Nel 1959, uno scienziato di nome Edward Grey ha dimostrato che le sinapsi, i minuscoli spazi tra i neuroni dove vengono inviati messaggi chimici, sono di due tipi principali, che i ricercatori in seguito hanno chiamato 'eccitatorio' e 'inibitorio'.
Le sinapsi inibitorie agiscono da freno nel cervello, impedendogli di diventare sovra-eccitato. I ricercatori pensavano che fossero meno sofisticate rispetto alle omologhe eccitatorie perché in queste strutture si vedeva un numero relativamente basso di proteine.
Ma un nuovo studio condotto da ricercatori della Duke University, pubblicato il 9 settembre in Science, capovolge questa ipotesi, avendo scoperto 140 proteine che non sono mai state mappate nelle sinapsi inibitorie: "E' come se queste proteine fossero rimaste rinchiuse in una cassaforte per oltre 50 anni, e crediamo che il nostro studio abbia scassinato la cassaforte", ha dichiarato Scott Soderling, ricercatore senior dello studio, nonchè professore associato di biologia cellulare e neurobiologia alla Duke. "E ci sono molte perle".
In particolare, 27 di queste proteine sono già state segnalate da «studi di associazione sull'intero genoma» per il loro ruolo nell'autismo, nei disturbi mentali e nell'epilessia, ha detto Soderling, suggerendo che i loro meccanismi nelle sinapsi potrebbero fornire nuovi percorsi per capire e trattare questi disturbi.
Le sinapsi sono obiettivi comuni di farmaci usati per trattare malattie del cervello, ma sono anche modificate dai farmaci anti-abuso. Circa 40 proteine erano già note per raggrupparsi sulle sinapsi inibitorie, fatto importante non solo per la prevenzione della sovreccitazione (che può innescare convulsioni), ma anche per indurre modelli di segnali cerebrali: "La sinapsi inibitoria è altrettanto importante della sinapsi eccitatoria, ma non avevamo un buon modo di purificare le proteine che erano lì, quindi non avevamo capito come funzionava", ha detto Soderling.
Nel nuovo studio il ricercatore postdottorato Akiyoshi Uezu, del gruppo di Soderling, ha usato una tecnica di marcatura relativamente recente chiamata BioID, che usa un enzima batterico per pescare eventuali proteine vicine e si lega ad esse in maniera irreversibile, in un topo vivente. Le proteine catturate vengono poi recuperate dal tessuto e identificate con metodi assodati di caratterizzazione delle proteine.
Il pomeriggio che Soderling e Uezu hanno realizzato che la tecnica stava estraendo nuove proteine dalla sinapsi inibitoria "entrambi siamo quasi caduti dalla sedia", ha detto Soderling. "Abbiamo visto questo enorme elenco di proteine davvero emozionanti che nessuno aveva mai visto prima".
Due delle proteine non avevano alcuna funzione conosciuta e, a differenza di altre proteine, le loro sequenze di geni non fornivano alcun indizio. I ricercatori le hanno chiamate Sinapsi inibitoria 1 (InSyn1) e Sinapsi inibitoria 2 (InSyn2). Riducendo i livelli di InSyn1 in singoli neuroni hanno indotto il tessuto cerebrale circostante a diventare sovraeccitato, suggerendo che la proteina è cruciale per il normale funzionamento delle sinapsi inibitorie.
Più emozionante per Soderling era che studi genetici precedenti avevano mostrato che molte delle proteine causano una forma ereditaria di epilessia e tuttavia era sconosciuto il ruolo specifico delle proteine: "Trovarle nella sinapsi inibitoria ci dà davvero importanti informazioni. L'ipotesi ora è che queste mutazioni compromettano la capacità dei neuroni di inibire l'attività. Questo è qualcosa che stiamo attivamente studiando".
In più, i neuroni hanno altre strutture con parti di liste incomplete di proteine. Il team di Soderling sta collaborando con altri ricercatori che sono interessati a sondare questi altri punti attraverso il BioID, che era stato originariamente sviluppato per le cellule nella capsula di Petri. Soderling pubblicherà un protocollo sulla pagina web del suo laboratorio in modo che altri possano imparare come implementare questo metodo nei topi.
Infine, il team prevede di esplorare il ruolo delle sinapsi inibitorie nella formazione della memoria a lungo termine, che è abilitata dalle sinapsi attraverso il cambio della forza delle loro connessioni nel tempo. Soderling ha detto che il modo con cui operano nella memoria le connessioni inibitorie è molto meno conosciuto di quello delle sinapsi eccitatorie.
Fonte: Duke University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Akiyoshi Uezu, Daniel J. Kanak, Tyler W.A. Bradshaw, Erik J. Soderblom, Christina M. Catavero, Alain C. Burette, Richard J. Weinberg, and Scott H. Soderling. Identification of an Elaborate Complex Mediating Postsynaptic Inhibition. Science, September 2016 DOI: 10.1126/science.aag0821
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