, al Nord test diagnostici …

30.01.2024 | Annunci & info

In Iss il Convegno finale del Fondo per l’Alzheimer e le Demenze, presentate le prime linee guida...

Logo AARAssociazione Alzheimer OdV
Via Schiavonesca 13
31039 Riese Pio X° (TV)