Da uno studio su animali, condotto in modo innovativo per imitare gli studi clinici sull'uomo, i ricercatori della University of California di San Diego hanno concluso che il trattamento a lungo termine con un farmaco a piccola molecola (che riduce l'attività dei circuiti cerebrali dello stress) riduce significativamente la neuropatologia di Alzheimer (AD) e previene l'insorgenza del deterioramento cognitivo in topi modello della malattia neurodegenerativa.
I risultati sono descritti on line nel numero corrente della rivista Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association.
I risultati sottolineano la complessità e la diversità dell'AD, le cui cause sembrano essere un mix di genetica, stile di vita e fattori ambientali. Ricerche precedenti avevano dimostrato un legame tra vie di segnalazione dello stress nel cervello e l'AD. In particolare nel cervello di AD, è disregolato il rilascio di un ormone che ci fa convivere con lo stress, chiamato «fattore di rilascio della corticotropina» (CRF), che è ampiamente presente nel cervello e agisce da neurotrasmettitore / neuromodulatore ed è associato all'alterazione della cognizione e ad altre alterazioni negative della proteina tau e all'aumento della produzione di amiloide-beta, quei frammenti di proteine che si aggregano insieme innescando la caratteristica neurodegenerazione di AD.
Il ricercatore senior dello studio e autore corrispondente Robert Rissman PhD, professore assistente nel Dipartimento di Neuroscienze e Direttore del Nucleo Biomarcatori dell'Alzheimer's Disease Cooperative Study (ADCS), ha detto:
"Il lavoro nostro e dei colleghi sullo stress e sul CRF sono stati implicati meccanicamente nell'Alzheimer, ma gli agenti che impattano la segnalazione CRF non sono stati testati accuratamente per l'efficacia terapeutica e per la sicurezza a lungo termine in modelli animali.
"La novità di questo studio è duplice: abbiamo usato un paradigma di prevenzione preclinico di un antagonista-CRF (un farmaco che blocca il recettore CRF nelle cellule del cervello) chiamato R121919 in un modello di AD consolidato, e l'abbiamo fatto in un modo che attinge alla nostra esperienza e alla sperimentazione umana. Abbiamo scoperto che l'antagonismo del R121919 sui recettori CRF-1 impedisce l'insorgenza di deficit cognitivo e la perdita dendritica/sinaptica nei topi con AD".
In altre parole, i ricercatori hanno chiarito che, modulando i circuiti cerebrali dello stress del topo (senza modificare la risposta normale), si è mitigata la generazione e l'accumulo delle placche amiloidi, da molti considerato causa di danno e morte neuronale. Di conseguenza si sono prevenuti gli indicatori comportamentali di AD e ridotto il danno cellulare. I topi hanno iniziato il trattamento a 30 giorni di età (prima che fossero presenti tutti i segni patologici o cognitivi dell'AD) e hanno continuato fino a 6 mesi di età.
Una sfida particolare, ha notato Rissman, è limitare l'esposizione del farmaco nel cervello, in modo che non influisca sulla capacità del corpo di rispondere allo stress: "Questo può essere realizzato perchè uno dei vantaggi di questo tipo di farmaci a piccola molecola è che può attraversare facilmente la barriera emato-encefalica e che agiscono di preferenza nel cervello". Farmaci come il R121919 sono stati originariamente progettati per trattare il disturbo d'ansia generalizzato, la sindrome del colon irritabile e altre malattie, ma non si sono rivelati efficaci per trattare queste malattie.
"Il lavoro precedente di Rissman aveva dimostrato che il CRF e suoi recettori sono coinvolti integralmente nei cambiamenti in un altro segno distintivo dell'AD: la fosforilazione della tau", ha detto William Mobley MD/PhD, preside del Dipartimento di Neuroscienze e condirettore ad interim dell'Alzheimer’s Disease Cooperative Study alla UC San Diego. "Questo nuovo studio estende queste scoperte originali meccanicistiche al percorso dell'amiloide e alla conservazione delle connessioni cellulari e sinaptiche. Un lavoro come questo è un ottimo esempio di lascito da-ricerca-a-letto della UC San Diego, per cui siamo in grado di portare rapidamente i nostri risultati scientifici di base alla clinica per i test", ha detto Mobley.
Rissman ha detto che il R121919 è stato ben tollerato dai topi di AD (senza effetti negativi significativi) ed è ritenuto sicuro, suggerendo che l'antagonismo-CRF è una terapia valida per modificare l'AD. Rissman ha notato che a questo punto probabilmente non è possibile riproporre il R121919 per uso umano. Lui e i suoi colleghi stanno collaborando con il Sanford Burnham Prebys Medical Discovery Institute per progettare nuovi test per scoprire la prossima generazione di antagonisti del recettore-1 CRF da testare in esperimenti preliminari sulla sicurezza umana.
"Resta ancora da fare molto lavoro, ma questo è il tipo di ricerca di base fondamentale per trovare alla fine un modo per curare - o addirittura impedire - l'Alzheimer", ha detto David Brenner MD, vice rettore della UC San Diego Health Sciences e preside della Facoltà di Medicina della UC San Diego. "Questi risultati del Dr. Rissman e dei suoi colleghi della UC San Diego, e delle istituzioni collaboranti della Mesa, suggeriscono che siamo sul punto di creare terapie veramente efficaci".
Fonte: Scott LaFee in University of California, San Diego (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Cheng Zhang, Ching-Chang Kuo, Setareh H. Moghadam, Louise Monte, Shannon N. Campbell, Kenner C. Rice, Paul E. Sawchenko, Eliezer Masliah, Robert A. Rissman. Corticotropin-releasing factor receptor-1 antagonism mitigates beta amyloid pathology and cognitive and synaptic deficits in a mouse model of Alzheimer's disease. Alzheimer's & Dementia, 2015; DOI: 10.1016/j.jalz.2015.09.007
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