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Combinazione di test disponibili per prevedere il rischio di Alzheimer

Con l'età a volte appaiono dimenticanza e altri segni di perdita di memoria, spingendo gli anziani a cercare una valutazione medica nel timore che possano essere i primi sintomi dell'Alzheimer (AD), il tipo più comune di demenza tra gli americani da 65 anni in poi.

Ma anche quando i primi problemi di memoria suggeriscono il potenziale di AD imminente, il rischio effettivo è variabile. Alcuni pazienti sono ad alto rischio, mentre altri non lo sono. La sfida per i medici, da lungo tempo, è differenziare il rischio in modo da poter determinare le misure adeguate di gestione.

In un articolo che sarà pubblicato sul numero del 25 ottobre della rivista Neurology, un gruppo di medici e scienziati della San Diego School of Medicine della University of California e altrove, descrivono l'uso di una combinazione di test medici ampiamente disponibili per produrre una previsione molto migliorata della probabilità di AD imminente, nei pazienti con decadimento cognitivo lieve (MCI), uno stadio intermedio tra il declino cognitivo previsto nell'invecchiamento normale e la flessione più pronunciata della demenza.

"Sono estremamente entusiasta di questi risultati", ha detto il neurologo James Brewer, MD, PhD, professore associato di radiologia e neuroscienze e parte del team di ricerca Alzheimer's Disease Neuroimaging Initiative alla UC San Diego. "La buona notizia è che possiamotranquillizzare in parte quelle persone che sono negative su questi test, almeno per quanto riguarda i loro prossimi tre anni. Non siamo mai stati in grado di farlo prima. Questi individui, pur avendo un vero problema di memoria, non hanno un rischio maggiore di demenza a breve termine rispetto a una persona sana di età simile senza problemi di memoria".

Per determinare la probabilità di sviluppare l'Alzheimer, i ricercatori della UC San Diego hanno confrontato i fattori di rischio con risonanza magnetica (MRI), liquido cerebrospinale (CSF) e test neuropsicologici. A differenza di altri sforzi che hanno valutato la capacità predittiva di biomarcatori in base alla ricerca, la risonanza magnetica, il CSF e i test neuropsicologici sono tutte tecnologie ampiamente disponibili ai medici. I ricercatori hanno scoperto che questi biomarcatori disponibili hanno migliorato significativamente la precisione nel predire il passaggio alla demenza a breve termine. Insieme, il loro tasso di previsione è stato quasi perfetto: nessuna delle persone che sono risultate negative su tutte e tre le misure ha continuato a sviluppare AD, nei tre anni succesivi di osservazione. In confronto, quasi il 90 per cento degli individui che sono risultati positivi su tutte e tre le misure hanno sviluppato demenza alla fine dei tre anni.

La presenza di atrofia temporale mediale, determinata mediante l'analisi automatizzata di MRI usando un pacchetto software approvato dalla FDA, è stata associata alla probabile possibilità di demenza a breve termine, con una tempo medio di sopravvivenza libero da demenza di soli 15 mesi. Brewer ha detto che i risultati predicono un cambiamento di paradigma nella diagnosi dell'Alzheimer. "Invece di dire, 'Aspettiamo un anno e poi vedremo se questo peggiora,' i nostri neurologi possono dire: 'Facciamo fare una risonanza magnetica volumetrica e controlliamo tra un mese per vedere se il distubo è dovuto alla neurodegenerazione.' Questa possibilità fa una differenza enorme nel modo in cui procedere. Forse il disturbo di memoria non è dovuto alla neurodegenerazione, ma piuttosto è un effetto collaterale di un farmaco, un segno di depressione o per qualcuno è semplicemente ansia e preoccupazione. Essere in grado di rassicurare almeno alcuni pazienti che non hanno un rischio significativo di Alzheimer a breve termine è una cosa che non abbiamo mai potuto fare in passato, data l'alta prevalenza della malattia".

Il finanziamento di questo studio è venuto, in parte, dalla Alzheimer's Disease Neuroimaging Initiative, dal National Institutes of Health, dal National Institute on Aging, dal National Institute of Biomedical Imaging and Bioengineering e da contributi dalle aziende Abbott, AstraZeneca, Bayer Schering Pharma, Bristol-Myers Squibb, Eisai Inc., Elan Corporation, Genetech Inc., GE Healthcare, GlaxoSmithKline, Innogenetics, Johnson & Johnson, Eli Lilly and Co., Medpace, Inc., Merck & Co., Inc., Novartis, Pfizer Inc., Roche, Schering-Plough Corp., Synarc, Inc. e Wyeth, così come dall'Associazione Alzheimer e dall'Alzheimer's Drug Discovery Foundation.

 

 


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Fonte: Materiale dellaa University of California - San Diego.

Riferimento: D. Heister, JB Brewer, S. Magda, K. Blennow, LK McEvoy. Predicting MCI outcome with clinically available MRI and CSF biomarkers. Neurology, 2011; DOI: 10.1212/WNL.0b013e3182343314.

Pubblicato in ScienceDaily il 20 Ottobre 2011 - Traduzione di Franco Pellizzari.

Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi, eventualmente citati nell'articolo, sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non si propone come terapia o dieta; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non dipende da, nè impegna l'Associazione Alzheimer Riese. I siti terzi raggiungibili dagli annunci pubblicitari proposti da Google sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente; in particolare si segnala la presenza frequente di una istituzione medica con base in Germania (xcell-Center) che propone la cura dell'Alzheimer con cellule staminali; la Società Tedesca di Neuroscienze ha più volte messo in guardia da questa proposta il cui effetto non è dimostrato. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.

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