Ricercatori della University of California San Diego hanno creato una nuova arma nella lotta contro l'Alzheimer: neuroni viventi in laboratorio.
Guidato da Laurence Goldstein, direttore del Programma Cellule Staminali all'UCSD, il team di scienziati ha preso fibroblasti dal tessuto cutaneo per creare cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs), che possono diventare qualsiasi cellula matura nel corpo, comprese cellule nervose.
Raccogliendo fibroblasti da pazienti affetti da Alzheimer, Goldstein e i suoi colleghi sono stati in grado di produrre neuroni che mostravano chiare tendenze allo sviluppo della malattia. La ricerca tipica richiede la raccolta di tessuto cerebrale di pazienti morti, ma queste cellule viventi forniscono una opportunità unica per studiare l'Alzheimer mentre è ancora in fase di sviluppo. Se questa tecnica diventa ampiamente adottata darà ai ricercatori di tutto il mondo i campioni di cui hanno bisogno per comprendere meglio, e possibilmente sconfiggere, il morbo.
Per combattere efficacemente un nemico, uno ha bisogno di sapere come vive. I ricercatori hanno cercato di conquistare l'Alzheimer per decenni, e in tale ricerca hanno trovato molti modi diversi per studiare la malattia. Eppure è difficile esaminare le cellule reali con l'Alzheimer. I medici semplicemente non possono tagliare il cervello di un paziente e rimuovere il tessuto che pensano sia interessato. Per lo meno non finchè il paziente è vivo. Eppure, lo studio post-mortem prende in esame le cellule molto tempo dopo che la malattia ha iniziato il suo corso. Quello di cui hanno bisogno i ricercatori è un modo affidabile per studiare come l'Alzheimer si sviluppa nelle cellule viventi nel momento in cui accade.
Ecco dove entrano in ballo Goldstein e colleghi. La loro tecnica può prendere cellule da pazienti affetti da Alzheimer e creare neuroni al di fuori del loro corpo per essere studiati in laboratorio. Non più confuse autopsie del cervello, ma solo cellule viventi in attesa di essere esaminate. Nel video qui sotto, Goldstein spiega meglio sul ragionamento che sta dietro questa ricerca, così come il successo della sua squadra:
Pubblicato recentemente su Nature, il lavoro svolto alla UC San Diego ha coinvolto un piccolo gruppo campione di solo sei fonti umane per le cellule. Goldstein e colleghi hanno raccolto fibroblasti da due pazienti affetti da una rara malattia di Alzheimer familiare che è legata alla predisposizione genetica, due pazienti con Alzheimer sporadico (considerato non dipendente dalla genetica), e due persone sane senza storia di malattia neurale. Queste cellule sono state trasformate in iPSCs e quindi in neuroni. Quasi tutte queste cellule trasformate hanno mostrato l'attività prevista delle cellule nervose viventi, compresa la formazione di contatti sinaptici. Soddisfatti della vitalità delle cellule, i ricercatori UCSD le hanno esaminate nei marcatori chimici legati all'Alzheimer.
Nel paziente con forma familiare della malattia hanno trovato maggiori livelli di β-amiloide, fosfo-tau, e chinasi-3β sintasi glicogeno attivo, tutte proteine associate alla malattia. Anche le cellule di uno dei pazienti con la variante sporadica hanno mostrato alcuni di questi indicatori chimici. Pur essendo ancora preliminare, la ricerca indica che questi neuroni derivati da cellule staminali potrebbero essere una valida piattaforma per lo studio dei meccanismi coinvolti nell'insorgenza dell'Alzheimer.
Questo studio si basa su tecniche di ricerca delle cellule staminali che si sono rese disponibili solo negli ultimi anni. Le cellule staminali pluripotenti indotte sono state create per la prima volta nel 2006. Il processo in genere comporta l'estrazione di cellule mature e l'utilizzo di retrovirus per modificarle geneticamente facendole diventare cellule staminali. Come discusso su Singularity Hub [sito che pubblica questo articolo], nel 2009 gli scienziati avevano cominciato a discutere se sono meglio le cellule grasse o quelle della pelle (ad esempio fibroblasti) per essere trasformate in iPSCs. Il processo delle IPSC è un grande esempio di come una nuova tecnologia può sorgere rapidamente e avere un impatto dirompente (e positivo) su un campo della scienza.
Eppure, con il loro recente arrivo sono arrivate preoccupazioni per gli effetti collaterali dall'uso di iPSCs. In una ricerca estranea a questo studio, le iPSCs sono state collegate a maggiori rischi che le cellule stesse diventino cancerogene. Più rilevanti, forse, sono altre preoccupazioni che le tecniche utilizzate per creare le iPSCs possano (in generale) colpire la creazione di proteine nella cellula finale. In altre parole, i critici temono che tutta questa alchimia cellulare possa alterare i marcatori chimici che gli scienziati come Goldstein sperano di esaminare.
Che queste preoccupazioni siano o meno valide, c'è ancora una grande speranza di battere l'Alzheimer attraverso lo studio dei neuroni creati artificialmente in laboratorio. Anche se le iPSCs risultano problematiche, ci sono altri modi di creare neuroni umani da fibroblasti (alcuni dei quali sono stati utilizzati in precedenti esperimenti che concordano con lo studio UCSD). Qualsiasi sia la tecnica utilizzata, tuttavia, ad un certo punto tra poco è probabile che gli scienziati saranno in grado di prendere campioni di pelle da una vasta gamma di pazienti affetti da Alzheimer e dai familiari e di creare i campioni di cellule nervose, pronti per il laboratorio, da esaminare. Sarà come sbirciare dentro la chimica del cervello di qualcuno senza aver bisogno di avere in mano realmente il suo cervello.
Non c'è alcuna garanzia che lo studio di queste cellule porterà trattamenti di successo per l'Alzheimer, ma è logico che se si vuole fermare la malattia prima che diventi mortale è necessario comprendere come inizia. Ci può essere una proteina o un gene cruciale che, se bloccato precocemente, può impedire alla cellula di sviluppare l'Alzheimer. E' troppo presto per dirlo, ma non è troppo presto per sperare.
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Fonte: Israel et al Nature (2012), UC San Diego News
Pubblicato da Aaron Saenz in Singularity Hub il 25 febbraio 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.[Foto credit: UC San Diego] [Video credit: UC San Diego]
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