Pensa alla mente come a una biblioteca, dice Dheeraj Roy, e una informazione come un libro. Una volta che il libro è riposto su uno scaffale, è codificato e diventa un ricordo. In un cervello/biblioteca sano, la mente compila un indice. Ma cosa succede se tale riferimento diventa confuso, o se il libro è nel posto sbagliato? “Se non conosci l'indice, non c'è modo di trovare un libro tra un milione”, spiega Roy.
Roy, dottorando del Massachusetts Institute of Technology (MIT), descrive un dilemma che sta sconcertando gli psicologi cognitivi da decenni: se non c'è richiamo, il ricordo se n'è andato? Mancando i mezzi per verificare l'ipotesi in laboratorio, si assumeva che la risposta fosse affermativa. Chiedi a un paziente con Alzheimer iniziale cosa ha mangiato a colazione, e la sua incapacità di ricordare se era toast o fiocchi d'avena è presa come prova del fatto che la memoria non ha messo radici.
Questo è il motivo per cui la ricerca per la tesi di dottorato di Roy, pubblicata su Nature di Marzo, ha causato un certo rumore. Studiando topi nelle prime fasi dell'Alzheimer, Roy ha scoperto che non solo gli animali potevano formare nuovi ricordi, ma che una volta che quei ricordi erano stati 'dimenticati' potevano essere recuperati, CON UN PICCOLO AIUTO.
Questo ha conseguenze per i 40 milioni di persone in tutto il mondo che hanno l'Alzheimer. Offre una strategia per migliorare la memoria, che potrebbe andare al di là del modesto beneficio dei farmaci disponibili. E suggerisce inoltre che la stimolazione cerebrale profonda, la terapia neurochirurgica più usata nel trattamento del Parkinson, ha benefici limitati nell'Alzheimer.
“Le persone mi chiedono, come hai fatto a pensare a questo? E' il contrario: perché non ci avevamo pensato?“, dice Roy. “Ad essere sincero, la mia ipotesi era che questi animali di Alzheimer non avrebbero ricordato. Pensavamo come tutti gli altri, e poi, quando non siamo riusciti a dare un senso ai risultati, abbiamo dovuto cambiare il nostro pensiero”.
Roy, che ha 29 anni, è passato alle neuroscienze in ritardo. “Venendo da una famiglia indiana, tutto quello che senti è ‘medico o ingegnere’, sembra uno scherzo, ma è proprio vero”, dice. Ha scelto il percorso di bio-ingegneria, interessandosi alla memoria solo dopo un viaggio difficile di ritorno in India nel 2011. Abbracciando la nonna, Roy si è reso conto che non lo riconosceva più. I suoi genitori avevano nascosto la gravità della sua condizione. “Se ti dicono al telefono che qualcuno sta 'dimenticando', non capisci il vero impatto fino a quando non la incontri realmente e ti devi ripresentare e dirgli che sei il nipote più giovane, quello che ama i dolci”.
Roy è entrato nel laboratorio di ricerca di neuroscienze del MIT nel 2012. Il suo tempismo è stato casuale. Quell'anno, i colleghi del laboratorio avevano pubblicato una ricerca pietra miliare su Nature in cui, per la prima volta, gli scienziati avevano attivato nell'ippocampo di topi delle cellule cruciali per la conservazione della memoria. Fino ad allora, i ricercatori erano riusciti a discernere quali regioni del cervello hanno funzioni particolari solo disattivando delle cellule. Hanno usato un strumento nuovo e più preciso chiamato optogenetica, che può far 'sparare' [attivare, mandare segnali] i neuroni in profondità nel cervello attraverso impulsi di luce. “Ho detto, fermi tutti, possiamo usare questo anche per l'Alzheimer?”, dice Roy.
Se si mette un topo sano in una scatola e gli si provoca una piccola scossa elettrica ai piedi, la prossima volta che incontra la scatola si blocca dalla paura. Un topo con Alzheimer di sette mesi, tuttavia, la seconda volta non si ricorda della scatola. Piuttosto che bloccarsi, sgambetterà spensierato a esplorare il 'nuovo' ambiente.
Roy ha trascorso un anno cercando di escogitare un mezzo per manipolare le cellule della memoria dei topi di Alzheimer. Ha cercato di sviluppare un virus innocuo per marcare le cellule di memoria del cervello, chiamate «cellule engram» con un gene - la parte 'genetica' di 'optogenetica'. Il gene, una proteina chiamata «channelrhodopsin», forma pori nelle membrane dei neuroni. Quando arriva la luce i pori si aprono, inondando le cellule di ioni caricati positivamente che fanno 'sparare' i neuroni.
Non era un compito facile: “Un anno a risolvere problemi”, spiega Roy. “Se vuoi capire com'era, non facevo che sbattere la testa sul banco quando tutto andava storto e andavo al bar di notte”. Alla fine, ha inventato un virus che ha funzionato. Ma ben presto ha scoperto che i circuiti del cervello dei topi anziani con Alzheimer più avanzato erano troppo pieni delle placche appiccicose di proteine amiloidi che si formano nel cervello dei pazienti con la malattia. I topi di 7 mesi al contrario non avevano ancora le placche, ma avevano la perdita di memoria: messi nella scatola, non ricordavano lo shock.
Praticando un piccolo foro nel cranio del topo e inserendo un cavo a fibre ottiche, Roy è riuscito a stimolare le cellule engram con impulsi di luce. Questo, ha scoperto, rafforza le connessioni sinaptiche tra i neuroni, aiutando i ricordi a riformarsi. Una volta trattati con la luce, i topi si bloccavano. Non solo si ricordavano della scatola, potevano conservare il ricordo fino a un massimo di sei giorni, con un trattamento di luce di tre ore.
“Ho pensato che i risultati erano sia notevoli che entusiasmanti”, afferma Raymond Kelleher, assistente professore di neurologia del Massachusetts General Hospital. “Ha davvero stimolato molto interesse in una zona relativamente trascurata, questa fase della memoria chiamata recupero o richiamo”. I malati di Alzheimer e le loro famiglie chiedono spesso a Kelleher se c'è qualcosa che possiamo fare per migliorare la memoria. Lo studio di Roy, dice Kelleher, fornisce una base scientifica alla tecnica del 'suggerimento', in cui un paziente riceve spunti parziali di un ricordo apparentemente dimenticato.
Lo strumento di luce pulsante è, ovviamente, troppo invasivo per essere applicato al corpo umano. Tuttavia le scoperte di Roy possono avere un'implicazione più immediata per le persone con Alzheimer. La «Stimolazione Cerebrale Profonda» (DBS), in cui elettrodi impiantati sotto il cranio influenzano una parte del cervello, è stata sviluppata come trattamento per l'Alzheimer. I pazienti possono recuperare alcune funzioni cognitive attraverso la DBS, ma spesso solo temporaneamente. Quando Roy ha applicato il metodo optogenetico ad ogni neurone in un ippocampo di topo, l'animale non ha mostrato alcun miglioramento nel richiamo della memoria; ha funzionato solo quando ha puntato gruppi precisi di cellule di memoria.
“Penso che la stimolazione cerebrale profonda, in linea di massima, rafforzi molti input nell'ippocampo”, spiega Roy. In altre parole: in una giornata nuvolosa può essere difficile trovare il Sole. Ricaricare l'intero ippocampo renderà più luminoso il sole, ma sarà anche possibile creare più nubi. La prossima sfida di Roy è capire come puntare e far 'sparare' i neuroni della memoria senza usare un cavo invasivo a fibre ottiche. Oppure, usando ancora la sua metafora, intende sgombrare le nuvole per definire meglio il Sole.
Fonte: João Medeiros in Wired (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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