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Svelata causa potenziale della demenza associata all'HIV

Italo MocchettiRicercatori del Georgetown University Medical Center sembrano aver risolto il mistero del perché alcuni pazienti con infezione da HIV, che stanno utilizzando la terapia antiretrovirale e non mostrano segni di AIDS, sviluppano una depressione grave così come problemi profondi con la memoria, l'apprendimento e la funzione motoria.

La scoperta potrebbe anche dare un modo per testare le persone con HIV, determinandone il rischio di sviluppo di demenza.


Dicono che la risposta, pubblicata sul numero dell'11 luglio del Journal of Neuroscience, può portare a una soluzione terapeutica per aiutare questi pazienti, così come gli altri che soffrono di disturbi cerebrali che sembrano insorgere attraverso la stessa via, compresi quelli che si verificano negli anziani. "Crediamo di aver scoperto un meccanismo generale di declino neuronale che spiega anche ciò che accade in alcune persone anziane", afferma il ricercatore principale dello studio, Italo Mocchetti (foto in alto), Ph.D., professore e vice presidente del dipartimento di neuroscienze al Medical Center della Georgetown University. "I pazienti HIV-positivi che sviluppano questa sindrome sono in genere molto giovani, ma il loro cervello si comporta da vecchio".


Il team di ricerca ha scoperto che, anche se l'HIV non infetta i neuroni, cerca di impedire al cervello di produrre un fattore di crescita proteico [fattore neurotrofico derivato dal cervello maturo (mature BDNF)] che, dice Mocchetti, agisce come "cibo" per i neuroni del cervello. Un mature BDNF ridotto comporta la riduzione degli assoni e dei loro rami che i neuroni usano per connettersi l'uno all'altro, e quando si perde questa comunicazione, i neuroni muoiono. "La perdita dei neuroni e delle loro connessioni è profonda in questi pazienti", dice Mocchetti. La demenza associata all'HIV si verifica nel due o tre per cento dei pazienti affetti da HIV che utilizzano terapie antiretrovirali, tutti apparentemente in buona salute, e nel 30 per cento dei pazienti HIV positivi che non assumono i farmaci.


Mocchetti ritiene che l'HIV arresti la produzione di mature BDNF perché la proteina interferisce con la capacità del virus di attaccare altre cellule cerebrali. Lo fa attraverso la potente proteina contenitore gp120 che fuoriesce dal guscio virale; la stessa proteina che si aggancia ai macrofagi cerebrali e alle cellule microgliali per infettarle. "In precedenti esperimenti, quando abbiamo scaricato gp120 nella cultura di tessuto neuronale, c'è stata una perdita del 30-40 per cento di neuroni durante la notte. Questo rende la gp120 una notevole neurotossina".


Questo studio è il prodotto di anni di lavoro che hanno portato a una serie di pubblicazioni. Tutto è iniziato quando Mocchetti e i suoi colleghi hanno avuto una sovvenzione dal National Institute on Drug Abuse per determinare se vi fosse una connessione tra l'uso di cocaina e morfina, e la demenza. (Un numero consistente di pazienti HIV-positivi sono stati o sono attualmente consumatori di droghe per via endovenosa). Essi hanno scoperto che era il virus ad essere responsabile della demenza, non i farmaci, e così si sono attivati per scoprire come il virus altera la funzione neuronale.


Il punto di svolta scientifico è arrivato quando i ricercatori sono stati in grado di studiare il sangue di 130 donne arruolate nello studio di 17 anni, il WIHS nazionale (Women's Interagency HIV Study, diretto da Mary Young, MD della Georgetown), che si è concentrato sugli effetti del virus HIV nelle donne infette. In una scoperta fondamentale, Mocchetti e colleghi hanno scoperto che, quando c'è meno BDNF nel sangue, i pazienti rischiano di sviluppare anomalie cerebrali. He published this finding in 2011 in the May 15 issue of AIDS. Ha pubblicato questa scoperta nel numero del 15 maggio 2011 di AIDS.


In questo studio, Mocchetti, Alessia Bachis, Ph.D., e i loro colleghi hanno studiato il cervello di pazienti HIV-positivi che erano morti, e che avevano sviluppato la demenza associata all'HIV. Hanno anche scoperto che i neuroni si erano ridotti, e che il mature BDNF era sostanzialmente diminuito. Lui e i suoi colleghi hanno poi elaborato il meccanismo responsabile di questa distruzione dei neuroni. Di norma i neuroni rilasciano una forma lunga di BDNF conosciuta come proBDNF, e poi alcuni enzimi (tra cui uno chiamato furina) scinde il proBDNF per produrre mature BDNF, che a sua volta nutre i neuroni del cervello.


Quando resta intero, il proBDNF è tossico, e porta alla "semplificazione sinaptica", o alla riduzione degli assoni. Lo fa legandosi ad un recettore, il p75NTR, che contiene un dominio di morte. "L'HIV interferisce con questo processo normale di scissione del proBDNF, con il risultato che i neuroni secernono principalmente una forma tossica di BDNF", dice Mocchetti. Lo stesso squilibrio tra mature BDNF e proBDNF si verifica con l'età, egli dice, anche se nessuno sa come accade. "Anche il legame tra la depressione e la mancanza di BDNF maturo è conosciuto, così come il collegamento ai problemi di apprendimento e memoria. Ecco perché dico che la demenza associata all'HIV assomiglia all'invecchiamento cerebrale". La perdita di mature BDNF è ritenuto anche un fattore di rischio nelle malattie croniche come il Parkinson e il morbo di Huntington, dice Mocchetti.


I risultati suggeriscono un possibile intervento terapeutico, aggiunge. "Un modo potrebbe essere quello di utilizzare una piccola molecola per bloccare il recettore p75NTR che il proBDNF usa per uccidere i neuroni. Una tale piccola molecola potrebbe passare attraverso la barriera emato-encefalica. Se funziona con la demenza dell'HIV, può funzionare anche con i problemi cerebrali causati da proBDNF, quali l'invecchiamento", aggiunge Mocchetti. La scoperta suggerisce anche che la misurazione del proBDNF nei pazienti HIV-positivi può fornire un biomarcatore di rischio per lo sviluppo di demenza, aggiunge. "Questa scoperta è estremamente importante per i ricercatori di base e i medici, perché suggerisce una nuova strada per capire, e trattare, una causa abbastanza diffusa di demenza", dice Mocchetti.

 

 

 

 

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Fonte: Materiale del Georgetown University Medical Center, via EurekAlert!, a service of AAAS.

Pubblicato in ScienceDaily il 10 Luglio 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.

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