Scienziati del Salk Institute for Biological Studies hanno scoperto che un prodotto chimico presente nella frutta e nella verdura, dalle fragole ai cetrioli, sembra arrestare la perdita di memoria che accompagna l'Alzheimer nei topi.
Negli esperimenti su topi che normalmente sviluppano sintomi di Alzheimer meno di un anno dopo la nascita, una dose giornaliera del composto, un flavonolo chiamato fisetina, ha impedito il deterioramento progressivo della memoria e dell'apprendimento.
Il farmaco, tuttavia, non modifica la formazione di placche amiloidi nel cervello, gli accumuli di proteine che sono di solito incolpati dell'Alzheimer. La nuova scoperta suggerisce un modo per trattare i sintomi di Alzheimer, indipendentemente dal puntare alle placche amiloidi.
"Avevamo già dimostrato che negli animali normali, la fisetina può migliorare la memoria", dice Pamela Maher, scienziato senior del Cellular Neurobiology Laboratory del Salk che ha guidato il nuovo studio. "Quello che abbiamo mostrato qui è che può anche avere un effetto sugli animali inclini all'Alzheimer".
Più di dieci anni fa, la Maher aveva scoperto che la fisetina aiuta a proteggere i neuroni nel cervello dagli effetti dell'invecchiamento. Fin da quel momento, lei ed i suoi colleghi hanno indagato, sia in colture cellulari isolate che in studi sui topi, sugli effetti antiossidanti e anti-infiammatori del composto sulle cellule del cervello. Più di recente, hanno trovato che la fisetina attiva una via cellulare nota per il coinvolgimento nella memoria. "Quello che abbiamo capito è che la fisetina ha una serie di proprietà che riteniamo possano essere utili per l'Alzheimer", spiega la Maher.
Così la Maher - di concerto con Dave Schubert, il responsabile del Cellular Neurobiology Lab - si è rivolta ad un ceppo di topi che presentano mutazioni in due geni legati all'Alzheimer. I ricercatori hanno preso un sottoinsieme di questi topi e, quando avevano solo tre mesi di vita, hanno cominciato ad aggiungere fisetina al loro cibo. Mentre i topi invecchiavano, i ricercatori ne hanno testato le abilità di memoria e di apprendimento con labirinti d'acqua.
A nove mesi di età, i topi che non avevano ricevuto la fisetina hanno cominciato ad andare peggio nei labirinti. I topi che avevano ricevuto una dose giornaliera del composto, tuttavia, avevano le stesse prestazioni dei topi normali, sia a nove mesi che ad un anno. "Anche se la malattia comunque progrediva, la fisetina era in grado di continuare a prevenire i sintomi", spiega la Maher.
Il gruppo della Maher, in collaborazione con scienziati della University of California di San Diego, ha successivamente testato il livello di diverse molecole nel cervello sia dei topi che avevano ricevuto dosi di fisetina, sia degli altri. Nei topi con sintomi di Alzheimer, hanno scoperto l'accensione di percorsi coinvolti nell'infiammazione cellulare. Negli animali che avevano preso fisetina, quelle vie erano state smorzate ed erano presenti invece molecole anti-infiammatorie.
L'assunzione di fisetina ha impedito ad una proteina in particolare, conosciuta come p35, di essere scissa in una versione più corta. La versione ridotta della p35 è nota per accendere e spegnere molte altre vie molecolari. I risultati sono stati pubblicati il 17 dicembre 2013, nella rivista Aging Cell. Gli studi su tessuto isolato avevano indicato che la fisetina potrebbe anche diminuire il numero di placche amiloidi nel cervello colpito dall'Alzheimer. Tuttavia, tale osservazione non si è replicata negli studi sui topi. "La fisetina non ha influenzato le placche", spiega la Maher. "Sembra agire su altri percorsi che non erano stati seriamente esaminati in passato come bersagli terapeutici".
Per il futuro, il team della Maher spera di capire meglio i dettagli molecolari sul modo in cui la fisetina influenza la memoria, compresa la domanda se ci sono obiettivi diversi dal p35. "Può essere che i composti come questo, che hanno più di un bersaglio, siano più efficaci nel trattamento dell'Alzheimer", spiega la Maher, "perché è una malattia complessa, dove ci sono molte cose che non vanno".
Essi puntano anche a sviluppare nuovi studi per esaminare come la tempistica delle dosi della fisetina determini la sua influenza sull'Alzheimer. "Il modello che abbiamo usato qui è un modello di prevenzione", spiega la Maher. "Abbiamo iniziato a somministrare i farmaci al topo prima che avesse una qualsiasi perdita di memoria. Ma ovviamente i pazienti umani non vanno dal medico prima di avere già problemi di memoria". Quindi il passo successivo per portare la scoperta alla pratica clinica, dice, è verificare se la fisetina può invertire i cali di memoria, una volta che sono già apparsi.
Altri ricercatori coinvolti sono Antonio Currais, Marguerite Prior, Richard Dargusch, Jennifer Ehren, e David Schubert del Salk Institute e Aaron Armando e Oswald Quehenberger della University of California di San Diego. Il lavoro è stato finanziato dall'Alzheimer's Association, da Paul Slavik, dal National Institutes of Health, dalla Alzheimer's Drug Discovery Foundation, e dalla George E. Hewitt Foundation.
Fonte: Salk Institute for Biological Studies.
Riferimenti: Antonio Currais, Marguerite Prior, Richard Dargusch, Aaron Armando, Jennifer Ehren, David Schubert, Oswald Quehenberger, Pamela Maher. Modulation of p25 and inflammatory pathways by fisetin maintains cognitive function in Alzheimer's disease transgenic mice. Aging Cell, 2013; DOI: 10.1111/acel.12185
Pubblicato in salk.edu (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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