Ricercatori della Johns Hopkins ritengono di aver messo a punto un modello che, attraverso i punteggi dei test cognitivi, potrebbe aiutare a determinare se la perdita di memoria negli anziani è benigna o una tappa sulla strada per l'Alzheimer.
Il rischio di sviluppare la demenza aumenta notevolmente quando una persona riceve la diagnosi di decadimento cognitivo lieve, un calo notevole e misurabile della capacità intellettuale che comunque non interferisce seriamente con la vita quotidiana. Ma i medici non hanno un modo affidabile per prevedere quali persone con decadimento cognitivo lieve abbiano la probabilità di essere tra quel 5/10 per cento che ogni anno passa alla demenza.
In uno studio prova-di-principio, i ricercatori della Johns Hopkins hanno analizzato le cartelle cliniche di 528 persone over-60, che sono state inviate alla Johns Hopkins Medical Psychology Clinic per i test cognitivi, come parte di un'approfondimento sulla demenza tra il 1996 e il 2004. I risultati sono stati confrontati con quelli di 135 anziani sani che hanno partecipato a uno studio sull'invecchiamento normale. Entrambi i gruppi hanno completato test di memoria, linguaggio, attenzione, velocità di elaborazione e capacità di disegno, dai quali sono stati registrati 13 punteggi.
Dal momento che ogni persona è naturalmente più abile in alcune aree piuttosto che in altre, i punteggi degli adulti sani mostrano un intervallo simmetrico, a forma di campana: la maggior parte dei loro punteggi erano alti, alcuni erano un po' più bassi, e pochi lo erano ancora di più. Raggruppando i pazienti nelle coorti in base alla gravità della loro demenza, i ricercatori hanno trovato una tendenza nei punteggi dei test che si avvicina al deterioramento dei punteggi di un individuo nel corso del tempo.
All'inizio, si dice, l'Alzheimer deteriora sottilmente alcune capacità mentali, lasciando le altre intatte. Così, ben prima che una persona sviluppi un deficit cognitivo evidente, il suo rendimento cala leggermente su alcune misurazioni. Quando si mostrano su un grafico, questi cambiamenti inducono la curva con la simmetria sana (a forma di campana) a cambiare e a diventare asimmetrica.
Indipendentemente da quanto siano bassi i punteggi dei test di una persona, i ricercatori hanno determinato che la distribuzione "mozzata" dei punteggi è correlata alla demenza. Essi hanno previsto che le persone con bassi punteggi, che però sono distribuiti equamente, non avevano il rischio di sviluppare la demenza. Ma quelli con distribuzione dei risultati dei test chiaramente sbilenca sulle 13 misure somministrate stavano già sperimentando diversi livelli di demenza.
"Lo scostamento dal normale andamento a campana della variabilità nei test cognitivi potrebbe determinare quali persone con bassi punteggi svilupperanno la demenza", dice David J. Schretlen, Ph.D., professore di psichiatria e scienze del comportamento della Johns Hopkins University School of Medicine e leader dello studio pubblicato online il 12 Novembre sulla rivista Neuropsychology. Dal momento che questi cali possono essere sottili, i ricercatori hanno anche aumentato la precisione dei test cognitivi tenendo conto degli effetti dell'età, del sesso, della razza e dell'istruzione sulle prestazioni del test.
La sfida per i medici, secondo Schretlen, è che la maggior parte delle persone normali e sane producono alcuni punteggi bassi sui test cognitivi. Questo rende quasi impossibile sapere all'inizio se un paziente che riferisce dimenticanza e produce uno o due punteggi bassi ha una forma benigna di decadimento cognitivo lieve, oppure è in una fase molto precoce di demenza. Come risultato, i medici spesso dicono a tali pazienti di tornare per altri test un anno o due dopo.
Ma se la ricerca futura lo confermerà, questo nuovo modello statistico potrebbe aiutare i medici ad ottenere una prognosi proprio all'inizio della malattia, in occasione della prima visita, e iniziare a trattare i pazienti.
In più, dice Schretlen, i medici potrebbero usare il nuovo modello per rassicurare i pazienti che non sono a rischio di demenza, e individuare velocemente gli interventi per coloro che lo sono. Poiché attualmente non esistono trattamenti efficaci per l'Alzheimer, quelli che hanno una probabilità di arrivarci potrebbero in questo modo essere consigliati di approffittare del tempo buono loro rimasto per organizzare i loro affari, e fare le cose che hanno sempre voluto fare. Si potrebbe anche iscriverli a studi clinici di farmaci per rallentare la progressione della demenza.
"Se vogliamo avere qualche speranza di aiutare i pazienti con Alzheimer, abbiamo bisogno di farlo il più presto possibile", dice Schretlen. "Una volta che il cervello si deteriora, non c'è ritorno". I recenti fallimenti delle sperimentazioni cliniche di fase avanzata dei farmaci per l'Alzheimer sono stati brutti colpi, aggiunge, ma sono in fase di sviluppo nuovi trattamenti.
Il nuovo modo di leggere i punteggi dei test esistenti segue uno studio del 2008, degli stessi ricercatori, che dimostra che uno adulto sano su sei ottiene punteggi negativi su due o più tra i 10 test in una breve batteria cognitiva - anche se non c'è niente di sbagliato in loro.
Il motivo principale per cui è difficile dire se le persone anziane hanno decadimento cognitivo lieve benigno o no, è che non sono sottoposti regolarmente all'individuazione dei disturbi cognitivi, dice. La visita di uno specialista arriva solo dopo che qualcuno ha notato i sintomi, e quindi i test cognitivi sono interpretati senza poterli confrontare con una valutazione di base. Egli dice che questo problema potrebbe essere risolto se tutti gli over-55 fossero sottoposti di routine a test neurocognitivi ogni cinque anni.
Lo studio è stato finanziato dal Therapeutic Cognitive Neuroscience Fund; dalla Benjamin and Adith Miller Family Endowment on Aging, Alzheimer's and Autism; dal William and Mary Ann Wockenfuss Research Fund Endowment; e dal National Institute of Mental Health dei National Institutes of Health. In virtù di un accordo con la Psychological Assessment Resources, Inc., Schretlen ha diritto ad una quota delle royalties sulle vendite del test e del software usato nello studio. I termini di questo accordo sono gestiti dalla The Johns Hopkins University in conformità con le sue politiche sul conflitto di interessi. Altri ricercatori della Johns Hopkins coinvolti nello studio includono Gila Z. Reckess, Ph.D.; Mark Varvaris, BA; e Barry Gordon, MD, Ph.D.
Fonte: Johns Hopkins Medicine, via Newswise.
Pubblicato in newswise.com (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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