Man mano che viviamo più a lungo, aumenta il numero di persone che convivono con la demenza. Globalmente, circa 46,8 milioni di persone vivono con questa condizione.
Ma la demenza non è sempre stata considerata come lo è oggi. Per molto tempo è stata ritenuta una malattia mentale e una conseguenza inevitabile dell'invecchiamento. Nel corso del XX secolo, tuttavia, i progressi della medicina e della ricerca hanno fatto sì che la demenza venisse intesa come un insieme di sintomi cognitivi e funzionali, causati non solo dalle condizioni neurologiche, ma anche dall'esperienza fisica, sociale e psicologica dell'individuo.
L'ultima riflessione nel campo della cura della demenza, a cui ho dedicato la mia carriera, è la nuova comprensione che, mentre possiamo aiutare le persone a mantenere più a lungo le loro attuali capacità, possiamo anche - in alcuni casi - lavorare per ripristinare le funzioni perse.
Quando ho lavorato per la prima volta come assistente di terapia occupazionale negli anni '80, sono rimasto scioccato dal trattamento di coloro che vivevano con una demenza. Troppo spesso semplicemente la gente si arrendeva.
Ciò non era dovuto a negligenza da parte dei singoli caregiver, l'intera cultura era diversa allora. I servizi ospedalieri erano chiamati interamente 'psico-geriatrici' e lo scopo principale della cura della demenza era di mantenere le persone sotto controllo, al sicuro e occupate, appagandole essenzialmente con l'intrattenimento, anziché stimolarle e aiutarle a mantenere le funzioni dove possibile.
Negli ultimi anni, questo approccio ha avuto una revisione radicale. È stata adottata dalla generalità il concetto di demenza come problema neurologico e combinazione di molte cause diverse. I pionieri, come il prof. Tom Kitwood, hanno dimostrato che i sintomi della demenza sono determinati da deficit neurologici specifici degli individui, dalla loro personalità e dalla loro storia di vita e, soprattutto, dalla psicologia sociale: come trattiamo coloro che vivono con la demenza.
Negli anni '90 questo è stato un enorme campanello d'allarme per il campo, e un momento formativo per coloro che, come me, sono specializzati nella cura della demenza. Una volta che abbiamo capito meglio che cos'è la demenza e i molti fattori che possono causarla, i ricercatori hanno iniziato a esplorare la "remenza", la possibile inversione di alcuni dei sintomi.
Centrale a questo approccio è l'uso della terapia occupazionale. In pratica, i terapisti occupazionali lavorano con coloro che soffrono di demenza di fase iniziale per comprendere l'insieme dei sintomi di ciascun individuo e dove vorrebbero migliorare e recuperare le funzioni. Alcuni, ad esempio, potrebbero voler imparare a usare un telefono cellulare, alcuni potrebbero voler imparare di nuovo a fare una tazza di tè, e altri potrebbero voler disperatamente ricordare i nomi dei loro nipoti.
Il terapeuta quindi aiuterà ogni individuo a scomporre l'attività specifica nelle sue singole parti, ad analizzarle e a rimetterle insieme per ri-apprenderle. Preparare una tazza di tè, ad esempio, è un compito incredibilmente complesso quando suddiviso in ogni piccolo movimento e decisione necessaria: prendere il bollitore, afferrare la maniglia, decidere quanta acqua usare, ...
Alla base della pratica ci sono gli ultimi sviluppi nelle neuroscienze, che esplorano il modo in cui si possono riguadagnare le funzioni, consentendo la creazione di nuovi collegamenti tra i neuroni per fare il lavoro di quelli danneggiati.
Questo fenomeno di ricablaggio del cervello è ben compreso ma non è ancora stato applicato ampiamente alla cura della demenza, dove ha un enorme potenziale per aiutare le persone nelle prime fasi della malattia.
Fonte: Jackie Pool, responsabile unità demenza di Sunrise Senior Living, e autore del libro The Pool Activity Level Instrument for Occupational Profiling.
Pubblicato su The Guardian (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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