Dei topi con molte delle patologie degli stadi avanzati dell'Alzheimer hanno mostrato meno segni della malattia quando sono stati messi su una dieta povera di proteine, integrata con specifici aminoacidi ogni due settimane, per quattro mesi.
Nei test della memoria con il labirinto, hanno mostrato un miglioramento nelle abilità cognitive, in confronto ai coetanei con dieta normale. Inoltre, un numero inferiore dei loro neuroni conteneva livelli anormali di una proteina danneggiata, chiamata "tau", che si accumula nel cervello dei malati di Alzheimer.
Le proteine nella dieta sono il regolatore alimentare principale di un ormone della crescita noto come IGF-1, che è associato all'invecchiamento e a malattie dei topi e a diverse malattie degli anziani.
I prossimi studi di Valter Longo, professore della USC e autore corrispondente dello studio, tenteranno di stabilire se gli esseri umani rispondono allo stesso modo, esaminando contemporaneamente gli effetti delle restrizioni dietetiche sul cancro, sul diabete e sulle malattie cardiache. "Abbiamo dimostrato in precedenza che gli esseri umani con recettore dell'ormone della crescita e IGF-I insufficienti evidenzino una minore incidenza di cancro e diabete. Anche se il nuovo studio è sui topi, si prospetta la possibilità che una bassa assunzione di proteine e un basso IGF-I possano proteggere anche dalle neurodegenerazioni derivanti dall'età", scrive Longo, che dirige l'Istituto Longevità alla School of Gerontology della USC Davis e ha un incarico congiunto al Collegio Dornsife di Lettere, Arti e Scienze della USC.
Longo (nella foto) ha lavorato con Pinchas Cohen, preside della USC Davis School, e con i laureati della USC Edoardo Parrella, Tom Maxim, Lu Zhang, Junxiang Wan e Min Wei, con Francesca Maialetti dell'Istituto Superiore di Sanità di Roma, e con Luigi Fontana della Washington University di St. Louis. "L'Alzheimer e le altre forme di neurodegenerazione sono un onere considerevole per la società, ed è una priorità crescente per ogni nazione sviluppare nuovi approcci per la prevenzione e il trattamento di queste condizioni, dal momento che la prevalenza di questi disturbi è in aumento, con l'invecchiamento della popolazione dei prossimi decenni", scrive Cohen, preside della Scuola di Gerontologia dall'estate 2012. "Le nuove strategie per risolvere questo problema, in particolare quelle non invasive, con approcci non farmacologici, come quella testata nello studio del Dr. Longo, sono particolarmente interessanti".
I risultati dello studio sono pubblicati online su Aging Cell del mese scorso. Il team ha scoperto che una dieta povera di proteine riduce i livelli di IGF-1 circolante nel corpo dal 30 al 70 per cento, e provoca un aumento di otto volte della proteina che blocca gli effetti dell'IGF-1, legandosi ad esso. L'IGF-1 aiuta il corpo a crescere durante la giovinezza, ma è anche associato a diverse malattie più tardi nella vita, sia nei topi che negli esseri umani. Esplorare soluzioni alimentari per tali malattie, invece di produrre farmaci per manipolare direttamente l'IGF-1, permette al team di Longo a fare passi avanti che potrebbero aiutare chi soffre oggi o nei prossimi anni.
"Cerchiamo sempre di fare cose per le persone che hanno il problema adesso", dice Longo. "Lo sviluppo di un farmaco può richiedere 15 anni di prove e un miliardo di dollari. "Anche se solo gli studi clinici possono determinare se la dieta ipoproteica è efficace e sicura negli esseri umani con deficit cognitivo, un medico potrebbe leggere questo studio oggi e, se il suo paziente non ha altre opzioni valide, potrebbe considerare l'introduzione di cicli di restrizione delle proteine per il trattamento, rendendosi però conto che gli interventi efficaci sui topi potrebbero non tradursi in terapie umane altrettanto efficaci".
Molti anziani potrebbero essere già fragili, aver perso peso o non essere abbastanza sani da impegnarsi in una dieta povera di proteine ogni due settimane. Longo insiste fortemente sul fatto che qualsiasi dieta deve essere monitorata da un medico o un dietista diplomato per fare in modo che i pazienti non diventino carenti di aminoacidi, perdano ulteriore peso o sviluppino altri effetti collaterali.
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Fonte: Materiale della University of Southern California, via EurekAlert!, a service of AAAS.
Riferimento: Edoardo Parrella, Tom Maxim, Francesca Maialetti, Lu Zhang, Junxiang Wan, Min Wei, Pinchas Cohen, Luigi Fontana, Valter D. Longo. Protein restriction cycles reduce IGF-1 and phosphorylated Tau, and improve behavioral performance in an Alzheimer's disease mouse model. Aging Cell, 2013; DOI: 10.1111/acel.12049.
Pubblicato in Science Daily il 14 Febbraio 2013 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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