Ricercatori svedesi riferiscono in una ricerca pubblicata sul Journal of Alzheimer's Disease che il 46% dei pazienti con diagnosi di Alzheimer in Svezia vive da solo nella loro casa, in particolare le donne anziane.
I pazienti che vivono da soli non ricevono la stessa entità di indagini diagnostiche e di trattamento anti-demenza come coloro che coabitano. Dall'altra parte, sono trattati più spesso con antidepressivi, antipsicotici e farmaci sedativi.
Secondo le statistiche recenti, il numero di persone anziane che vivono da sole nelle loro case, in particolare le donne, sta aumentando nei paesi ad alto reddito. Quando un anziano è affetto da demenza, come l'Alzheimer, può non avere un parente stretto che vive insieme, complicando così il corso della malattia. La demenza influenza la sua memoria e in seguito può portare alla dipendenza da un caregiver.
I ricercatori del Karolinska Institutet e dell'Ospedale Universitario Karolinska in Svezia hanno studiato 26.000 pazienti con Alzheimer registrati nel Swedish Dementia Registry (SveDem), un registro nazionale con i pazienti affetti da demenza. Per merito della dimensione del campione di studio e delle informazioni dettagliate ricevute dal registro svedese dei farmaci prescritti e dal registro svedese dei pazienti, il team è riuscito a stimare gli effetti della vita solitaria su diversi aspetti dell'assistenza sanitaria, indipendentemente dalle caratteristiche del paziente, come età, sesso, comorbilità o gravità della demenza.
Pavla Čermáková, prima autrice dello studio, a nome del team del Dipartimento di Neurobiologia, Scienze dell'Assistenza e Società del Karolinska Institutet, afferma:
"La percentuale elevata di pazienti soli con Alzheimer è preoccupante, poiché questa non è certamente un malattia che i pazienti possono affrontare da soli.
"Abbiamo trovato molte diseguaglianze nell'assistenza sanitaria che viene fornita. I pazienti che vivono da soli sono stati sottoposti meno spesso a indagini con i metodi di scansione cerebrale, come la tomografia computerizzata (CT) e la risonanza magnetica (MRI) e la puntura lombare. Inoltre, sono stati trattati meno con inibitori della colinesterasi e memantina, che oggi sono gli unici farmaci che possono migliorare i loro sintomi".
Una spiegazione probabile è che la presenza di un caregiver stretto, che vive con il paziente, influenza la strategia diagnostica e la terapia decisa dai medici. Al contrario, i pazienti che vivono da soli hanno avuto più antidepressivi, antipsicotici e ipnotici-sedativi. Non è chiaro se i medici sono più inclini a prescrivere questi farmaci a questo gruppo di pazienti o se la vita solitaria può causare o peggiorare la depressione, i problemi di sonno e i sintomi psicotici.
"È possibile che migliorare le condizioni di vita dei pazienti con Alzheimer possa ridurre la necessità di questi farmaci", suggerisce Maja Nelson, seconda autrice della ricerca. Questo studio fornisce una buona base per un possibile intervento.
"Lavoro clinicamente all'Ospedale Universitario Karolinska, dove vedo i pazienti con Alzheimer", afferma Dorota Religa, autrice senior dello studio. "Dobbiamo fare ulteriori sforzi per superare le sfide che la vita solitaria pone su di loro".
Fonte: IOS Press via AlphaGalileo (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Pavla Cermakova, Maja Nelson, Juraj Secnik, Sara Garcia-Ptacek, Kristina Johnell, Johan Fastbom, Lena Kilander, Bengt Winblad, Maria Eriksdotter, Dorota Religa. Living Alone with Alzheimer’s Disease: Data from SveDem, the Swedish Dementia Registry. Journal of Alzheimer's Disease, vol. Preprint, no. Preprint, pp. 1-8, 2017 DOI: 10.3233/JAD-170102
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