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Alzheimer: diagnosticarlo prima e con maggiore precisione

Ricerca demenza "C'è un progresso attualmente nella ricerca sulla demenza, in  particolare sulla diagnosi. La diagnosi di demenza si basa principalmente su informazioni cliniche, e fino a pochi decenni fa la diagnosi definitiva non si poteva fare prima dell'autopsia.

Con i progressi in campo genetico, la diagnosi definitiva è ora possibile molto prima della morte. Inoltre i vari biomarcatori dei diversi sottotipi di demenza producono diagnosi differenziali che ci portano a diagnosticare l'Alzheimer e le altre forme di demenza nelle fasi iniziali, quando i disturbi cognitivi sono ancora leggeri".

Questo sono parole della Dssa Ana Verdelho (Ospedale Santa Maria dell'Università di Lisbona) pronunciate alla 23a assemblea della European Neurological Society (ENS) a Barcellona, dove circa 3.000 esperti stanno discutendo gli attuali sviluppi nel loro campo in questo congresso, proprio ora.


L'esperta vede grandi progressi nei metodi diagnostici che coinvolgono diversi biomarcatori, e la combinazione di tutti i metodi può migliorare la capacità di diagnosi. L'atrofia del lobo temporale mediale può essere rappresentata con la risonanza magnetica (MRI). Inoltre, i depositi di beta-amiloide nel cervello, che hanno un ruolo nelle origini della malattia, possono essere misurati o resi visibili nel cervello di pazienti viventi con, per esempio, il Pittsburgh Compound B nella tomografia ad emissione di positroni (PET). È anche possibile determinare le variazioni del metabolismo nella corteccia cerebrale con il processo PET. In questo caso si impiega il flurdesoxyglucose radioattivo (FDG). Per migliorare la diagnosi si aggiungono i valori delle proteine del fluido cerebrospinale (proteine Tau e amiloide-beta).

Tracciare la degenerazione del cervello

D'altra parte, identificare i geni responsabili di alcuni specifici fenotipi consente di descrivere più accuratamente i cambiamenti nel tempo nei pazienti affetti da demenza. Un esempio è venuto per un gruppo di ricercatori italiani provenienti da Milano, che hanno riferito al meeting ENS una presentazione atipica della espansione ripetuta del gene C9orf 72, con presentazione psicotica.


Un altro gruppo ha descritto una paziente di 63 anni con disturbi afasici del linguaggio attribuiti ad una mutazione della progranulina e ha descritto i correlati neuroanatomici della progressione della malattia con precisione.


"Risultati come questi saranno altamente significativi soprattutto quando il campo medico arriverà un giorno a forme di terapia specifiche per la proteina". Questo è particolarmente rilevante per le malattie finora senza trattamento, come nella degenerazione frontotemporale. I dati raccolti nel tempo aiuteranno anche a distinguere meglio le varie forme di demenza l'una dall'altra. Dssa Verdelho: "Si spera nei numerosi progetti europei che stanno attualmente lavorando insieme e credo che i dati saranno di molto interesse. Una determinazione precisa aiuterà nella selezione dei pazienti per gli studi che testano nuovi trattamenti in fase iniziale, come quelli che si stanno attualmente cercando per l'Alzheimer con l'immunizzazione contro la proteina amiloide-beta".

 

La demenza non è inevitabile

Studi osservazionali presentati al meeting dell'ENS hanno portato una buona notizia, nel senso che hanno sottolineato il fatto che la demenza in età avanzata non è impossibile da prevenire: circa il 40/50% degli ultra90enni non sono colpiti da essa. Da questo fatto, la prevenzione appare fondamentalmente possibile. L'attenzione è sempre più centrata sulla prevenzione nelle considerazioni di politica sanitaria e perché non vi è ancora alcuna terapia.


Il consenso che viene dalle ricerche condotte finora è che la prevenzione dovrebbe iniziare a metà della vita e proseguire fino in età avanzata. La Dssa Verdelho dice: "L'educazione e lo stile di vita (cioè come una persona tratta i fattori di rischio vascolare e la nutrizione) hanno un ruolo nella prevenzione della demenza, come pure l'attività fisica e lo stato generale di salute, per esempio il controllo del diabete e dell'ipertensione e la prevenzione di ictus".

 

Il test del DNA per prevedere la malattia più avanti

Una ulteriore ricerca presentata al Meeting ENS di Barcellona è stata dedicata alle manifestazioni cliniche delle singole forme di demenza. Inoltre, c'è una ricchezza di nuovi dati sui geni scoperti negli ultimi anni. Dssa Verdelho: "Il campo medico non ha nemmeno associato molte manifestazioni cliniche iniziali della demenza frontotemporale con questa malattia, per esempio". Una collaborazione tra colleghi di Portogallo e Francia, ha identificato una mutazione genetica in una famiglia in cui ci sono stati molti casi di degenerazione del lobo frontotemporale, e questa mutazione è stata individuata anche nella demenza in giovane età in una particolare forma sporadica (sindrome corticobasale). E' sorprendente che questa stessa mutazione, che coinvolge il gene progranulina, si sia manifestata in modo completamente diverso in termini di sintomi. Dssa Verdelho: "Questa demenza può quindi avvenire in famiglie così come nei singoli pazienti".

Il test del DNA è rilevante anche per la progenie ancora sana dei pazienti con demenza con la mutazione del gene, per determinare se saranno colpiti dalla malattia in futuro. "Il rischio può essere del 50%. Consigliamo a tutti i membri della famiglia di chiedere una consulenza genetica in modo da essere aiutati a prendere la decisione per essere o no sottoposti a screening e, infine, ad organizzare la propria vita di conseguenza", ha spiegato la dssa Verdelho. Fino ad ora, molto pochi parenti erano interessati ad avere una consulenza genetica. Questa esitazione può essere attribuita alla mancanza di cure per queste malattie. "Quello che potrebbe motivare le persone a pensarci o a partecipare a studi di ricerca è che così facendo potrebbero contribuire alla ricerca di terapie future. Più pazienti possiamo trovare, più facile è condurre i test di farmaci".

 

Computer per aiutare nella riabilitazione del cervello

I progressi nella terapia o nella prevenzione della demenza sono una merce rara in questo momento e in gran parte confinati alla forma vascolare della malattia. La prevenzione di quest'ultima è migliorata notevolmente negli ultimi decenni, concentrata nella prevenzione delle malattie cerebrovascolari, secondo l'esperta.

I successi sporadici nella ricerca di base in studi su animali o a livello cellulare sono spesso difficili da applicare agli esseri umani. Dssa Verdelho: "Per questo motivo, i ricercatori stanno prendendo la strada della neuropsicologia per fare progressi, come dimostrato dagli attuali studi pilota della Repubblica Ceca con riabilitazione cognitiva assistita da computer. Ci può essere un gran numero di fattori ampiamente divergenti nei pazienti, tuttavia, che si sono rivelati difficili in questi approcci di formazione".

 

 

 

 

 


Fonte: European Neurological Society

Riferimenti: 23rd Meeting of the European Society of Neurology (ENS) 2013. ENS Abstract 175: Is aging without dementia just a dream?; ENS Abstract O330: Phenotypic variability of familial and sporadic progranulin p.Gln257ProfsX27 mutation; ENS Abstract O331: Neuroanatomical correlates of disease progression in a case of nonfluent/agrammatic variant of primary progressive aphasia due to progranulin (GRN) Cys157LysfsX97 mutation; ENS Abstract P661:Computer-assisted cognitive rehabilitation in stroke and Alzheimer's disease: pilot study; ENS Abstract P 670: Cerebrospinal fluid and neuroimaging biomarkers in posterior cortical atrophy

Pubblicato in Medical News Today (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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