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Cercare tutti gli indizi, anche genetici, nei percorsi che portano all'Alzheimer

RGB Microglia BIN1Cervello di topo colorato con anticorpi con depositi di amiloide-β. Le proteine precursori dell'amiloide all'interno dei neuroni sani e i processi neuronali gonfiati sono in blu. Il fattore di rischio BIN1 è in verde, e un marcatore delle cellule gliali causa di neuroinfiammazione è in magenta. (Fonte: Gopal Thinakaran)

Il forte aumento del numero di americani che muoiono di morbo di Alzheimer (MA) - il 145% tra il 2000 e il 2017 - non è semplicemente evidente nelle statistiche senza precedenti guidate da una popolazione che invecchia. Questa malattia neurodegenerativa, che fa declinare inesorabilmente la mente, è sopportata da chi vive più anni in uno stato di disabilità e di dipendenza prima di morire, e dai familiari che si occupano di loro.


Non ci sono trattamenti per curare o rallentare la progressione del MA, la principale forma di demenza che affligge circa 5,8 milioni di americani.


“L'obiettivo della nostra ricerca è ridurre la patologia del cervello che porta al MA, identificare trattamenti mirati per ritardare l'insorgenza della malattia e proteggere la funzione cognitiva”, ha detto Gopal Thinakaran PhD, professore di medicina molecolare e decano associato per la ricerca in neuroscienze alla University of South Florida (USF). “Trovare il modo di estendere le funzioni cognitive in modo che una persona anziana sia ancora in grado di svolgere le sue attività quotidiane o di riconoscere una persona cara - anche per altri cinque anni - sarebbe di grande beneficio sia per coloro che soffrono di MA, che per le loro famiglie e per i caregiver”.


Il dott. Thinakaran, riconosciuto a livello internazionale come ricercatore del MA, è arrivato alla USF dall'Università di Chicago lo scorso agosto per contribuire ad accelerare il lavoro interdisciplinare del Neuroscience Institute. Ciò comprende l'assunzione di una massa critica di scienziati di base che possono integrare la ricerca continua sul MA dell'università, espandendo nel contempo gli sforzi per tradurre i risultati di laboratorio in nuove terapie per altre malattie neurodegenerative, come il Parkinson, le atassie, la SLA e la sclerosi multipla.

 

Sondare i cambiamenti molecolari e cellulari sottostanti la patologia

Oltre al suo ruolo di leadership, il dott. Thinakaran sovrintende un laboratorio dove usa tecniche di avanguardia di biologia cellulare e topi modello per studiare i processi molecolari e cellulari alla base del MA. La sua ricerca è supportata da più di $ 6,1 milioni di sovvenzioni del National Institute on Aging.


Con l'invecchiamento normale del cervello, le persone sperimentano vuoti minori di memoria (tipo dimenticare dove hanno lasciato le chiavi, o il nome di qualcuno appena incontrato) e un certo calo di velocità di elaborazione delle informazioni. Ma i deterioramenti dell'attenzione, della memoria, del linguaggio, del pensiero e del processo decisionale che interferiscono con la vita quotidiana sono segni di demenza.


Il laboratorio del dott. Thinakaran persegue scoperte su geni relativamente nuovi identificati da studi di associazione sull'intero genoma per ottenere informazioni sui meccanismi di del MA ad insorgenza tardiva, che colpisce le persone dopo i 65 anni e rappresenta la stragrande maggioranza dei casi. Recentemente, il gruppo ha studiato il ruolo del bridging integrator 1 (BIN1), il secondo fattore di rischio genetico per il MA ad insorgenza tardiva (superato per prevalenza solo dall'APOE). Circa il 40% delle persone con il MA hanno una delle tre varianti nel gene BIN1, un difetto in un singolo blocco di costruzione del DNA (nucleotide) che aumenta il rischio della malattia, ha detto il dott. Thinakaran.

 

Cercare un fattore di rischio comune per il MA a insorgenza tardiva

Il BIN1, espresso in tutte le cellule del corpo, ha dimostrato di avere un ruolo nella soppressione dei tumori e nello sviluppo muscolare, ma sappiamo poco su cosa fa la proteina nel cervello. Il dott. Thinakaran è stato tra i primi ad abbracciare la sfida di capire come il BIN1 contribuisce al rischio di MA in un momento in cui la maggior parte dei ricercatori è concentrata su amiloide e tau, due proteine ​​considerate i fattori principali della patologia di MA.


Ora, la sua squadra e pochi altri in tutto il paese sondano ciò che va storto nei pazienti di MA portatori dell'allele di rischio BIN1. Hanno già confermato che il BIN1 è presente sia nelle cellule cerebrali nervose (neuroni) che in quelle non neuronali, come gli oligodendrociti e le microglia.


Un cervello umano sano contiene decine di miliardi di neuroni che elaborano e trasmettono messaggi chimici (neurotrasmettitori) attraverso un piccolo divario tra i neuroni chiamato sinapsi. Il MA distrugge gravemente questa comunicazione sinaptica, uccidendo infine le cellule in tutto il cervello e portando ad un declino rapido nella memoria e ad altri segni di demenza.


“La maggiore singola correlazione con il declino cognitivo è la perdita di questi centri di comunicazione sinaptici tra i neuroni”, ha detto il dott. Thinakaran, aggiungendo che gli individui più suscettibili a sviluppare il MA pieno in età avanzata sono quelli che perdono il maggior numero di sinapsi.


In uno studio pubblicato online lo scorso anno come manoscritto Cell Reports Sneak Peak e da allora accettato per la pubblicazione, il dott. Thinakaran e i colleghi hanno dimostrato per la prima volta che la perdita di espressione del BIN1 compromette l'apprendimento spaziale e la memoria associata al ricordo di dove si trovano le cose. I ricercatori hanno usato topi modello di MA ai quali era stata disattivata l'espressione di BIN1 neuronale nell'ippocampo, una regione del cervello coinvolta con le funzioni cognitive superiori.

 

Scoprire un difetto nella comunicazione delle cellule cerebrali

I ricercatori hanno scoperto che una mancanza di BIN1 porta a un difetto nella trasmissione dei neurotrasmettitori necessari per attivare la comunicazione delle cellule cerebrali, che ci permette di pensare e di comportarci. Ulteriori analisi hanno verificato che il BIN1 è localizzato di preferenza sui neuroni che inviano i neurotrasmettitori attraverso la sinapsi (siti pre-sinaptici) piuttosto che sui neuroni che ricevono i messaggi dai neurotrasmettitori (siti post-sinaptici). La carenza di BIN1 è stata associata anche ad una ridotta densità delle sinapsi; a una riserva di vescicole attraccate (i vettori a forma di bolle che trasferiscono i neurotrasmettitori da neuroni presinaptici a quelli postsinaptici); e probabilmente a un rilascio più lento dei neurotrasmettitori dalle loro vescicole.


“Le nostre scoperte fatte finora, che il BIN1 è localizzato proprio sul punto di comunicazione (presinaptico), e può regolare con precisione il rilascio delle vescicole con i neurotrasmettitori, ci porta molto più vicino alla comprensione di come il BIN1 potrebbe esercitare la sua funzione come fattore di rischio (per il MA)”, ha detto il dott. Thinakaran. “Abbiamo il sospetto che aiuti a controllare l'efficacia con cui comunicano i neuroni”.


Il gruppo del dott. Thinakaran è interessato anche ad indagare se le varianti di rischio del BIN1 possono interferire con la capacità protettiva delle glia (cellule di supporto ai neuroni) nel montare una risposta infiammatoria piena necessaria per eliminare le tossine dal cervello. Il suo gruppo all'USF lavorerà con i ricercatori della Emory University per approfondire il motivo per cui l'assenza di BIN1 può compromettere la rimozione dal cervello della proteina amiloide-beta anomala associata al MA.

 

Esplorare la connessione con il diabete tipo 2

Collaborando con un ricercatore dell'Università del Kentucky, il dott. Thinakaran sta esplorando il legame molecolare tra il diabete di tipo 2 e la progressione del MA. Un topo modello di MA creato nel laboratorio di Thinakaran permette ai ricercatori di accendere, o spegnere, la produzione dell'ormone umano amilina nel pancreas.


Mentre il diabete inizia a svilupparsi, l'amilina è secreta dal pancreas a livelli più alti, insieme con l'insulina. Piccole quantità di questo eccesso di amilina migrano dalle cellule pancreatiche nel flusso sanguigno e possono attraversare la barriera emato-encefalica, in particolare nel cervello più anziano, dove la barriera protettiva diventa permeabile. L'amilina poi si mescola con l'amiloide-beta del cervello, che alla fine forma le placche amiloidi appiccicose che sono una caratteristica della patologia di MA. I ricercatori testeranno nel loro modello preclinico se questa amilina cerebrale alza il rischio di MA, e se la riduzione dell'amilina nella circolazione periferica può aiutare a prevenire o rallentare il danno alla cognizione.


Gli scienziati stanno ancora cercando di capire il motivo per cui alcune persone restano cognitivamente resilienti per tutta la vita, pur avendo la neuropatologia che altrimenti causa la demenza. All'orizzonte, ha detto il dott. Thinakaran, integrare grandi basi di dati di espressione genica e singoli tipi di cellule, aiuterà gli scienziati ad approfondire quali cambiamenti infiammatori e metabolici, e circuiti neurali specifici, trasformano un cervello che invecchia normalmente in uno dove c'è un'accelerazione delle capacità anomale di ricordare, pensare e ragionare.


Allo stesso tempo, vengono raccolti dati sulla genetica e l'ambiente / stile di vita (alimentazione, esercizio fisico e mentale, modelli di sonno e fattori di rischio cardiovascolare non controllati come ipertensione, diabete e colesterolo alto) sia per i pazienti nelle varie fasi del MA che per gli anziani con funzioni cognitive normali. “Confrontare questi due insiemi di dati sarà estremamente prezioso per comprendere ciò che conferisce maggiore rischio e delineare quello che può mantenere il nostro cervello sano mentre invecchiamo", ha detto il dott. Thinakaran.

 

 

 


Fonte: Anne DeLotto Baier in University of South Florida (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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