I risultati della risonanza magnetica quantitativa e i test neuropsicologici hanno dimostrato dei miglioramenti senza precedenti di dieci pazienti con Alzheimer (AD) iniziale, o con i suoi precursori, in seguito al trattamento con una terapia programmatica e personalizzata.
I risultati dell'approccio chiamato «Miglioramento Metabolico per la Neurodegenerazione» (MEND - Metabolic Enhancement for NeuroDegeneration) sono ora disponibili on-line sulla rivista Aging.
Lo studio, eseguito congiuntamente dall'Istituto Buck per la Ricerca sull'Invecchiamento e dagli Easton Laboratories for Neurodegenerative Disease Research dell'UCLA, è il primo a dimostrare oggettivamente che la perdita di memoria può essere invertita nei pazienti umani (non nei topi), e che il miglioramento può essere mantenuto, con un complesso programma terapeutico personalizzato di 36 punti che comporta cambiamenti nella dieta, la stimolazione del cervello, l'esercizio fisico, l'ottimizzazione del sonno, farmaci e vitamine specifici, e diverse altre azioni aggiuntive che influenzano la chimica del cervello.
"Tutti questi pazienti avevano un decadimento cognitivo lieve (MCI) ben definito o un deficit cognitivo soggettivo (SCI) o una diagnosi di AD fatta prima di iniziare il programma", ha detto l'autore Dale Bredesen MD, professore dell'Istituto Buck e dei Laboratori Easton, che ha notato che i pazienti che avevano dovuto smettere di lavorare sono riusciti a tornare al lavoro e coloro che lottavano nel loro lavoro sono riusciti a migliorare le loro prestazioni. "I test successivi hanno dimostrato che alcuni dei pazienti sono passati dall'anormalità alla normalità".
Uno dei casi più eclatanti è quello di un professionista 66-enne i cui test neuropsicologici erano compatibili con una diagnosi di MCI e le cui scansioni PET avevano mostrato una ridotta utilizzazione del glucosio indicativa di AD. Una risonanza magnetica ha mostrato che il volume dell'ippocampo era solo nel 17° percentile per la sua età. Dopo 10 mesi di protocollo, una risonanza magnetica ha mostrato un drastico aumento del suo volume ippocampale, passato al 75° percentile, con un incremento assoluto associato del volume di quasi il 12 per cento.
In un altro caso, un 69-enne professionista e imprenditore, che era in procinto di chiudere la sua attività, si è sottoposto al protocollo dopo 11 anni di perdita progressiva di memoria. Dopo sei mesi la moglie, i colleghi di lavoro, e lui stesso, hanno notato un miglioramento nella memoria. E' tornata nella sua testa la capacità di tutta la vita di sommare colonne di numeri rapidamente e ha riferito la capacità di ricordare la sua agenda e riconoscere i volti sul posto di lavoro. Dopo 22 mesi di protocollo è tornato per i test neuropsicologici quantitativi di follow-up; i risultati hanno dimostrato dei notevoli miglioramenti in tutte le categorie del richiamo a lungo termine, passando dal 3° all'84° percentile. E sta espandendo la sua attività.
Un altro paziente, una donna di 49 anni che aveva notato una progressiva difficoltà a trovare le parole e a riconoscere i visi ha usato il protocollo dopo aver eseguito un test neuropsicologico quantitativo in una grande università. Le era stato detto che era nelle prime fasi del declino cognitivo e quindi non poteva iscriversi a un programma di prevenzione di Alzheimer. Dopo diversi mesi sul protocollo ha notato un netto miglioramento nel richiamo, nella lettura, nella navigazione, nel vocabolario, nella chiarezza mentale e nel riconoscimento facciale. E' tornata anche la sua abilità per le lingue straniere. Nove mesi dopo l'inizio del programma ha ripetuto i test neuropsicologici nello stesso sito dell'università, mostrando l'assenza di declino cognitivo.
Tutti, tranne uno, dei dieci pazienti inclusi nello studio hanno un rischio genetico di AD, essendo portatori di almeno una copia dell'allele APOE4. Cinque dei pazienti portano due copie dell'APOE4 che dà loro un rischio 10-12 volte maggiore di sviluppare l'AD.
"Stiamo entrando in una nuova era", ha detto Bredesen. "Il vecchio consiglio era di evitare i test dell'APOE perché non c'era niente da fare per evitare la malattia. Ora stiamo raccomandando alle persone di verificare il loro status genetico il più presto possibile in modo da attuare la prevenzione". Il 65 per cento dei casi di Alzheimer in questo paese coinvolge l'APOE4, e sette milioni di persone sono portatori di due copie dell'allele APOE4.
L'approccio basato sul sistema di Bredesen, per invertire la perdita di memoria, fa seguito al misero fallimento delle monoterapie progettate per trattare l'AD e al successo delle terapie combinate per il trattamento di altre malattie croniche, come le malattie cardiovascolari, il cancro e l'HIV. Bredesen dice che decenni di ricerca biomedica, sia nel suo laboratorio che in quello di altri, hanno rivelato che nella patogenesi è coinvolta una vasta rete di interazioni molecolari, suggerendo che un approccio terapeutico con una base più ampia può essere più efficace.
Nota:
E' di oggi anche la notizia che i Muses Labs hanno stretto una partnership con il Centro di Medicina Integrativa della George Washington University per offrire il Protocollo MEND™ ai pazienti dell'area di Washington, DC.
Questo accordo consente alle persone con declino cognitivo pre-sintomatico e precoce, così come ai pazienti con Alzheimer lieve, di beneficiare del protocollo MEND tramite il programma di salute mentale del centro, operato in collaborazione con la Clinica della Memoria della George Washington University.
(Fonte: Business Wire)
"Immaginate di avere un tetto con 36 buchi, e il vostro farmaco ripara molto bene un solo foro; il farmaco può avere funzionato, magari ha riparato un unico 'buco', ma ci sono ancora 35 perdite, e così il processo sottostante potrebbe non essere influenzato così tanto", ha detto Bredesen. "Pensiamo che affrontare bersagli multipli all'interno della rete molecolare possa essere additivo o addirittura sinergico, e che un tale approccio combinato possa pure migliorare le prestazioni del farmaco candidato".
Pur essendo incoraggiato dai risultati dello studio, Bredesen ammette che deve essere fatto di più. "L'entità del miglioramento in questi dieci pazienti non ha precedenti, e fornisce ulteriori prove oggettive che questo approccio programmatico al declino cognitivo è molto efficace", ha detto Bredesen. "Anche se vediamo le implicazioni di vasta portata di questo successo, ci rendiamo conto che questo è un piccolo studio che deve essere replicato con numeri più alti in vari siti". Sono in sviluppo i piani per studi più ampi.
Il declino cognitivo è spesso indicato come la principale preoccupazione degli anziani. L'Alzheimer colpisce già ora circa 5,4 milioni di americani e 30 milioni di persone nel mondo. Senza prevenzione e un trattamento efficace, le prospettive per il futuro sono tetre: entro il 2050, si stima che 160 milioni di persone nel mondo avranno la malattia, compresi 13 milioni di americani, portando al potenziale fallimento del sistema Medicare. A differenza di molte altre malattie croniche, l'Alzheimer è in aumento, stime recenti suggeriscono che l'AD è diventata la terza causa di morte negli Stati Uniti dietro le malattie cardiovascolari e il cancro.
"The Bredesen Protocol", il libro del Dr. Bredesen che descrive a un pubblico non specialista gli interventi descritti in questo documento, sarà pubblicato dalla Penguin Random House in Maggio 2017. Il Dr. Bredesen spera alla fine di trasformare la percezione e la realtà dell'Alzheimer da una condanna a morte a una condizione reversibile e prevenibile.
Fonte: Buck Institute for Research on Aging (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Dale E. Bredesen, Edwin C. Amos, Jonathan Canick, Mary Ackerley, Cyrus Raji, Milan Fiala, and Jamila Ahdidan. Reversal of cognitive decline in Alzheimer's disease. Aging, Published: 12/06/2016
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