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L'igiene orale nei malati di demenza

Gli infermieri che curano persone con demenza hanno ora un metodo più appropriato per l'igiene dentale dei pazienti , grazie a uno studio pilota di un team di infermieri.

"Una cattiva salute in bocca può portare a polmonite e malattie cardiovascolari così come alla malattia parodontale", ha detto Rita R. Jablonski, "anche se queste malattie non sono di solito associate alla bocca".

Rita Jablonski, illustra come utilizzare il metodo MOUTh su un attore, mentre inserisce la protesi. (Credit: Gene Maylock, copyright 2008 Penn State School of Nursing/Center for Excellence in Geriatric Nursing)

Secondo la Jablonski, professore assistente di cura infermieristica alla Penn State University, le persone con demenza oppongono resistenza alla cura quando si sentono minacciate. In generale, questi pazienti non possono provvedere a se stessi e hanno bisogno di aiuto. La Jablonski e il suo team hanno presentato nell'edizione attuale di Special Care in Dentistry un approccio all'igiene orale chiamato "Gestire l'Igiene Orale con Minaccia Ridotta" (=Managing Oral Hygiene Using Threat Reduction -MOUTh) specificamente per i pazienti affetti da demenza.

Molte delle loro strategie si concentrano sul far sentire il paziente più a suo agio, prima e durante la prestazione delle cure. "Abbiamo elaborato 15 tecniche per ridurre la percezione del pericolo", ha detto la Jablonski. Tali strategie comprendono l'approccio ai pazienti al livello degli occhi se sono seduti, sorridere mentre si interagisce, scherzare o fare gesti teatrali, e guidare i pazienti negli atti della loro cura mettendo una mano sulla loro mano.

Le persone con demenza spesso non sono più in grado di distinguere le situazioni a minaccia bassa o nulla da quelle altamente pericolose. Questo accade quando cominciano a deteriorarsi le parti del cervello che controllano la percezione delle minaccie (in particolare le risposte di lotta, fuga o blocco). L'amigdala è la parte del cervello che ospita la risposta alla paura. L'ippocampo e la corteccia cerebrale ricevono e inviano messaggi all'amigdala, dicendogli come reagire. "Pensiamo all'ippocampo, alla corteccia cerebrale e all'amigdala come essere nel bosco", ha detto Jablonski. "In una persona con demenza, il percorso nel bosco è bloccato da erbacce e il messaggio della corteccia e dell'ippocampo non può arrivare all'amigdala". Al contrario, i pazienti con demenza spesso percepiscono come una minaccia qualcosa di così intimo come l'infermiere che vorrebbe lavare loro i denti, e reagiscono.

Negli ultimi 30 anni il numero dei ospiti delle case di cura che hanno ancora i propri denti è aumentato in modo significativo. Molte di queste persone hanno bisogno di assistenza per l'igiene dentale, così come per l'altra igiene. Jablonski e il suo team ha condotto uno studio pilota con sette persone che avevano demenza moderata o grave. I ricercatori hanno usato le tecniche MOUTh sui soggetti per due settimane, registrandone lo stato delle bocche e in che modo i pazienti hanno reagito nel corso dello studio.

All'inizio dello studio tutti e sette i soggetti avevano una scarsa salute orale, come determinato dall'Oral Health Assessment Tool [Strumento di valutazione dell'Igiene Orale] attraverso l'assegnazione di punteggi tra zero e dieci sulle otto categorie della salute orale. Più basso è il punteggio, più sana è la bocca. Il punteggio medio per i soggetti all'inizio dello studio era 7,29. Alla fine dello studio il punteggio medio è stato di 1,00. "A mia conoscenza, siamo gli unici infermieri nel paese che stanno cercando il modo per migliorare la cura orale delle persone con demenza, in particolare di quelle che lottano e mordono durante la cura della bocca", ha detto la Jablonski. "Il nostro approccio è unico perché inquadriamo la resistenza come reazione a una minaccia percepita."

Altri ricercatori del progetto sono state le Prof. Ann Kolanowski e Elouise Ross Eberly; Mia Gabello e Alexandra Brock, dottorande della scuola per infermieri alla Penn State University; Barbara Therrien, professoressa associata in scienze infermieristiche all'Università del Michigan; e Ellen K. Mahoney, professoressa associata di scienze infermieristiche del Boston College. La Brookdale Leadership in Aging Foundation ha sostenuto questo studio pilota. I National Institutes of Health hanno assegnato fondi alla Jablonski per continuare questa ricerca.

 


Fonte: Materiale della Penn State, via EurekAlert!, un servizio di AAAS.

Pubblicato su ScienceDaily il 5 maggio 2011 Traduzione di Traduzione di Franco Pellizzari.

Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi, eventualmente citati nell'articolo, sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non si propone come terapia o dieta; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non dipende da, nè impegna l'Associazione Alzheimer Riese. I siti terzi raggiungibili dagli annunci pubblicitari proposti da Google sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente; in particolare si segnala la presenza frequente di una istituzione medica con base in Germania (xcell-Center) che propone la cura dell'Alzheimer con cellule staminali; la Società Tedesca di Neuroscienze ha più volte messo in guardia da questa proposta il cui effetto non è dimostrato. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


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