Il passare del tempo è una misura oggettiva. Un minuto è di 60 secondi e un'ora è di 60 minuti e così via.
Tuttavia, il cervello elabora il tempo nel regno dei ricordi e delle esperienze, quindi non è sempre così preciso come i minuti e i secondi.
Uno studio recente, condotto da ricercatori del Kavli Institute for Systems Neuroscience in Norvegia, mostra che esiste una rete specifica di cellule nel cervello che esprime il nostro senso del tempo e lo mischia a ricordi ed esperienze, quindi è un concetto completo.
Edvard Moser, premio Nobel e direttore del Kavli Institute, che ha sede presso l'Università Norvegese di Scienza e Tecnologia (NTNU), ha spiegato: "Questa rete fornisce marcatori temporali agli eventi e tiene traccia dell'ordine degli eventi all'interno di un'esperienza. Questa area del cervello, dove si sperimenta il tempo, si trova proprio accanto alla regione che codifica lo spazio".
Per definire il tempo sono stati creati gli orologi. Gli appuntamenti, gli orari di lavoro e gli eventi dipendono dal sapere quando iniziare e quando terminare. La standardizzazione di queste materie è essenziale per il funzionamento della società. Però non è così che funziona il cervello. Il tempo, nella mente, è tessuto in modo intricato nei nostri ricordi e nelle nostre esperienze. È completamente diverso da minuti e secondi.
Il concetto di "orologio neurale" è simile al ritmo circadiano del giorno e della notte; solo che è interno e alquanto soggettivo. Nel cervello, le cellule dell'ippocampo agiscono come un arco del tempo che ci permette di ricordare esperienze che durano dieci secondi, dieci minuti o dieci ore, ma questi ricordi non sono definiti dalla loro durata. È questa parte del cervello che ci aiuta ad adattarci al concetto esterno del tempo.
La ricerca precedente di May-Britt Moser e del professor Moser, insieme al Dr. John O'Keefe, sul sistema di posizionamento del cervello hanno portato alla condivisione del Premio Nobel 2014 per Fisiologia o Medicina. In quel lavoro, è stato scoperto il meccanismo di come il cervello percepisce lo spazio, cioè dove viviamo e dove andiamo, ma la percezione del tempo è stata un po' più difficile da fissare.
Il lavoro pubblicato di recente dal team del Kavli Institute suggerisce che nel cervello il tempo è organizzato da esperienze e ricordi che sono in ordine, ma secondo criteri soggettivi, non solo minuti e secondi.
Albert Tsao, uno degli autori del lavoro sul tempo, e dottorando di ricerca al tempo della ricerca premiata dal Nobel, ha scritto: "Il nostro studio rivela che il cervello ha un senso del tempo quando viene sperimentato un evento. La rete non codifica esplicitamente il tempo. Quello che misuriamo è piuttosto un tempo soggettivo derivato dal flusso continuo dell'esperienza". In linea di massima, nel cervello l'orologio è soggettivo e basato su esperienze ed eventi, non su unità matematiche.
Tsao si è concentrato sulla corteccia entorinale laterale (LEC). Questa area del cervello è proprio accanto alla corteccia entorinale mediale (MEC), che è dove il prof. Moser aveva trovato la rete di segnalazione cellulare che elaborava lo spazio. A differenza delle cellule dello spazio, il LEC era un bersaglio mobile. I segnali cambiano continuamente e non è stato possibile trovare alcun modello reale che mostrasse come il cervello mantenesse il tempo.
Una volta che il team ha capito che i segnali cambiano nel tempo, i pezzi del puzzle si sono uniti. Il cervello organizza il tempo come eventi e ricordi, non solo luoghi e punti di tempo. Moser ha spiegato: "Il tempo è un processo non equilibrato, è sempre unico e mutevole. Se la rete fosse effettivamente codificata per il tempo, il segnale dovrebbe cambiare nel tempo per registrare esperienze come ricordi unici".
Tsao e Moser, insieme ai colleghi dell'Istituto Kavli, credono che questo sia l'«orologio neurale» che il cervello usa per tenere traccia del tempo. Ulteriori esperimenti con ratti di laboratorio hanno registrato la segnalazione cellulare nel cervello dei ratti mentre vagavano intorno a un nuovo ambiente in prove cronometrate. Questi segnali registravano il modo in cui i ratti stavano segnando il tempo, in piccoli frammenti di memoria episodica.
Moser ha spiegato che lo studio dimostra che il modo in cui percepiamo il tempo può essere cambiato modificando le attività che intraprendiamo e il contenuto delle nostre esperienze. Potrebbe sembrare tutto incerto e traballante, ma il cervello ha un suo modo di organizzare la nostra percezione del tempo.
Guarda il video per saperne di più su questa nuova ricerca.
Fonte: Brenda Kelley Kim in LabRoots (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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