Nella maggior parte dei casi, quando una persona riceve la diagnosi di Alzheimer, amici e familiari hanno paura di dire o fare la cosa sbagliata intorno a loro e quindi evitano del tutto i contatti. La socializzazione si riduce e l'individuo diventa isolato e solo.
Inoltre, l'Alzheimer può causare depressione o rendere la persona timorosa o imbarazzata a incontrare gli altri a causa del deterioramento determinato dalla malattia.
Il fu Dr. Richard Taylor, psicologo clinico di Houston che ha avuto la diagnosi di demenza da Alzheimer a 58 anni, sapeva benissimo che cosa viene dopo una diagnosi della malattia cerebrale debilitante. Nei suoi sforzi per far fronte e combattere la depressione dopo la diagnosi, ha iniziato a tenere un diario della sua esperienza, scrivendo delle sue paure come modo per "mantenere il controllo su ciò che stava accadendo tra le mie orecchie", ha detto.
Ha scritto 82 saggi pubblicati nel suo libro «Alzheimer's From Inside Out», molti dei quali descrivevano i suoi sentimenti di isolamento e di solitudine durante la progressione della malattia.
Dopo la sua diagnosi, Taylor ha scoperto che gli amici e i colleghi hanno smesso di chiamarlo o di andarlo a trovare, e si è sentito solo e senza socializzazione degli amici. Un giorno lui ha infine chiamato un collega e gli ha chiesto perché non lo aveva più sentito. Il collega esitante gli disse che non sapeva cosa dire. Taylor ha risposto: "Che dici di cominciare con un semplice «ciao»?".
Nel corso della sua malattia, Taylor, un fondatore della Dementia Alliance International, ha continuato a scrivere i suoi saggi e ha parlato anche a livello internazionale, concentrandosi sull'umanità che persiste nella persona con Alzheimer o altra demenza, e di come tali individui non dovrebbero essere scartati come "mezzi vuoti".
Una diagnosi di demenza o Alzheimer fa concentrare molte persone solo sulla malattia e così dimenticano di continuare a vivere le altre parti della loro vita. Kate Swaffer, collega di Taylor e consulente di Alzheimer's Australia, ha avuto la diagnosi di demenza frontotemporale a insorgenza precoce a 49 anni, nel 2008. Le è stato detto di mettere in ordine le sue attività, smettere di lavorare e di pensare ai suoi piani di cura futuri. Da tutte queste raccomandazioni, ha successivamente coniato il termine "disimpegno prescritto".
Sebbene le istruzioni che aveva avuto fossero in buona fede, la Swaffer riteneva che fossero generalmente basate su nozioni preconcette del modo in cui si può, o meno, vivere con la demenza, e predisporre quell'individuo a vivere una vita senza speranza, futuro o benessere, o a una vita di isolamento. Questi tipi di raccomandazioni, secondo lei, influenzano negativamente la capacità della persona interessata di essere positiva, resiliente e proattiva.
La migliore risposta in merito al motivo per cui gli individui con Alzheimer o demenza diventano isolati sta non solo nell'individuo e nei suoi sentimenti personali, ma è più nella percezione, negli atteggiamenti della società e degli altri e nello stigma che segue la malattia.
Inoltre, supportare il cambiamento di questi atteggiamenti attraverso una migliore istruzione e formazione dei professionisti sanitari, e aumentare la consapevolezza della comunità sulla malattia, possono contribuire ad eliminare le idee malconsigliate false e preconcette, oltre a creare un'esperienza più imparziale e amichevole con la demenza per l'individuo affetto, e un ambiente e stile di vita che non promuovono l'isolamento.
Fonte: Dana Territo su The Advocate (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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