Uno studio condotto alla scuola per infermieri della Case Western Reserve University fornisce un profilo delle donne con la duplice responsabilità di un lavoro retribuito a tempo pieno, e di assistenza non retribuita ad un familiare anziano.
"Spesso sentiamo i caregiver parlare di «quanto tempo e sforzo è necessario» per fornire assistenza ai famigliari o vicini di casa", ha detto Evanne Juratovac, PhD, RN (GCNS-BC), assistente professore di infermieristica alla Scuola Frances Payne Bolton di Infermieristica e ricercatrice principale dello studio, "così abbiamo esaminato l'esperienza del carico di lavoro su queste caregiver donne come «lavoratrici»".
Lei ha detto che lo studio è simile a quello che l'industria usa per misurare l'impatto del carico di lavoro (compreso il tempo e la difficoltà dei compiti) e dello sforzo (l'energia percepita che serve per fare il lavoro).
I risultati dello studio, pubblicato nel numero di marzo-aprile di Women’s Health Issues, descrivono riccamente le esperienze di 46 caregiver donne che lavorano a tempo pieno e che hanno partecipato allo studio con metodi misti dei ricercatori nel 2012. Le donne, che avevano in media 51 anni di età e la maggioranza delle quali si occupava dei propri genitori, hanno segnalato le esperienze di salute collegate alle esigenze sui rispettivi tempi ed energie.
"Anche se molte delle donne hanno riferito una buona salute generale, la gravità della depressione suggerisce che la salute mentale di queste caregiver è in pericolo", ha detto la Juratovac. Ad esempio, alcune donne possono avere sperimentato più depressione legata alla loro situazione di vita o alla relazione con l'assistito; tuttavia, altre hanno avvertito dei sintomi depressivi che possono essere correlati alla presenza/assenza di aiuto da altri famigliari o da agenzie esterne formali.
L'Associazione Americana dei Pensionati (AARP) e l'Alleanza Nazionale per il Caregiving (NAC) riportano che circa la metà dei 66 milioni di caregiver familiari a livello nazionale lavorano anche fuori casa. E le donne forniscono più della metà del caregiving gratuito, che AARP e NAC stimano costerebbe più di 450 milioni di dollari all'anno, se fossero pagate per fare il lavoro. "Questi risparmi per la società possono far passare in secondo piano il costo che hanno sulla stabilità economica e la salute dei caregiver", ha detto la Juratovac.
E' noto dalle indagini nazionali (ad esempio, Metlife®) che prendersi cura di qualcuno a casa può avere un costo invisibile per le donne caregiver lavoratrici, in quanto possono mancare promozioni sul lavoro, perdere i benefici occupazionali lavorando meno ore, e stressare i bilanci familiari per pagare le spese del caregiving. La Juratovac ha detto di sperare che i risultati dettagliati dello studio possano promuovere un dibattito tra politici e datori di lavoro, per rendere più agevole il duplice carico di lavoro dei caregiver lavoratori.
Lei suggerisce, per esempio, orari di lavoro flessibili che permettano ai caregiver lavoratori di gestire le loro responsabilità in nome del loro assistito (come ad esempio consultare gli operatori sanitari) quando serve, durante la giornata lavorativa, pur mantenendo la loro produttività e gestire le proprie responsabilità nel posto di lavoro retribuito.
E, dal momento che i ricercatori hanno trovato difficoltà a caratterizzare la varietà di esperienze di lavoro «part-time», sono state fatte proposte - per la ricerca e per l'industria - per migliorare i metodi di misura del tempo e dello sforzo che i caregiver impiegano nei compiti di caregiving e nelle altre attività, al fine di capire meglio l'entità del carico di lavoro.
Ha contribuito allo studio anche Jaclene A. Zauszniewski, PhD, RN-BC, FAAN, Professore «Kate Hanna Harvey» di Community Health alla Frances Payne Bolton School of Nursing della CWRU.
Fonte: Case Western Reserve University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Evanne Juratovac, Jaclene A. Zauszniewski. Full-Time Employed and a Family Caregiver: A Profile of Women’s Workload, Effort, and Health. Women's Health Issues, 2014; 24 (2): e187 DOI: 10.1016/j.whi.2014.01.004
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