Un biosensore portatile, in grado di mostrare come sta progredendo la malattia nei pazienti con Alzheimer, potrebbe in futuro migliorare notevolmente la qualità della vita delle persone.
Questa è la conclusione di una nuova revisione di studi scientifici precedenti, pubblicata sulla rivista Biosensors and Bioelectronics.
Gli autori della revisione, della Florida International University, stanno adottando un nuovo approccio per la diagnosi della malattia: misurano la quantità di un peptide chiamato amiloide-beta nel sangue con un test point-of-care (in un punto medico più vicino al paziente) economico, veloce e preciso. Essi sperano che il loro nuovo approccio aiuterà i pazienti, compresi quelli dei paesi in via di sviluppo, a beneficiare di un trattamento personalizzato dell'Alzheimer.
Questa malattia presenta elevati livelli di amiloide-beta nel cervello, che portano alla degenerazione delle cellule cerebrali. I medici possono usare vari tipi di scansione e test immunologici, come la risonanza magnetica e i test ELISA, per stimare la quantità di amiloide-beta nel cervello, che dà loro l'indicazione di come sta progredendo la malattia. Ma la proteina può anche essere presente a livelli più bassi nel sangue, il che la rende un biomarcatore utile per diagnosticare e monitorare la progressione della malattia.
Attualmente non esiste un modo sensibile o economico per misurare i livelli di amiloide-beta nel sangue. Il team che sta dietro alla nuova revisione ha in programma di cambiare la situazione.
"Vogliamo sviluppare un sistema point-of-care, dove una piccola goccia di plasma sanguigno può rivelare subito il livello di amiloide-beta, così che un medico possa delineare subito la terapia del paziente", ha spiegato il dottor Ajeet Kaushik, autore principale della revisione, dell'Università della Florida. "I farmaci usati per trattare l'Alzheimer possono avere effetti collaterali, quindi è meglio non superare le dosi. Con i dati giusti, i medici possono rispondere rapidamente ai cambiamenti nel cervello di un paziente, riducendo o aumentando la dose".
Nel corso della revisione, il Dr. Kaushik e i suoi colleghi hanno esaminato tutti i metodi disponibili per misurare la concentrazione di amiloide-beta nel tessuto cerebrale e nel sangue. Nessuno dei test esistenti può essere fatto vicino al letto del paziente e tutti hanno bisogno di particolari competenze e di grandi campioni. Inoltre impiegano molto tempo per generare un risultato utile; il test principale disponibile, chiamato ELISA, richiede da 6 a 8 ore.
In confronto, il biosensore semplice ed economico che il Dr. Kaushik e i colleghi descrivono può misurare l'amiloide-beta nel sangue su concentrazioni molto piccole in appena mezz'ora. "Anche se le tecnologie esistenti sono ben assodate, dobbiamo muoverci verso test su piccoli campioni e con alta precisione, che possono essere usati in tutti gli ambienti, dai paesi sviluppati agli ambienti rurali. Il nostro obiettivo è mettere a punto un test sensibile, piccolo ed economico", ha detto il dottor Kaushik.
Per sviluppare il nuovo biosensore il team avrà bisogno di molti campioni di bio-liquido prelevati in diverse fasi della malattia. Trovare tutti i campioni di cui hanno bisogno sarà impegnativo, ma la revisione dimostra che il biosensore è realizzabile in futuro.
Il Dr. Kaushik ha concluso: "Un test rapido via biosensore consentirà a un medico di raccogliere informazioni sulla progressione della malattia e di vedere cosa succede a un paziente nel corso del tempo. Inoltre mostrerà se e quando la malattia raggiunge un livello incurabile. In futuro speriamo che un test a biosensore rapido per l'Alzheimer possa aiutare gli scienziati a studiare la progressione della malattia e aiutare i clinici a fornire una terapia personalizzata ai pazienti".
Fonte: Elsevier via AlphaGalileo (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Ajeet Kaushik, Rahul Dev Jayant, Sneham Tiwari, Arti Vashist, Madhavan Nair. Nano-biosensors to detect beta-amyloid for Alzheimer's disease management. Biosensors and Bioelectronics, 2016; 80: 273 DOI: 10.1016/j.bios.2016.01.065
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