Iscriviti alla newsletter



Registrati alla newsletter (giornaliera o settimanale):
Ricevi aggiornamenti sulla malattia, gli eventi e le proposte dell'associazione. Il tuo indirizzo email è usato solo per gestire il servizio, non sarà mai ceduto ad altri.


Nuova ricerca spiega perché gli anziani tendono ad avere problemi a dormire

Invecchiando, le persone hanno spesso difficoltà ad addormentarsi e a mantenere il sonno, e tendono a svegliarsi troppo presto alla mattina.


Nei soggetti con Alzheimer questo sintomo dell'invecchiamento, comune e preoccupante, tende ad essere particolarmente pronunciato, causando spesso confusione notturna e vagabondaggio.


Ora, uno studio condotto da ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center (BIDMC) e al Sunnybrook Health Sciences Center dell'Università di Toronto, aiuta a spiegare perché il sonno diventa più frammentato con l'età.


Le nuove scoperte, pubblicate ieri online nella rivista Brain, dimostrano per la prima volta che un gruppo di neuroni inibitori, la cui perdita induce perturbazioni nel sonno degli animali da esperimento, sono sostanzialmente minori negli anziani e nelle persone con Alzheimer, e che questo, a sua volta, è accompagnato da disturbi del sonno.


"In media, una persona nel tra 70 e 80 anni dorme circa un'ora in meno ogni notte, di una persona tra 20 e 30 anni", spiega l'autore senior Clifford Saper B., MD, PhD, presidente del reparto di Neurologia del BIDMC e Professore Ordinario «James Jackson Putnam» di Neurologia alla Harvard Medical School. "La perdita di sonno e la sua frammentazione è associata ad una serie di problemi di salute, tra cui le disfunzioni cognitive, l'aumento della pressione sanguigna e della malattia vascolare, e la tendenza a sviluppare il diabete di tipo 2. Ora sembra che la perdita di questi neuroni possa contribuire a questi diversi disturbi con l'invecchiamento".


Nel 1996, il laboratorio di Saper ha scoperto per primo che il nucleo preottico ventro-laterale, un gruppo di cellule chiave di neuroni inibitori, funzionava da "interruttore del sonno" nei ratti, spegnendo i sistemi di eccitazione del cervello e consentendo agli animali di addormentarsi. "I nostri esperimenti su animali hanno dimostrato che la perdita di questi neuroni produce una profonda insonnia, gli animali dormono solo circa la metà del tempo normale e il loro sonno rimane frammentato e interrotto", spiega.


Un gruppo di cellule nel cervello umano, il nucleo intermedio, è situato in una posizione simile e ha lo stesso neurotrasmettitore inibitorio (la galanina) del nucleo preottico ventro-laterale dei ratti. Gli autori hanno quindi ipotizzato che, se il nucleo intermedio fosse importante per il sonno umano e avesse la stessa funzione del nucleo ventro-laterale preottico dell'animale, allora potrebbe anche regolare in modo simile i cicli sonno-veglia degli esseri umani.


Per testare questa ipotesi, i ricercatori hanno analizzato i dati del «Rush Memory and Aging Project», uno studio sull'invecchiamento e sulla demenza che ha avuto inizio nel 1997 ed ha seguito un gruppo di quasi 1.000 soggetti che sono entrati sani nello studio a 65 anni e sono stati seguiti fino alla loro morte, momento in cui i loro cervelli sono stati donati per la ricerca.


"Dal 2005, la maggior parte dei soggetti del Memory and Aging Project hanno avuto registrazioni actigraphic ogni due anni. Questi consistono nell'indossare un piccolo dispositivo da polso sul braccio non dominante per 7/10 giorni", spiega il primo autore Andrew SP Lim, MD, della University of Toronto e del Sunnybrook Health Sciences Center ed ex membro del laboratorio di Saper. Il dispositivo actigraphic, che è impermeabile, è tenuto per 24 ore al giorno e controlla quindi tutti i movimenti, grandi e piccoli, suddivisi in intervalli di 15 secondi. "Il nostro lavoro precedente aveva stabilito che queste registrazioni actigraphic misurano bene la quantità e la qualità del sonno", aggiunge Lim.


Gli autori hanno esaminato il cervello dei 45 soggetti dello studio (età mediana alla morte di 89,2 anni), individuando i neuroni preottici ventro-laterali, facendo reagire ad un colorante il neurotrasmettitore galanina nel cervello. Hanno quindi correlato il comportamento riposo/attività dell'actigraphic dei 45 individui per l'anno precedente alla morte, con il numero dei neuroni preottici ventro-laterali residui all'autopsia.


"Abbiamo scoperto che nei pazienti più anziani che non hanno avuto l'Alzheimer, il numero di neuroni ventro-laterali preottici è inversamente correlato con la quantità di frammentazione del sonno", dice Saper. "Minore è il numero di neuroni, più è frammentato il sonno". I soggetti con la quantità più grande di neuroni (maggiore di 6.000) hanno passato più del 50 per cento del tempo di riposo totale nei periodi prolungati di non-movimento, che ha più probabilità di rappresentare il sonno, mentre i soggetti con il numero minore di neuroni ventro-laterali preottici (meno di 3.000) hanno passato meno del 40 per cento del tempo totale di riposo in periodi di riposo prolungati. I risultati inoltre hanno mostrato che tra i pazienti di Alzheimer, un deterioramento maggiore del sonno sembrava essere correlato al numero di neuroni ventro-laterali preottici che era andato perduto.


"Questi risultati forniscono la prima prova che il nucleo preottico ventro-laterale negli esseri umani probabilmente ha un ruolo chiave nell'indurre il sonno, e funziona in modo simile ad altre specie che sono state studiate", dice Saper. "La perdita di questi neuroni con l'invecchiamento e con l'Alzheimer potrebbe essere un motivo importante per cui gli individui più anziani spesso devono affrontare interruzioni del sonno. Questi risultati possono, quindi, portare a nuovi metodi per diminuire i problemi di sonno negli anziani e prevenire il declino cognitivo da privazione del sonno nelle persone affette da demenza".

 

*******
Hanno collaborato il primo autore Andrew Lim SP del BIDMC e dell'Università di Toronto e i ricercatori del BIDMC Brian A Ellison e Joshua L. Wang; e i ricercatori universitari Rush Lei Yu, Julie A. Schneider, Aron S. Buchman e David A. Bennett.

 

 

 

 

 


FonteUniversity of Toronto  (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti:  Andrew S. P. Lim, Brian A. Ellison, Joshua L. Wang, Lei Yu, Julie A. Schneider, Aron S. Buchman, David A. Bennett, and Clifford B. Saper. Sleep is related to neuron numbers in the ventrolateral preoptic/intermediate nucleus in older adults with and without Alzheimer’s disease. Brain, August 2014 DOI: 10.1093/brain/awu222

Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi citati nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non dipende da, nè impegna l'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X. I siti terzi raggiungibili da eventuali links contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.

Sostieni l'Associazione; una donazione, anche minima, ci aiuterà ad assistere malati e famiglie e continuare ad informarti. Clicca qui a destra:

 


 

 

Notizie da non perdere

Scoperto nuovo colpevole del declino cognitivo nell'Alzheimer

7.02.2019 | Ricerche

È noto da tempo che i pazienti con morbo di Alzheimer (MA) hanno anomalie nella vasta re...

Marito riferisce un miglioramento 'miracoloso' della moglie con Alzh…

28.09.2018 | Annunci & info

Una donna di Waikato (Nuova Zelanda) potrebbe essere la prima persona al mondo a miglior...

L'invecchiamento è guidato da geni sbilanciati

21.12.2022 | Ricerche

Il meccanismo appena scoperto è presente in vari tipi di animali, compresi gli esseri umani.

Qualità della vita peggiora quando l'Alzheimer è complicato dal cancro

28.04.2023 | Esperienze & Opinioni

Che considerazioni si possono fare per una persona con Alzheimer che riceve anche la diagnosi di can...

Un singolo trattamento genera nuovi neuroni, elimina neurodegenerazione nei to…

1.07.2020 | Ricerche

Xiang-Dong Fu PhD, non è mai stato così entusiasta di qualcosa in tutta la sua carriera...

Identificazione dei primi segnali dell'Alzheimer

7.03.2022 | Ricerche

Un team multidisciplinare di ricerca, composto da ricercatori del progetto ARAMIS, dell...

La lunga strada verso la demenza inizia con piccoli 'semi' di aggreg…

20.11.2020 | Ricerche

Il morbo di Alzheimer (MA) si sviluppa nel corso di decenni. Inizia con una reazione a c...

Lavati i denti, posticipa l'Alzheimer: legame diretto tra gengivite e mal…

4.06.2019 | Ricerche

Dei ricercatori hanno stabilito che la malattia gengivale (gengivite) ha un ruolo decisi...

Nuova teoria sulla formazione dei ricordi nel cervello

9.03.2021 | Ricerche

Una ricerca eseguita all'Università del Kent ha portato allo sviluppo della teoria MeshC...

Perché dimentichiamo? Nuova teoria propone che 'dimenticare' è in re…

17.01.2022 | Ricerche

Mentre viviamo creiamo innumerevoli ricordi, ma molti di questi li dimentichiamo. Come m...

Ritmi cerebrali non sincronizzati nel sonno fanno dimenticare gli anziani

18.12.2017 | Ricerche

Come l'oscillazione della racchetta da tennis durante il lancio della palla per servire un ace, l...

Variante della proteina che causa l'Alzheimer protegge dalla malattia

15.02.2021 | Ricerche

Le scoperte di un nuovo studio sul morbo di Alzheimer (MA), guidato da ricercatori dell...

Scoperto un fattore importante che contribuisce all'Alzheimer

22.08.2022 | Ricerche

Una ricerca guidata dai dott. Yuhai Zhao e Walter Lukiw della Luisiana State University ...

Interleuchina3: la molecola di segnalazione che può prevenire l'Alzheimer…

20.07.2021 | Ricerche

Una nuova ricerca su esseri umani e topi ha identificato una particolare molecola di seg...

IFITM3: la proteina all'origine della formazione di placche nell'Alz…

4.09.2020 | Ricerche

Il morbo di Alzheimer (MA) è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dall'accumulo...

Menopausa precoce e terapia ormonale ritardata alzano il rischio di Alzheimer

17.04.2023 | Ricerche

Le donne hanno più probabilità degli uomini di sviluppare il morbo di Alzheimer (MA), e ...

LATE: demenza con sintomi simili all'Alzheimer ma con cause diverse

3.05.2019 | Ricerche

È stato definito un disturbo cerebrale che imita i sintomi del morbo di Alzheimer (MA), ...

'Tau, disfunzione sinaptica e lesioni neuroassonali si associano di più c…

26.05.2020 | Ricerche

Il morbo di Alzheimer (MA) comporta il deperimento caratteristico di alcune regioni del ...

Dosi basse di radiazioni possono migliorare la qualità di vita nell'Alzhe…

6.05.2021 | Ricerche

Individui con morbo di Alzheimer (MA) grave hanno mostrato notevoli miglioramenti nel co...

Fruttosio prodotto nel cervello può essere un meccanismo che guida l'Alzh…

29.09.2020 | Ricerche

Una nuova ricerca rilasciata dalla University of Colorado propone che il morbo di Alzhei...

Logo AARAssociazione Alzheimer OdV
Via Schiavonesca 13
31039 Riese Pio X° (TV)