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Cinque speranze per gli immemori del 21 ° secolo

Nonostante tutti gli sforzi in senso contrario, all'alba del secondo decennio del 21° secolo, gli sforzi biomedici di ritardare, prevenire o curare la demenza non stanno mostrando alcun successo significativo.

La storia della scienza è ovviamente piena di esempi sorprendenti di vittorie strappate dalle ali della disperazione, e anzi la "serendipità, la fortuna di trovare le cose senza cercarle, favorisce la mente preparata".

(In grigio la parte di articolo già già pubblicata il 20 febbraio 2012)

Senza cedere al disfattismo scientifico, sembra opportuno focalizzare la nostra speranza sulla cura in se stessa, e su come possiamo creare la cultura che valorizza le persone così profondamente smemorate. Non esiste una bacchetta magica per la demenza, ma possiamo sperare in queste tre cose:

  1. i carers compassionevoli che manifestano il nostro senso più profondo di un'umanità condivisa, nonostante il declino cognitivo;
  2. l'evidenza crescente dei sé tolleranti al di là del caos di devastazione neurologica;
  3. e le possibilità di una evoluzione spirituale-culturale verso l'accettazione, l'affermazione e il collegamento con lo smemorato profondo.

 

Lo stato della scienza

Nel Regno Unito c'è la saggezza di parlare di "demenza" piuttosto che di "Alzheimer", poiché la demenza come sindrome ha tante cause, e ogni singolo caso può essere di causalità mista. Senza dubbio esiste una forma progressiva, intrattabile, e irreversibile di demenza visibile nelle scansioni del cervello come atrofia dell'ippocampo, quella parte del cervello più coinvolta nella memoria, e questo può essere descritto come demenza di "Tipo Alzheimer" o anche come morbo di Alzheimer. Ma non c'è alcuna condivisione che la malattia sia causata da placche di proteine beta-amiloide che si sviluppano tra i neuroni.


In uno studio recente tanto pubblicizzato, un composto di Eli Lilly (Semagacestat) ha permesso di ridurre le placche beta-amiloidi nel cervello delle persone con una diagnosi di probabile Alzheimer, ma questo sembra aver peggiorato le funzioni cognitive e le attività della vita quotidiana nei soggetti rispetto ai placebo.

Scienziati radicalmente dissenzienti hanno quindi rapidamente affermato che a loro avviso la formazione di beta-amiloide è una reazione protettiva del corpo all'Alzheimer, piuttosto che un agente causativo da eliminare. Un test di liquido spinale per l'Alzheimer basato sui livelli di beta-amiloide e proteina tau, è stato pubblicizzato dai media come "accurato al 100 per cento" nella previsione dell'insorgenza dell'Alzheimer, quando in realtà, questi test sono ancora carenti nella loro sensibilità (capacità di diagnosticare il morbo quando esiste) e specificità (capacità di diagnosticare solo quelli con il disturbo). Non è che le persone con memoria normale, che hanno queste proteine svilupparanno l'Alzheimer. Anche se elevati livelli di beta-amiloidi sono associati all'Alzheimer in misura significativa, questo non è assolutamente un marcatore dell'esistenza certa della malattia, e neppure ne è necessariamente una causa.


È vero quindi che c'è l'epidemiologia di una forma irreversibile, intrattabile, e progressiva della demenza senile che è piuttosto eterogenea nella manifestazione, caratterizzata da atrofia ippocampale, che noi chiamiamo morbo di Alzheimer. Nonostante il fatto che nel 1907 il dottor Alzheimer stesso non pensava di aver scoperto una malattia, ma semplicemente di osservare le placche cerebrali che potrebbero o no essere associate alla demenza senile, alla quale probabilmente dovremmo tutti soccombre se vivessimo abbastanza a lungo.


Invero, lo studio specializzato su persone oltre i 90 anni indica un 61,1 per cento di tasso di prevalenza della sindrome di demenza, in parte dovuta all'atrofia dell'ippocampo; ma potrebbe con altrettanta probabilità essere dovuta al ridotto flusso sanguigno o a piccoli eventi di tipo ischemico nella materia bianca del cervello (demenza multi-infartuale). Spesso queste cause "miste" si verificano insieme. Forse la demenza arriva semplicemente per il fatto di invecchiare, come conseguenza del declino del sistema vascolare e dell'età del cervello. Se è così, allora la causa principale della demenza è l'età, che non possiamo eliminare, anche se un grande sforzo di ricerca è in corso nella scienza di base dell'invecchiamento, nella speranza che il processo possa essere ritardato.


La demenza associata ad atrofia ippocampale può verificarsi nelle famiglie ad insorgenza precoce, causata da una rara mutazione autosomica dominante, in particolare dei geni presenilan PS1 e PS2 (l'esordio della malattia è in genere dopo i quarant'anni e la progressione è particolarmente rapida). È possibile parlare di queste malattie genetiche come di Alzheimer, ma potrebbero essere meglio denominate malattie PS1 e PS2, anche se è plausibile che possano essere esempi molto puri o "non miscelati" di Alzheimer.


Varie biologie, varie genetiche, varie età di insorgenza, varie progressioni e probabilmente varie malattie sono evidenti nella demenza e Alzheimer è un marchio che viene usato troppo ampiamente. Poichè la scienza di base dell'Alzheimer è diventata confusa, gli scienziati hanno difficoltà ad individuare gli obiettivi giusti per nuovi composti di attacco. Ad oggi non c'è nessun composto funzionante, naturale o innaturale, che ritardi, impedisca, rallenti, o curi questa atrofia dell'ippocampo che noi chiamiamo Alzheimer. Se, su una scala da uno a dieci, l'insulina vale dieci per il trattamento del diabete, questi inibitori della colinesterasi nella migliore delle ipotesi valgono 1, più probabilmente 0,05, per l'Alzheimer.


Il lascito di delusione è chiaro. Alla fine degli anni '80, Whitehouse e altri hanno avanzato l'ipotesi colinergica che, gonfiata dai media, si è rapidamente evoluta al punto in cui si diceva che gli inibitori della colinesterasi stavano per "curare l'Alzheimer". I risultati di questa intera linea di composti nel corso degli ultimi due decenni sono stati così limitati che molti medici ancora non li prescrivono, o non lo farebbero se mancasse la pressione delle famiglie.


Per quanto riguarda il ritardo e la prevenzione, la sostituzione ormonale per le donne in post-menopausa non solo non ha funzionato, ma in realtà ha contribuito a elevare i livelli di demenza. I farmaci anti-infiammatori hanno un impatto minimo o nullo. Gli inibitori della colinesterasi non hanno un impatto dimostrato di ritardo o prevenzione, e il loro impatto sul Parkinson è lieve, anche nel migliore degli scenari. La vitamina E non ha mostrato alcun beneficio, anche se per un po' molti amici neurologi hanno fatto ingurgitare pillole su pillole.


Un comitato del National Institute of Health nel 2010, dopo aver esaminato la letteratura scientifica mondiale, ha scoperto che "Attualmente, non esiste nessuna prova, anche di qualità scientifica moderata, per sostenere l'associazione di qualunque fattore modificabile (come integratori alimentari, preparati a base di erbe, fattori dietetici, farmaci con o senza ricetta medica, fattori sociali o economici, condizioni mediche, tossine, esposizioni ambientali) con una riduzione del rischio di Alzheimer ". Tanta onestà è lodevole, anche se il comitato sbaglia a sminuire gli studi su dieta, esercizio fisico e impegno sociale, a cui si allude nella prossima sezione.

 


Cambio di stile di vita

Le speranze di ritardo nella comparsa o della prevenzione possono essere concentrate in questa ricetta: andare a piedi (attività fisica) in un ristorante greco o italiano (dieta mediterranea), preferibilmente con gli amici (impegno pro-sociale).

Sembra plausibile che un tipo di dieta mediterranea può aiutare a prevenire la demenza (13). 2148 soggetti di Manhattan alta, di 65 anni o più, con un'età mediana di 78 anni al basale, sono stati seguiti per quattro anni. 253 hanno avuto diagnosticati di "probabile Alzheimer". Sono stati esaminati sette diversi modelli dietetici. Dopo l'aggiustamento per i fattori demografici, l'indice di massa corporea, l'apporto calorico e il rischio genetico, solo un modello è stato associato ai livelli più bassi di Alzheimer - un'enorme riduzione del 38 per cento in una finestra di quattro anni!


Abbinata a moderato esercizio fisico, la riduzione può essere considerevolmente maggiore (fino al 60 per cento in questo studio), ma l'impatto dell'esercizio è generalmente meno chiaro di quello della dieta (14). Questo modello dietetico riduttivo è grosso modo quello della dieta mediterranea (ortaggi a foglia verde, noci, pomodori, pesce e frutta, con poca o nessuna carne rossa, burro o grassi alti da prodotti lattiero-caseari). Questa dieta è già legata alla salute del cuore, e anche alla protezione contro alcune forme di cancro.


Ciò che è buono per il cuore è probabilmente buono per il cervello. Cosa aggiungere? Mangiare mirtilli (anti-ossidanti), controllare lo stress (che eleva i livelli di cortisolo, che è cattivo per i vasi e può essere correlata all'atrofia ippocampale), esercitare il corpo così come il cervello, e rimanere socialmente impegnati.


La salute vascolare è importante per mantenersi in buona salute e cognitivamente intatti. Infatti, nella misura in cui il genotipo APOE-e4 è un fattore di rischio, può essere a causa della sua associazione con i cambiamenti longitudinali neurologicamente diffusi nel flusso ematico cerebrale (15). Forse i greci avevano ragione ventitré secoli fa in quel vecchio passaggio di Ippocrate sulle misure dietetiche: "Io applicherò misure dietetiche a favore dei malati secondo le mie capacità e il mio giudizio; li preserverò dal male fisico e dall'ingiustizia".

 


Cura compassionevole

Ogni volta che ci avviciniamo a una persona profondamente smemorata con un tono di voce gentile, un'espressione del viso rassicurante, e lo chiamiamo per nome con un sorriso, stiamo partecipando ad un intervento che è altrettanto significativo di un [intervento] biotecnologico qualsiasi di cui sono a conoscenza.


Sono i carers compassionevoli che restano la migliore speranza, e che servono come antidoto alla violenza e ai valori machiavellici. I carers sono i fari di speranza ai quali va data riconoscenza e celebrazione per la profondità di impegno. Fanno pendere la bilancia sociale verso la bontà, non con singoli grandi atti di amore, ma piuttosto con piccole azioni quotidiane fatte con grande amore. Sono modelli per la capacità umana di accettare, affermare, e collegarsi con profondi smemorati (2).


La disumanizzazione delle cure mediche è ovunque.
Possiamo avere le capacità di auto-consapevolezza inflessibili e empatiche e la gratitudine per il privilegio di prendersi cura dei profondamente smemorati che esemplifica l'arte della guarigione? L'obiettivo di ogni incontro con una persona che è profondamente smemorato dovrebbe essere soprattutto queste tre cose, che vale la pena di ripetere: accettare, affermare, connettere. E questo è fondamentale per ogni sanitario in qualunque condizione, per quanto si possa tendere a dimenticare la natura di un rapporto di guarigione.


E' la nostra dignità ad essere in gioco. Dobbiamo mettere in discussione i poteri crescenti della biotecnologia per quanto riguarda la modifica e la presunta "valorizzazione" della stessa natura umana, perchè ciò non intende in alcun modo garantire il tipo di auto-miglioramento di cuore che riposa al centro della dignità umana. Botox, steroidi anabolizzanti, modificazione genetica per renderci più veloci e più forti, l'ormone umano della crescita per rendere i nostri figli un po' più alti (dopo le iniezioni quotidiane per diversi anni), e la promessa di una fonte di giovinezza non mi colpiscono come contributo alla nostra dignità umana (10).


Piuttosto, la dignità di esseri umani è già nostra, quando trattiamo un'altra persona con amore, ed è espressa nella celebrazione e nell'ascolto attento, nella creatività e nell'aiuto, nella lealtà e nel rispetto. Etimologicamente, la parola deriva dal latino Dignitas, che significa onore, elevazione e rispettabilità. Dobbiamo preservare la nostra propria dignità e si può fare solo conservando la dignità del profondamente smemorato.


Il primo principio di amore per le persone con disabilità cognitiva è quello di rivelare loro il loro valore, fornendo attenzione, preoccupazione e tenerezza. Ogni caregiver esperto sa che la persona con demenza, per quanto avanzata, di solito risponde meglio a qualcuno il cui effetto si sta affermando nel tono. Forme di benessere emotive, relazionali, estetiche e spirituali sono possibili a vari livelli nelle persone con deficit cognitivi. C'è una "cultura della demenza" che è utile a valorizzare gli aspetti emotivi e relazionali della qualità della vita. Ci sono indicatori di benessere nelle persone con demenza grave: l'affermazione di volontà o desiderio, di solito sotto forma di dissenso, nonostante modi persuasivi diversi; la capacità di esprimere una gamma di emozioni; l'inizio di contatti sociali (ad esempio, una persona con demenza ha un piccolo cane giocattolo che custodisce e pone davanti a un'altra persona con demenza per attirare l'attenzione); il calore affettivo (ad esempio, una donna vaga avanti e indietro nella struttura, senza socializzare molto, ma quando la gente le dice ciao, lei dà loro un bacio sulla guancia e continua il suo vagabondaggio) (3).


Jean Vanier, fondatore di L'Arche, mi ha dato due storie sulla forza dell'amore nella vita dei cognitivamente disabili, e le trasformazioni che coloro che li circondano a volte subiscono:

"La moglie di un amico, ricco uomo d'affari, ha sviluppato l'Alzheimer. Egli ha deciso di non metterla in un istituto, ma di prendersi cura di lei a casa. La nutre, le fa fare il bagno e si prende cura di tutti i suoi bisogni quotidiani. Non molto tempo fa mi confidò: 'Sto diventando più umano.' Il suo cuore si è risvegliato. Suo nipote ha detto a un mio amico: 'Sì, mio nonno è cambiato totalmente. Era così rigido e difficile. Abbiamo sempre dovuto guardarci di come ci comportavamo ai pasti. Ora, durante i pasti, la moglie dice un sacco di cose divertenti che non hanno molto senso. E il nonno è così dolce e gentile con lei e con tutti noi' ".


E un'altra storia da Carol Sifton Bowlby del Canada:

"Possiamo scegliere di lamentarci, di essere persi e soli, oppure possiamo scegliere di cercare la gioia in quello che facciamo e permettere che rinnovi la nostra determinazione. A volte la gioia ci trova. Può assumere la forma di uno sguardo fugace di riconoscimento e un caldo abbraccio dalla persona amata con demenza. Può assumere la forma di una risata condivisa da uno stupido errore, parole condivise di una preghiera familiare, o di testi condivisi da una vecchia canzone cantata da stonati. A volte la gioia è presente, ma noi siamo troppo occupati per riconoscerla (4). Queste sono storie di persone che si avvicinano a quelle con disabilità cognitive e, nel processo, si risvegliano ad una vita di amore più grande.

 


Il Sé duraturo

Una persona con demenza è raramente "andata", come possiamo superficialmente supporre. I carers segnalano ampie aperture alle sorprese (1) (4). Ci sono quei momenti, spesso la mattina presto dopo aver dormito bene, quando una persona con grave demenza ci sorprende con una parola significativa, un momento di riconoscimento. Tali eventi sporadici scoprono una auto-identità che è più duratura di quanto immaginano le teorie sugli stadi della progressione. Una persona incapace di conversare può partecipare con gli altri al verso di una canzone profondamente amata. I barlumi di una presenza più piena meritano il nostro rispetto.


Pertanto, siediti, stabilisci un contatto visivo, e chiama la persona per nome come se aspettassi una risposta che potrebbe non venire oggi. Questa azione è più che simbolica. E' come affermiamo il sé duraturo. "Rispetto" deriva dal latino re-spectare, "ri-guardare". Quando ri-guardiamo il profondo smemorato con attenzione, senza distrazioni, possiamo vedere una presenza sotto la superficie del declino. Il nostro compito è di affermazione e di connessione.


Memories in the Making è un programma a livello nazionale che esplora se le persone affette da demenza possono rivelarsi attraverso l'arte. Molti artisti provenienti da tutto gli Stati Uniti ora agiscono come volontari per portare questi programmi nella maggior parte delle principali città e cittadine. Abbiamo scoperto che, anche nelle fasi più avanzate della demenza, le persone esprimono residui di auto-identità. Potrebbero non essere in grado di comunicare con la parola o procedere dal punto A al punto B nel corso del tempo. E' vero, per lo più vivono nel puro presente, ma dobbiamo essere molto attenti a non presumere che la colla connettiva tra presente e passato sia sparita completamente. Talvolta, tali ipotesi evaporano quando diamo l'opportunità a queste persone di esprimere la loro auto-identità attraverso la ricreazione di un simbolo.


In Ottobre 2006, il Columbia Daily Tribune (Missouri) ha pubblicato un articolo che comprendeva una storia di un uomo con demenza, che si è aggrappato al suo cappello da cowboy, fino alla fine della sua vita, anche in bagno e a letto. Si è scoperto che ha lavorato nelle fabbriche di acciaio di Cleveland e vestiva "Country & Western". Sapeva che la sua identità era in qualche modo connessa con quel cappello da cowboy. L'articolo termina con un commento di Debra Brook, direttrice locale dell'Associazione Alzheimer in Colombia, che ha raccontato di un anziano con demenza che, appena in grado di comunicare, non riconosceva più sua figlia. "Quando l'uomo si iscrisse al programma Memories in the Making, ha lavorato per settimane disegnando una serie di linee orizzontali e diagonali su carta. Quando gli è stato chiesto cosa stesse disegnando, improvvisamente sbottò in: "Indicazioni per raggiungere la casa di mia figlia' ". Nonostante il suo declino, questo signore era ancora in grado di esprimere l'amore per la figlia attraverso la creatività, e anche se avesse potuto comunicare con lei nel presente, o anche identificarla quasi tutte le mattine, ha tuttavia vissuto per lei e in relazione con lei.


Spesso siamo stupiti dal momento inaspettato al mattino, dopo una buona notte di riposo, quando una persona gravemente demente si rivela sorprendentemente intuitiva (1). Anche in questo caso, la letteratura aneddotica è piena di esempi di intuizione sporadica, come evidenziato da parole emesse o parole canticchiate di una vecchia canzone, che un tempo era significativa e lo è rimasta. Sappiamo di persone che non hanno comunicato verbalmente per mesi e sono state attivate dalle parole di una canzone che amavano anni prima.


Le persone con demenza possono focalizzare la loro auto-identità sul passato anziché sul presente o il futuro. Lasciatemi fare un esempio di una esperienza trasformativa che ho avuto alcuni anni fa:

Ho incontrato il signor G. nel 1988 in una casa di cura di Chardon in Ohio. Mi ha insegnato che l'amore è la realtà ultima che lega insieme le nostre vite. Ho letto un breve aneddoto della sua vita, e mi sono seduto a parlare con lui.

Gli ho chiesto come stavano andando i suoi figli. Anche se non riusciva a capire o rispondere, mi pose un ramoscello tra le mani e mi ha fatto un grande sorriso caldo. L'ho ringraziato e gliel'ho restituito. Ho chiesto all'infermiera di raccontarmi del ramoscello. Ha detto che quando il signor G. era un ragazzino che cresceva in una fattoria dell'Ohio, amava molto suo padre. Ogni mattina, il padre dava al ragazzo il compito di portare dentro la legna per accendere il camino.

Il signor G. era ritornato a ritroso nel tempo alla sua fanciullezza, ad un periodo di amore paterno che gli dava un rifugio emotivo sicuro. Il ramoscello era un simbolo profondo di chi era e di chi è.

Ho imparato dal signor G. che, anche quando il presente è un caotico ronzio di esperienze non interpretabili, una persona con demenza può trovare un rifugio sicuro e la tranquillità emotiva nel passato.

 


Una evoluzione spirituale-culturale

Credo che vedremo un allontanamento spirituale-culturale dall'ideologia dei valori "iper-cognitivi" (16), che purtroppo ci hanno resi ciechi, al sè duraturo che è alla base della profonda smemoratezza.


Come possiamo incontrare il profondamente smemorato all'esterno delle ideologie iper-cognitive? Come possiamo testimoniare la realtà che le persone con queste disabilità cognitive possiedono qualità intrinseche, e creare una cultura in cui vengono accolti tutti e celebrati a prescindere dai limiti cognitivi e dalle vulnerabilità? E' eticamente importante che la persona con demenza non sia giudicata dai valori "iper-cognitivi". Il sè non è solo conoscenza, ma piuttosto un'entità complessa con aspetti emotivi e relazionali che dovrebbero essere considerati moralmente significativi e degni di affermazione.


La razionalità è un campo troppo grave della morale, che consente, se non richiede, la morte relazionale ed emotiva di molti individui che possono, infatti, continuare a godere dei piaceri semplici, nonostante la loro mancanza di razionalità. La giusta risposta morale alle persone affette da demenza, secondo il pensiero etico classico occidentale e le concezioni relative di decenza umana comune, è quello di allargare il nostro senso di dignità umana per contrastare l'accento che causa la razionalità, l'uso efficiente del tempo e dell'energia, la capacità di controllare gli impulsi di distrazione, la parsimonia, il successo economico, l'autonomia, l'autocontrollo, la "vantaggio della lingua", e simili.


I pericoli della dimenticanza sono particolarmente evidenti nella nostra cultura di indipendenza e di produttività economica, che valorizza così l'intelletto, la memoria e l'autocontrollo. Eppure, il benessere emotivo, relazionale, estetico e simbolico sono possibili a vari gradi in persone affette da demenza progressiva. In generale, la qualità della vita è una profezia che si auto-avvera. Se quelli attorno alla persona con demenza vedono il bicchiere mezzo vuoto e non fanno sforzi per relazionarsi alla persona in modo tale da migliorare la sua esperienza, allora la qualità della vita è minima.


Un'adeguata vita etica, teorica o morale, ci richiede di includere tutti all'interno del dominio morale di cura e rispetto. Questo universalismo afferma che tutte le vite umane hanno la stessa statura morale con l'eccezione di coloro che sono morti secondo i criteri di morte cerebrale. Vi è una tendenza preoccupante, tuttavia, di escludere gli esseri umani dalle preoccupazioni morali, mentre sono ancora tra i vivi. Ciò si verifica più di frequente quando noi differenziamo "loro" da "noi", spersonalizzando e disumanizzando gli altri per motivi di razza, classe, genere, età, cultura o disabilità cognitive, tra cui l'oblio.


Alcuni anni fa ho coniato il termine "valori ipercognitivi" (16) nel discutere contro i cosiddetti moralisti che diminuiscono lo stato morale di quelli deteriorati cognitivamente. I cognitivamente limitati cadono al di fuori del campo di protezione del "non nuocere", essi sostengono, anche se la loro morte dovrebbe essere indolore (17).


Diamo troppa importanza alla destrezza cognitiva. I grandi filosofi stoici hanno fatto molto per la situazione morale umana universale, sottolineando la scintilla della ragione (logos) in tutti noi. Questo è, tuttavia, una visione arrogante, nel senso che rende il valore di un essere umano totalmente dipendente dalla razionalità, e quindi dà troppo potere alla ragione. Reinhold Niebuhr ha scritto della tradizione dagli stoici, che ha continuato senza interruzioni in Kant, Locke, e i moderni bioetici, che, "poiché il principio divino è la ragione, la logica dello stoicismo tende a includere solo gli intelligenti nella comunità divina. Una condiscendenza aristocratica, dunque, corrompe l'universalismo stoico" (18).


Con facilità sminuiamo coloro la cui memoria è dissipata, trattandoli con indifferenza o addirittura con crudeltà.
Ci comportiamo come se non ci fossero. Una volta (meno di sette decenni fa), il passo tra l'eliminazione fisica e psichica si dimostrava notoriamente breve. Come parte del programma di sterminio nazista, conosciuto come T-4, le persone affette da demenza, selezionate per gli esperimenti di ipotermia, venivano portati nei manicomi tedeschi e lasciati congelare all'aria fredda durante la notte. La memoria è una forma di potere. A volte prendiamo in giro e ignoriamo coloro che hanno perso tale potere, mandando il messaggio che la loro stessa esistenza si fonda su un errore (2).


Che dire dell'opzione suicidio assistito volontario? Qui non ho voglia di essere troppo critico, anche se io non sono un fautore. La razionalità che i filosofi selezionano come considerazione morale è generalmente limitata a una proprietà. Essi definiscono la razionalità procedurale come la capacità di fare certe cose, come agire in modo coerente in base di un pensiero chiaro, arrivare alle decisioni via deliberazione, prevedere un futuro per se stessi, e così via. Ma, in realtà, piuttosto pochi di noi affrontano la vita con razionalità coerente (19). Noi agiamo su emozioni, intuizioni, impulsi, e simili. Passiamo attraverso periodi di irrazionalità considerevole a causa della variazione di umore. La razionalità come capacità decisionale non è moralmente importante. E' la razionalità come fonte della propria identità che conta - vale a dire, "chi" siamo, piuttosto che "come" si procede.


Il nostro compito come agenti morali è quello di ricordare alle persone con demenza la loro identità continua, e chi sono. Dobbiamo servire come protesi (20), colmando le lacune e attendendo che, ora e di nuovo, gli spunti che offriamo si connetteranno alla persona e forse provocheranno anche una risposta verbale o affettiva sorprendente. In altre parole, il nostro compito è quello di preservare l'identità. E' per questo motivo che molti reparti per profondi smemorati nelle case di cura, pubblicano i profili biografici alle porte degli ospiti, oppure i familiari ricordano alla persona cara gli eventi e le persone che sono state significative lungo il cammino della vita. Dobbiamo vedere il bicchiere della auto-identità come mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto, e capire che le metafore come "andato" o "involucro vuoto" sono disumanizzanti ed empiricamente sospetti.


Immaginiamo un mondo in cui noi tutti riconosciamo i più smemorati, vulnerabili, deboli, impresentabili e dipendenti come indispensabili per vivere le nostre buone vite.
Immaginiamo un mondo in cui la dolcezza, la pazienza, la cura che calma trionfano sull'ostilità e sulla violenza. Immaginiamo un mondo nel quale si considera la cura per il profondo smemorato un privilegio e una speranza. Immaginiamo che noi esseri umani possiamo davvero vivere insieme in unità, pace e accoglienza, senza pareti tra chi ricorda e chi è profondamente smemorato. Immaginiamo un mondo in cui la frenesia cede il passo alla presenza, l'arroganza dell'iper-cognitivo all'ospitalità.


Nella sua opera classica, Dementia Reconsidered: The Person Comes First (Riconsiderare la demenza: la persona viene prima) (3), Tom Kitwood definisce l'amore nel contesto della cura della demenza, comprendendo il conforto nel senso originario di tenerezza, di vicinanza, di calma dall'ansia, e di legame. Kitwood definisce i principali bisogni psicologici delle persone con demenza in termini di cura o di amore. E' partito dalle narrazioni dei caregivers per affermare che le persone affette da demenza vogliono amore, "un'accettazione generosa, tollerante e incondizionata, un dare emozionale con tutto il cuore, senza alcuna aspettativa di ricompensa diretta".


Il primo componente dell'amore è il conforto, che include la tenerezza, il calmare l'ansia e i sentimenti di sicurezza basati sulla vicinanza affettiva. E' particolarmente importante per la persona con demenza conservare il senso delle sue capacità perdute. L'attaccamento, il secondo componente dell'amore, comprende la formazione di legami specifici che aumentano la sensazione di sicurezza. L'inclusione in esperienze sociali, l'occupazione in attività che si basano su capacità e poteri della persona e, infine, l'identità sono componenti importanti dell'amore.


L'amore è una sorta di risurrezione per i disabili, e lo è anche per noi stessi. Abbiamo sparso la grazia sulle vite di coloro che ricevono come pure su quelli che danno (20).

 


Conclusioni

Speriamo che i progressi biomedici ci sorprenderanno con nuovi passi avanti, e forse questi sono dietro l'angolo. Ma sembra più promettente farsi trovare impegnati a lungo termine in uno stile di vita che porta un invecchiamento sano, con una particolare attenzione alla dieta, all'esercizio fisico, e impegno pro-sociale. Il fondamento stesso della speranza sta ancora nella capacità umana di prendersi cura, e nel riconoscimento del sè duraturo che sta alla base degli strati di demenza che, in una certa misura, è sostenuta e sopportabile. Con una evoluzione sufficiente, la società in generale può arrivare a un punto in cui i valori iper-cognitivi diventano secondari, e con il bene comune in vista ci rifiutiamo di ignorare il profondo smemorato.


Permettetemi di concludere con la seguente e-mail scritta da una figlia, appena dopo che il padre è deceduto:

"Ciao Cari amici: Come molti di voi sanno, mio padre era affetto da Alzheimer negli ultimi 4/5 anni. E' stata una strada lunga e spesso molto difficile per lui, per mia mamma, e anche per me. Tuttavia, a partire dalle 7 di ieri sera, mio padre non deve più lottare con la malattia che lo ha derubato di ogni parte del suo essere, tranne uno. Non ha mai smesso di riconoscere per una volta mia madre e mai, mai ha smesso di cercarla per darle un bacio. Non importa quante parti della sua personalità sono state perse, non importa quante visite in ospedale pieno di aghi e cateteri, non importa quanti pannolini, ha sempre conservato la sua natura, la dolcezza gentile e dolce e i suoi modi europei di gentiluomo. Alla fine, le cose sono andate molto velocemente per lui. Ha semplicemente chiuso gli occhi e ha chiuso la bocca, indicando di non volere più né cibo né acqua.


Il signore di cui sopra era in fase avanzata e terminale di demenza e, pertanto, caratterizzato da una combinazione di incapacità di comunicare con la parola, riconoscere persone care, mantenere il controllo dell'intestino e/o della vescica, deambulare senza assistenza, e mangiare senza assistenza. E nonostante tutto, sembra aver beneficiato ampiamente del dare e ricevere amore, in coerenza con il contesto relazionale che trovava significativo nel corso della sua vita. Le sue espressioni sottili di continuità nello sperimentare soggettivamente e manenere il senso di identità permanente sono stati rispettati e nutriti.


San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, ci dice di parlare in spirito di amore, e che senza questo spirito le nostre parole sono disdicevoli: "Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba, o come cimbalo che strepita". E' il tono affettivo delle nostre parole, le nostre espressioni facciali, e le nostre azioni che portano i cognitivamente disabili nella luce dell'amore. E scopriamo in questo scambio che i disabili possono ancora sorridere e apprezzare la nostra affermante presenza.

Il mondo scientifico potrebbe arrivare con qualche composto meraviglioso. Ma la battaglia scientifica per fare un mondo senza la demenza è meno utile nell'immediato dei nostri sforzi per trovare un senso nella cura e nell'amore dello smemorato profondo. Ed è così che ci riuniamo qui a Londra per celebrare migliaia di caregivers per il loro amore compassionevole, il loro coraggio, la loro vivacità innovativa, ed i loro risultati sorprendenti di ogni giorno. Noi, come società, dovremmo fornire tutti del supporto necessario, e resistere ai barbari che hanno bussato alla porta nel passato e hanno provocato un grande caos. Poichè la linea tra l'accettazione, l'affermazione e la connessione, da un lato, e l'esclusione iper-cognitiva dall'altro, è troppo spesso sottile. Voi siete il proverbiale sale della terra, e possiate continuare ad ispirare un mondo migliore.

 

 

 

REFERENZE

(1) Sabat S. The Experience of Alzheimer’s disease: life through a tangled veil. Oxford: Blackwell; 2001.

(2) Post SG . The moral challenge of Alzheimer disease: ethical issues from diagnosis to
Dying. 2nd edition. Baltimore. Md.: The Johns Hopkins University Press; 2000


(3) Kitwood T. Dementia reconsidered: the person comes first. Philadelphia, PA: Open University Press; 1997.

(4) Bowlby SC. Navigating the Alzheimer’s journey: a compass for cargiving.
Baltimore, MD: Health Professions Press; 2004

(5) Hughes JC, Louw SJ, Sabat SR, editors. Dementia: mind, meaning, and the person. Oxford: Oxford University Press; 2006.

(6) Whitehouse PJ. The myth of Alzheimer’s disease: what you aren’t being told about today’s most dreaded diagnosis. New York: St. Martin’s Griffen; 2008

(7) DeMarco B. Lilly semagasestat failure casts shadow on amyloid hypothesis. August 18, 2010.

(8) De Meyer G, Shapiro F, Vanderstichele H, Vanmechelen E, Engelborghs S, De Deyn PP,
Coart E, Hansson O, Minthon L, Zetterberg H, Blennow K, Shaw L, and Trojanowski JQ. Diagnosis-independent Alzheimer disease biomarker signature in cognitively normal elderly people. Archives of Neurology, 2010; 67(8): 949-956.

(9)Corrada MM, Brookmeyer R, Berlau D, Paganini-Hill A, and Kawas CH Prevalence of dementia after age 90: results from the 90+ study. Neurology, 2008; 71(5): 337-343.

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Stephen PostScritto da Stephen Post, autore del best-seller I doni nascosti dell'aiutare (2011), e direttore del Center for Medical Humanities, Compassionate Care and Bioethics alla Stony Brook University. Il suo libro La sfida morale dell'Alzheimer: Questioni etiche dalla diagnosi alla morte è stato selezionato come "Medical Classic del secolo" dal British Medical Journal (2009). Ha ricevuto il Distinguished Service Award dal Consiglio Nazionale dell'Associazione Alzheimer "In riconoscimento del contributo personale e professionale all'Alzheimer's Association su questioni etiche importanti per le persone con Alzheimer e alle loro famiglie" (1998).

Pubblicato in Alzheimer's Reding Room il 20 febbraio 2012- Traduzione di Franco Pellizzari.

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