Degli scienziati, finanziati dal National Institutes of Health, hanno scoperto una strategia potenziale per lo sviluppo di trattamenti per arginare il processo di malattia dell'Alzheimer.
Si basa sull'impedire la limitazione nella rimozione dei detriti tossici che si accumulano nel cervello dei pazienti, bloccando l'attività di una proteina regolatrice poco conosciuta, chiamata CD33.
L'attività della proteina regolatrice CD33 (verde) che impedisce la rimozione dei detriti della proteina amiloide-beta (rosso), dannosi per il cervello, da parte delle cellule di supporto, le microglia. A sinistra: le microglia di topi normali di controllo (A") mostrano più CD33 e meno amiloide-beta dei topi in cui è sperimentalmente bloccata l'espressione di CD33 (B"). A destra: si vede poca amiloide-beta nelle microglia di una linea di topi con CD33 sovra-espresso (C"), rispetto alla microglia di topi in cui la CD33 è stata sperimentalmente disattivata (D"). Le prove in cervelli umani post mortem indicano che la CD33 è altrettanto sovra-attiva nell'Alzheimer, il che suggerisce che un trattamento che lo impedisce potrebbe aiutare a curare o prevenire la malattia. (Credit: Rudolph Tanzi, Ph.D., of Massachusetts General Hospital and Harvard University) |
"L'eccessiva attività della CD33 sembra promuovere l'Alzheimer ad insorgenza tardiva impedendo alle cellule di supporto di sgombrare le placche tossiche, i principali fattori di rischio della malattia", spiega Rudolph Tanzi, Ph.D., del Massachusetts General Hospital e della Harvard University, sovvenzionato dal National Institute of Mental Health del NIH (NIMH) e dal National Institute on Aging (NIA). "Dei farmaci che impediscono l'attività della CD33 nel cervello potrebbero in futuro aiutare a prevenire o curare la malattia".
Tanzi e colleghi riferiscono i loro risultati nell'edizone del 25 Aprile 2013 della rivista Neuron.
"Questi risultati rivelano un meccanismo precedentemente sconosciuto e potenzialmente forte per proteggere i neuroni da tossicità e infiammazione dannose", scrive il direttore del NIMH Thomas R. Insel, MD. "Vista le crescenti prove della sovrapposizione tra vari disturbi del cervello a livello molecolare, capire tali meccanismi dell'Alzheimer può fornire indizi anche per altri disturbi mentali".
La variazione nel gene CD33 era stata presentata come uno dei primi quattro indiziati nella più grande analisi del genoma delle famiglie colpite da Alzheimer, riferita da Tanzi e colleghi nel 2008. Il gene era conosciuto per la sua capacità di produrre una proteina che regola il sistema immunitario, ma la sua funzione nel cervello era rimasta incerta. Per scoprire in che modo potrebbe contribuire all'Alzheimer, i ricercatori hanno premuto l'acceleratore su genetica umana, biochimica e analisi del tessuto cerebrale umano e di topo, e su esperimenti a base di cellule.
Hanno trovato sovra-espressione di CD33 nelle cellule di supporto, chiamate microglia, nel cervello post-mortem di pazienti di Alzheimer ad insorgenza tardiva, la forma più comune della malattia. Maggiore è la proteina CD33 sulla superficie cellulare delle microglia, maggiore è la proteina amiloide-beta e le placche (detriti dannosi) accumulate nel cervello. Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che i cervelli di persone che avevano ereditato una versione del gene CD33 che li proteggeva dall'Alzheimer evidenziavano una quantità vistosamente ridotta di CD33 sulla superficie della microglia e minore amiloide-beta.
Il livello cerebrale di amiloide-beta e di placche è marcatamente ridotto anche nei topi ingegnerizzati per sotto-esprimere o mancare di CD33. Le cellule microgliali in questi animali sono più efficienti nello sgombrare i rifiuti, fatto che i ricercatori riconducono al livello di CD33 sulla superficie cellulare. Le prove suggeriscono anche che la CD33 collabora con un altro gene di rischio di Alzheimer nelle microglia per regolare l'infiammazione nel cervello.
I risultati dello studio (e quelli di un altro recente sui ratti che replicano molte caratteristiche della malattia umana) rafforzano la teoria prevalente secondo la quale l'accumulo di placche di amiloide-beta è un tratto distintivo della patologia di Alzheimer. Arrivano in un momento di fermento nel settore, stimolato da altre recenti prove contraddittorie che suggeriscono che questi presunti colpevoli potrebbero invece svolgere un ruolo protettivo.
Poiché la maggiore attività della CD33 nelle microglia riduce l'eliminazione dell'amiloide-beta nell'Alzheimer ad insorgenza tardiva, Tanzi e colleghi sono ora alla ricerca di agenti in grado di attraversare la barriera emato-encefalica per bloccare tale attività.
Fonte: NIH / National Institute of Mental Health.
Riferimento: Ana Griciuc, Alberto Serrano-Pozo, Antonio R. Parrado, Andrea N. Lesinski, Caroline N. Asselin, Kristina Mullin, Basavaraj Hooli, Se Hoon Choi, Bradley T. Hyman, Rudolph E. Tanzi. Alzheimer's Disease Risk Gene CD33 Inhibits Microglial Uptake of Amyloid Beta. Neuron, 2013; DOI: 10.1016/j.neuron.2013.04.014.
Pubblicato in Science Daily il 25 Aprile 2013 (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari
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