Nuove scoperte fatte alla Università di Lund in Svezia dimostrano che la causa della patologia dell'amiloide-beta (la sostanza che, nel cervello, danneggia la memoria e la cognizione delle persone con Alzheimer) potrebbe essere più versatile di quanto si credeva.
I ricercatori ritengono che queste nuove scoperte possano essere importanti per lo sviluppo di nuovi farmaci.
L'accumulo della proteina amiloide-beta nel cervello è un segno dell'Alzheimer (AD). Quantità sufficientemente grandi [di essa] provocano le placche, che bloccano le funzioni delle cellule nervose e quindi alterano la memoria e le capacità cognitive del paziente.
Una piccola percentuale di malati di Alzheimer ha un gene di rischio ereditario, che causa la sovrapproduzione di amiloide-beta nel cervello. In tutti gli altri casi, la causa della malattia è stata finora spiegata con la scarsa capacità del corpo di scomporre e rimuovere l'amiloide. Tuttavia, questi nuovi risultati forniscono un quadro più sfumato.
"Nel nostro studio, abbiamo dimostrato che l'accumulo di amiloide nel cervello è associato a livelli alti di peptidi amiloidi specifici nel liquido cerebrospinale. Ciò significa che la sovrapproduzione di amiloide-beta può contribuire allo sviluppo dell'AD in alcune persone, anche se non sono portatori del gene di rischio ereditario per l'AD. Il fatto che la malattia in questi individui possa essere attribuita sia alla sovrapproduzione che all'incapacità di abbattere l'amiloide-beta potrebbe essere importante per il futuro sviluppo di farmaci e trattamenti", spiega Niklas Mattsson, ricercatore dell'Università di Lund e medico specialista allo Skåne University Hospital.
Lo studio ha rilevato un aumento dei livelli di amiloide-beta in un ampio gruppo di pazienti senza gene di rischio ereditario. Più di 330 svedesi hanno partecipato allo studio, alcuni dei quali soffrivano di disturbi cognitivi lievi (che può essere un segno precoce dell'Alzheimer), mentre gli altri facevano parte di un gruppo di soggetti sani di controllo. "Siamo stati sorpresi dai risultati. Il nostro studio sottolinea che l'Alzheimer è probabilmente una malattia più eterogenea di quello che abbiamo creduto finora", continua Niklas Mattsson.
"La scoperta è importante perché aumenta la comprensione di come sorge l'Alzheimer. La nostra speranza è che questo studio e altri simili possano aumentare le possibilità di personalizzazione dei trattamenti che rallentano la malattia in futuro", dice Oskar Hansson, docente dell'Università di Lund e consulente dello Skåne University Hospital.
Tuttavia, sono necessari ulteriori studi per verificare i risultati. A parte il numero di partecipanti, i punti di forza di questo studio comprendono l'uso di tre diversi metodi per ottenere risultati di misura accurati: campioni di liquido cerebrospinale, scansioni PET e analisi genetiche. Una debolezza dello studio è che esso non include misurazioni del tessuto cerebrale, come avviene spesso negli studi sull'Alzheimer.
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Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, ha ricevuto finanziamenti dalla Lund University, dal Consiglio europeo della ricerca, dal Consiglio svedese della ricerca, dalla Marianne e Marcus Wallenberg Foundation e dalla Regione Skåne.
Fonte: Lund University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Niklas Mattsson, Philip S. Insel, Sebastian Palmqvist, Erik Stomrud, Danielle van Westen, Lennart Minthon, Henrik Zetterberg, Kaj Blennow, Oskar Hansson. Increased amyloidogenic APP processing in APOE ɛ4-negative individuals with cerebral β-amyloidosis. Nature Communications, 2016; 7: 10918 DOI: 10.1038/ncomms10918
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