I risultati di quattro studi sulla ricerca di nuovi bersagli terapeutici per l'Alzheimer, e che comportano nuovi approcci per identificare e selezionare i partecipanti, sono stati riferiti ieri, 14 Luglio, alla International Conference (R) 2013 dell'Alzheimer's Association (AAIC 2013) di Boston.
Gli esperimenti coinvolgono quattro nuovi composti che prendono di mira i cambiamenti fisici nel cervello associati allo sviluppo e alla progressione dell'Alzheimer. Due farmaci hanno lo scopo di ridurre l'infiammazione del cervello, uno si ritiene che possa inibire la produzione di una proteina anomala nel cervello nota come amiloide-beta, e il quarto promuove la rigenerazione delle cellule cerebrali.
"L'epidemia di Alzheimer è già qui. E' fondamentale accelerare la ricerca di nuove idee e strategie per trattare e prevenire il morbo", ha detto Maria Carrillo, Ph.D., vice presidente delle relazioni mediche e scientifiche dell'Alzheimer's Association. "Anche se molti esperimenti presentati all'AAIC 2013 sono ancora in fase iniziale, essi rappresentano una diversificazione promettente nei percorsi di trattamento dell'Alzheimer e si traducono in una nuova speranza per un mondo senza la malattia in futuro".
(1) Modulatore della microglia riduce l'infiammazione e migliora la cognizione nei pazienti con MCI
Nel processo e nella progressione dell'Alzheimer è coinvolta l'infiammazione del cervello. Le microglia sono cellule che agiscono come prima e principale forma di difesa immunitaria attiva nel cervello e nel midollo spinale, dove devono reagire rapidamente per diminuire l'infiammazione e proteggere i tessuti sensibili. E' stato recentemente suggerito che le placche amiloidi nel cervello dei malati di Alzheimer possono stimolare le microglia a produrre composti che causano danni alle cellule cerebrali. Così, le microglia sono diventate un nuovo bersaglio per le terapie dell'Alzheimer.
Il CHF5074 (di Chiesi Pharmaceuticals Inc., Parma, Italia) è un modulatore della microglia che, negli studi preliminari, ha dimostrato di prevenire la deposizione di placca [amiloide] nel cervello e di ridurre i deficit in modelli di topi transgenici di Alzheimer. All'AAIC 2013, Joel Ross, MD, FACP, AGSF, CMD, CPI, del Memory Enhancement Center of America, e i suoi colleghi della Chiesi Farmaceutici hanno riferito i risultati di un esperimento di 90 settimane (14 settimane in doppio cieco, controllato con placebo, seguito da uno studio di estensione in aperto di 76 settimane) del CHF5074 con tre dosi diverse (200, 400 e 600 mg / die) in persone con lieve decadimento cognitivo (MCI). I partecipanti hanno ricevuto la stessa dose del farmaco per tutto l'esperimento e sono stati monitorati nei segni vitali, nell'attività cardiaca, nelle prestazioni neuropsicologiche e nella sicurezza.
74 pazienti sono entrati nella parte in aperto dello studio: 26 nel 200, 21 nel 400 e 27 nel 600 mg / die. Alla 40a settimana di studio, sono usciti 14 pazienti: quattro del gruppo di 200 mg/giorno, due del 400mg e otto del 600mg. Tre sono usciti per eventi avversi: due nel 600 mg/die (aumento della creatinina sierica e peggioramento della funzione cognitiva) e uno del gruppo di 400 mg/giorno (polmonite). Gli eventi avversi più frequenti emersi dal trattamento sono stati i disturbi gastrointestinali, dei quali la diarrea è stata segnalata nell' 1,4 per cento dei pazienti trattati con 200 mg/die, dal 6,3 per cento dei pazienti su 400 mg/die e dal 16 per cento dei pazienti trattati con 600 mg/die.
Un'analisi intermedia dei test cognitivi su 27 pazienti che hanno raggiunto l'88a settimana di studio mostra dei miglioramenti statisticamente significativi, dose-dipendenti, delle capacità cognitive dei partecipanti. I partecipanti allo studio portatori di una o due copie del gene apoE4 (che aumenta il rischio di Alzheimer) sono andati significativamente meglio su 2 dei test cognitivi, rispetto ai non portatori di ApoE4. "Questo è uno dei primi studi che indicano che questo inibitore neuroinfiammatorio potrebbe migliorare la cognizione nelle persone con MCI che portano il gene ApoE4", ha detto Ross. "Il CHF5074 è stato ben tollerato dalle persone con MCI con dosi fino al 400 mg/die".
(2) MK-8931 (inibitore BACE1) abbassa l'amiloide-beta nelle persone con Alzheimer lieve/moderato
La presenza di placche beta-amiloidi nel cervello è una manifestazione ben nota dell'Alzheimer. Una ipotesi sostiene che le tossine prodotte dall'amiloide-beta iniziano una serie di eventi nel cervello che causano l'Alzheimer, ma non è ancora chiaro a molti se le placche sono una causa o una conseguenza della malattia. Ricercatori universitari e dell'industria hanno studiato una varietà di approcci per rallentare o fermare la produzione di amiloide-beta e/o eliminarla dal cervello. Eppure, ad oggi, una combinazione di problemi di sicurezza e mancanza di efficacia nel rallentare o fermare il declino cognitivo nelle persone con Alzheimer ha vanificato tutti questi tentativi. Anche se questo ha portato ad ulteriori domande sulla validità dell'ipotesi cascata-amiloide, o sulla possibilità di intervento terapeutico attraverso questo percorso, continuano ad essere testati nuovi approcci.
Mark S. Forman, MD, Ph.D., e colleghi dei Merck Research Laboratories hanno condotto uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, su dosi multiple di un farmaco sperimentale chiamato MK-8931 in pazienti con Alzheimer lieve-moderato. Il farmaco agisce inibendo la beta-secretasi (BACE1), uno dei due enzimi che producono amiloide-beta, abbattendo la sua molecola originaria, nota come proteina precursore dell'amiloide (APP). I partecipanti hanno ricevuto 12, 40 o 60 mg di MK-8931 o placebo (8 individui per dose, 6 per il placebo) al giorno per sette giorni. E' stato misurato il livello di amiloide-beta nel liquido cerebrospinale (CSF, il liquido che circonda il cervello e il midollo spinale) ottenuto con puntura lombare 36 ore dopo dell'ultima dose.
I ricercatori hanno scoperto che il farmaco abbassa significativamente l'amiloide-beta del CSF nelle persone con Alzheimer lieve o moderato, in modo dose-dipendente; alle dosi più elevate la riduzione media rispetto al basale è di oltre l'80 per cento. Secondo i ricercatori, il MK-8931 è in genere ben tollerato. "Questa è la prima dimostrazione di un abbassamento dei livelli di amiloide-beta ottenuta da un inibitore BACE1 nelle persone con Alzheimer", ha detto Forman. "Crediamo che questo candidato rappresenti un'opportunità unica per verificare l'ipotesi amiloide".
(3) La terapia rigenerativa "Allopregnanolone" inizia l'esperimento di Fase 1
Secondo Roberta Brinton, Ph.D., dell'Università della California del Sud, sia l'invecchiamento che l'Alzheimer sono caratterizzati da un calo della capacità del corpo (compreso il cervello) di auto-rinnovarsi e ripararsi, ma la capacità di rigenerazione esiste ancora, sebbene ad un livello ridotto. L'Allopregnanolone (noto anche come Allo) è un neurosteroide presente nel cervello e nel sangue. In studi precedenti, ha mostrato risultati promettenti come potenziale terapia rigenerativa per promuovere la creazione di cellule del cervello e migliorare la funzione cognitiva negli animali più anziani e nei modelli animali dell'Alzheimer.
All'AAIC 2013, la Brinton ha riferito sulla progettazione di studio clinico di fase 1, con dose multipla ascendente, dell'Allo nei partecipanti con diagnosi di MCI a causa di Alzheimer e Alzheimer lieve, con dosi somministrate una volta-per-settimana per 12 settimane per stabilire una dose sicura e tollerata. Poiché l'Allo è espresso naturalmente dal cervello e raggiunge livelli relativamente elevati durante il terzo trimestre di gravidanza, gli scienziati sono riusciti ad avanzare al di là dei limiti di tempo di un primo stadio tipico di test di sicurezza.
Gli obiettivi secondari dello studio includono la valutazione degli effetti potenziali a breve termine del dosaggio dell'Allo sulla cognizione e sugli indicatori MRI di AD e la produzione di materiale per una fase 2 successiva dell'esperimento di concetto dell'efficacia rigenerativa, con biomarcatori basati su MRI. "L'Allopregnanolone è un agente ben caratterizzato con risultati molto promettenti della promozione della generazione di cellule staminali neurali e del ripristino della funzione cognitiva in modelli animali dell'Alzheimer", ha detto la Brinton. "Consideriamo l'Allopregnanolone la principale terapia rigenerativa per MCI e Alzheimer. La nostra speranza è che, con ulteriori ricerche, si possa aggiungere l'Allo ai possibili trattamenti di Alzheimer.
"Un aspetto critico da considerare per le potenziali terapie rigenerative nell'Alzheimer è il peso continuo e progressivo della morte delle cellule cerebrali causate dalla malattia. Non è sufficiente generare solo nuovi neuroni e promuovere la loro sopravvivenza. È necessario ridurre il carico continuo della patologia perchè ci siano benefici a lungo termine per la cognizione e la funzionalità", ha aggiunto la Brinton. "Siamo molto incoraggiati nello scoprire che l'Allo riduce l'onere della patologia di Alzheimer. I nostri ultimi risultati sono molto interessanti in quanto mostrano che l'Allo aumenta la capacità energetica del cervello. Ciò è importante perché la generazione di nuovi neuroni, di nuovi circuiti sinaptici e la trasmissione sinaptica richiedono tutti molta energia".
(4) Esperimento di Fase 3 del Pioglitazone ritarda l'insorgenza di MCI in anziani cognitivamente normali, (1) usa la genetica per arricchire la popolazione dello studio, e (2) è progettato per verificare nuovi criteri diagnostici
Gli studi internazionali per ritardare l'insorgenza della MCI a causa dell'Alzheimer sono complessi in termini di progettazione, richiedendo un attento esame della definizione dei casi, delle caratteristiche del sito, della selezione dei parametri e dei metodi primari di verifica per garantire un'adeguata validazione culturale e psicometrica. Essi richiedono innovazioni nell'approccio al reclutamento della popolazione di studio più appropriata, forniscono consistenti diagnosi di MCI in tutti i paesi e garantiscono la credibilità dei risultati.
Kathleen A. Welsh-Bohmer, Ph.D., del Joseph and Kathleen Bryan Alzheimer's Disease Research Center del Medical Center della Duke University, ed i suoi colleghi della Zinfandel and Takeda Pharmaceuticals International, Inc., stanno attualmente iniziando uno studio internazionale di Fase 3 con bassa dose di pioglitazone (un farmaco che a dosi più elevate è approvato per il trattamento del diabete di tipo 2), come terapia per ritardare l'insorgenza di MCI a causa dell'Azheimer. L'esperimento inizierà le iscrizioni nel 2013. In precedenti studi umani, il trattamento con pioglitazone è stato associato a un calo dei marcatori di infiammazione cerebrale.
I partecipanti allo studio saranno soggetti cognitivamente normali portatori delle varianti di rischio genetico dei geni APOE e TOMM40, associate ad un maggiore rischio di insorgenza dei sintomi dell'Alzheimer. Attraverso l'assunzione di persone con questa combinazione genetica, i ricercatori ritengono di arricchire la popolazione nello studio poichè un numero maggiore di partecipanti avrà MCI e/o Alzheimer nel corso dello studio. Inoltre, lo studio include l'applicazione e la convalida dei nuovi criteri diagnostici NIA/Alzheimer's Association per l'MCI dovuto all'Alzheimer (Albert et al, 2011; Alzheimer's and Dementia. The Journal of the Alzheimer's Association) e potrà determinare una batteria opportuna di test cognitivi che funzioni in modo efficace in tutti i siti di studio del mondo, tenendo conto, ad esempio, della lingua e delle differenze culturali.
"Dal momento che si tratta di un esperimento internazionale, con siti in Stati Uniti, Europa, Australia e Russia, è di vitale importanza applicare standard che possono essere usati e validati senza soluzione di continuità in tutto il mondo", ha detto la Welsh-Bohmer. "Questo studio ha lo scopo di rendere operativi i nuovi criteri diagnostici NIA/Alzheimer's Association, che rappresentano i nuovi standard". "Le nuove procedure in sviluppo per questo esperimento possono servire come strumenti utili per l'applicazione in altri studi globali per prevenire l'insorgenza dei sintomi di Alzheimer", ha aggiunto.
Fonte: Alzheimer's Association
Pubblicato in The Wall Street Journal (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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