Iscriviti alla newsletter



Registrati alla newsletter (giornaliera o settimanale):
Ricevi aggiornamenti sulla malattia, gli eventi e le proposte dell'associazione. Il tuo indirizzo email è usato solo per gestire il servizio, non sarà mai ceduto ad altri.


Identificata la modalità di progressione dell'Alzheimer nel cervello

Per la prima volta, dei ricercatori hanno usato dati umani per quantificare la velocità di processi diversi che portano al morbo di Alzheimer (MA) e hanno scoperto che si sviluppa in modo molto diverso rispetto a quanto si è pensato finora. I loro risultati potrebbero avere importanti implicazioni per lo sviluppo di potenziali trattamenti.

 89297906 m1080331 sectioned brains alzheimer s disease vs normal spl

Il team internazionale, guidato dall'Università di Cambridge, ha rilevato che, invece di partire da un singolo punto del cervello e avviare una reazione a catena che conduce alla morte delle cellule cerebrali, il MA raggiunge subito diverse regioni del cervello. La rapidità con cui la malattia uccide le cellule in queste regioni, attraverso la produzione di grumi proteici tossici, limita la rapidità con cui la malattia progredisce nel complesso.


I ricercatori hanno usato campioni di cervello post-mortem di pazienti di MA, oltre a scansioni PET su pazienti viventi, che andavano da chi aveva un lieve deterioramento cognitivo a chi aveva il MA in fase avanzata, per tracciare l'aggregazione di tau, una delle due proteine ​​chiave implicate nella condizione.


Nel MA, la tau e un'altra proteina chiamata amiloide-beta si accumulano in grovigli e placche - chiamati collettivamente aggregati - che causano la morte delle cellule cerebrali e il restringimento del cervello. Ciò si traduce in perdita di memoria, cambiamenti di personalità e difficoltà a svolgere le funzioni quotidiane.


Combinando cinque insiemi diversi di dati e applicandoli allo stesso modello matematico, i ricercatori hanno osservato che il meccanismo che controlla il tasso di progressione nel MA è la replicazione degli aggregati in singole regioni del cervello, e non la loro diffusione da una regione all'altra.


I risultati, riferiti su Science Advances, aprono nuovi modi di comprendere il progresso del MA e di altre malattie neurodegenerative e nuovi modi in cui potrebbero essere sviluppati trattamenti futuri.


Per molti anni, i processi all'interno del cervello che provocano il MA sono stati descritti con termini come "cascata" e "reazione a catena". È una malattia difficile da studiare, poiché si sviluppa per decenni e una diagnosi definitiva può essere fatta solo dopo aver esaminato campioni di tessuto cerebrale dopo la morte.


Per anni, i ricercatori si sono affidati in gran parte a modelli animali per studiare la malattia. I risultati nei topi suggeriscono che la malattia si diffonde rapidamente, poiché i grumi proteici tossici colonizzano parti diverse del cervello.


"Si pensava che il MA si sviluppasse in modo simile a molti tumori: gli aggregati si formano in una regione e poi si diffondono attraverso il cervello", ha detto il dott. Georg Meisl dal Dipartimento di Chimica di Cambridge, il primo autore dello studio. "Abbiamo scoperto invece che quando inizia il MA ci sono già aggregati in più regioni del cervello, e quindi cercare di fermare la diffusione tra le regioni farà poco per rallentare la malattia".


Questa è la prima volta che si sono usati dati umani per tracciare quali processi controllano lo sviluppo del MA nel tempo. È stato reso possibile in parte dall'approccio di cinetica chimica sviluppato a Cambridge nell'ultimo decennio, che consente di modellare i processi di aggregazione e diffusione nel cervello, nonché dai progressi nella scansione PET e dai miglioramenti nella sensibilità di altre misurazioni del cervello.


"Questa ricerca mostra il valore di lavorare con dati umani invece di modelli animali imperfetti", ha affermato il prof. Tuomas Knowles, anch'egli del Dipartimento di Chimica. "È entusiasmante vedere i progressi in questo campo: quindici anni fa, i meccanismi molecolari di base erano determinati per sistemi semplici in una provetta da parte nostra e di altri; ma ora siamo in grado di studiare questo processo a livello molecolare in pazienti reali, il che è un passo importante per sviluppare un giorno dei trattamenti".


I ricercatori hanno scoperto che la replicazione degli aggregati di tau è sorprendentemente lenta, richiede fino a cinque anni.


"I neuroni sono incredibilmente bravi a impedire la formazione degli aggregati, ma abbiamo bisogno di trovare dei modi per renderli ancora migliori sviluppando un trattamento efficace", ha dichiarato il prof. Sir David Klenerman, del UK Dementia Research Institute all'Università di Cambridge. "È affascinante come la biologia si è evoluta per fermare l'aggregazione delle proteine".


I ricercatori dicono che la loro metodologia potrebbe essere usata per aiutare lo sviluppo di trattamenti per il MA, che colpisce circa 44 milioni di persone in tutto il mondo, puntando i processi più importanti che insorgono quando gli umani sviluppano la malattia. Inoltre, la metodologia potrebbe essere applicata ad altre malattie neurodegenerative, come il Parkinson.


"La scoperta cruciale è che fermare la replicazione degli aggregati piuttosto che la loro propagazione sarà più efficace nelle fasi della malattia che abbiamo studiato"
, ha detto Knowles.


I ricercatori stanno ora progettando di esaminare i processi precedenti nello sviluppo della malattia e di estendere gli studi ad altre malattie come la demenza frontotemporale, la lesione cerebrale traumatica e la paralisi sopranucleare progressiva, tutte condizioni in cui si formano aggregati di tau.

 

 

 


Fonte: University of Cambridge (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Georg Meisl, Eric Hidari, Kieren Allinson, Timothy Rittman, Sarah DeVos, Justin Sanchez, Catherine Xu, Karen Duff, Keith Johnson, James Rowe, Bradley Hyman, Tuomas Knowles, David Klenerman. In vivo rate-determining steps of tau seed accumulation in Alzheimer’s disease. Science Advances, 2021, DOI

Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

Notizie da non perdere

Nuovo sensore nel cervello offre risposte all'Alzheimer

12.03.2021 | Ricerche

Scienziati della Università della Virginia (UVA) hanno sviluppato uno strumento per moni...

La consapevolezza di perdere la memoria può svanire 2-3 anni prima della compa…

27.08.2015 | Ricerche

Le persone che svilupperanno una demenza possono cominciare a perdere la consapevolezza dei propr...

Alzheimer e le sue proteine: bisogna essere in due per ballare il tango

21.04.2016 | Ricerche

Per anni, i neuroscienziati si sono chiesti come fanno le due proteine ​​anomale amiloid...

Con l'età cala drasticamente la capacità del cervello di eliminare le pro…

31.07.2015 | Ricerche

Il fattore di rischio più grande per l'Alzheimer è l'avanzare degli anni. Dopo i 65, il rischio r...

Preoccupazione, gelosia e malumore alzano rischio di Alzheimer per le donne

6.10.2014 | Ricerche

Le donne che sono ansiose, gelose o di cattivo umore e angustiate in me...

Perché il diabete tipo 2 è un rischio importante per lo sviluppo dell'Alz…

24.03.2022 | Ricerche

Uno studio dell'Università di Osaka suggerisce un possibile meccanismo che collega il diabete all'Al...

Fruttosio prodotto nel cervello può essere un meccanismo che guida l'Alzh…

29.09.2020 | Ricerche

Una nuova ricerca rilasciata dalla University of Colorado propone che il morbo di Alzhei...

L'esercizio fisico dà benefici cognitivi ai pazienti di Alzheimer

29.06.2015 | Ricerche

Nel primo studio di questo tipo mai effettuato, dei ricercatori danesi hanno dimostrato che l'ese...

Sintomi visivi bizzarri potrebbero essere segni rivelatori dell'Alzheimer…

1.02.2024 | Ricerche

Un team di ricercatori internazionali, guidato dall'Università della California di San F...

Scienziati dicono che si possono recuperare i 'ricordi persi' per l…

4.08.2017 | Ricerche

Dei ricordi dimenticati sono stati risvegliati nei topi con Alzheimer, suggerendo che la...

La scoperta del punto di svolta nell'Alzheimer può migliorare i test di n…

20.05.2022 | Ricerche

 Intervista al neurologo William Seeley della Università della California di San Francisco

...

Perché le cadute sono così comuni nell'Alzheimer e nelle altre demenze?

4.09.2020 | Esperienze & Opinioni

Le cadute hanno cause mediche o ambientali

Una volta che si considerano tutte le divers...

Invertita per la prima volta la perdita di memoria associata all'Alzheime…

1.10.2014 | Ricerche

La paziente uno aveva avuto due anni di perdita progressiva di memoria...

L'impatto del sonno su cognizione, memoria e demenza

2.03.2023 | Ricerche

Riduci i disturbi del sonno per aiutare a prevenire il deterioramento del pensiero.

"Ci...

Il girovita può predire il rischio di demenza?

6.11.2019 | Ricerche

Il primo studio di coorte su larga scala di questo tipo ha esaminato il legame tra il girovita in...

'Tau, disfunzione sinaptica e lesioni neuroassonali si associano di più c…

26.05.2020 | Ricerche

Il morbo di Alzheimer (MA) comporta il deperimento caratteristico di alcune regioni del ...

Microglia: ‘cellule immunitarie’ che proteggono il cervello dalle malattie, ma…

28.05.2020 | Esperienze & Opinioni

Sappiamo che il sistema immunitario del corpo è importante per tenere tutto sotto controllo e per...

Meccanismo neuroprotettivo alterato dai geni di rischio dell'Alzheimer

11.01.2022 | Ricerche

Il cervello ha un meccanismo naturale di protezione contro il morbo di Alzheimer (MA), e...

Proteine grumose induriscono i capillari del cervello: nuovo fattore di rischi…

11.09.2020 | Ricerche

I depositi di una proteina chiamata 'Medin', che è presente in quasi tutti gli anziani, ...

'Ingorgo' di proteine nei neuroni legato alla neurodegenerazione

12.09.2022 | Ricerche

Un nuovo studio condotto da ricercatori dell'EPFL rivela che un complesso proteico malfunzionante pu...

Logo AARAssociazione Alzheimer OdV
Via Schiavonesca 13
31039 Riese Pio X° (TV)