Quando si è dinanzi a malattie degenerative come le demenze, la casa di riposo non è affatto un’opzione ma, l’ultima spiaggia alla quale, nella stragrande maggioranza dei casi, si arriva dopo anni di assistenza a casa propria.
La casa di riposo è una tappa. Non è una scelta, semplicemente perché non siamo nelle condizioni di poter scegliere, altrimenti sceglieremmo di restare a casa nostra. Oppure, se fossimo danarosi, ci sceglieremmo una clinica per vip .
“domiciliare” non è “bello” e neanche “struttura” lo è. Si tratta di due fasi, due momenti, non di due opzioni.
L’insufficienza perenne delle risorse per questo genere di emergenze mi scandalizza molto soprattutto se penso a quanti di noi stanno toccando la soglia della povertà per pagare le rette.
Sento ormai troppo spesso dire:. "Solo la famiglia batte l'Alzheimer, investire di più sull'assistenza domiciliare”. Leggo di centri diurni, progetti sperimentali e sistemi integrati.
Sento spesissimo dire che il Veneto ha da anni il primato della buona sanità poiché da sempre evidenzia il problema dell’innalzamento dell’età e di conseguenza degli effetti dell’ Alzheimer (problema strettamente connesso)
Tutti d'accordo sentendo ciò, medici, politici, sacerdoti e quanti sono presenti a vari convegni. In tali convegni si ribadisce inoltre sempre che la famiglia è indispensabile per aiutare chi è affetto da Alzheimer soprattutto perché la spesa è meno onerosa per il sistema sanitario nazionale
Che le sopraccitate categorie possano esserlo non mi turba, ma trovo demoralizzante che lo siano i familiari.
In realtà dalla famiglia non ci si è mai spostati proprio perché è più economico per il servizio sanitario nazionale. I familiari, quelle persone così indispensabili, vivono un'esperienza talmente totalizzante e devastante che un domani, quando il compito di assistenza forzata giunge a termine, si accorgono di essere incapaci di normalità e di integrazione diventando loro stessi i volontari per la demenza.
Un altro problema sicuramente non secondario è trovare la casa di riposo adatta al malato di alzheimer poiché,i nostri cari solitamente sono posizionati in strutture sia per i sufficienti che per i non autosufficienti e, molti sapranno che, se un istituto per anziani somiglia troppo ad una clinica, ne può risentire l'equilibrio dei ricoverati non affetti da Alzheimer i quali possono sentirsi turbati in un ambiente semi-ospedaliero in cui efficienza e "tecnicismo" devono prevalere sull'aspetto umano.
E gli anziani, si sa, hanno bisogno delle loro certezze, dei loro rituali quotidiani.
Se si parla di autosufficienti é un conto, ma se si tratta di anziani con malattie croniche, sofferenti e bisognosi di cure, magari dimessi dall'RSA, come molto spesso accade, é chiaro che il servizio più necessario non é certo solo quello "alberghiero".
Pertanto ritengo che il concetto di "casa di riposo" meriterebbe una ridefinizione.
La potremmo definire “Una specie di pensionato che offre vitto e alloggio a gente sola e senza famiglia” oppure, come di fatto é invece,” l'ultima spiaggia su cui dirottare i casi difficili e soprattutto cronici, quelli che sono in "fase acuta" costantemente” e …..aggiungerei, per questo figli di una sanità minore visto che il costo pesa sulla famiglia.
Chi arriva lì, (solitamente il famigliare che accudisce) non dimentichiamolo, ci arriva perché non può scegliere e soprattutto perché é debole. Potenzialmente "ricattabile" (vedi le firme sui contratti delle case di riposo quasi una estorsione) perché se le cose non gli vanno bene, la porta é aperta. E di alternative non ne ha se dappertutto é così e a casa l'assistenza é difficilissima se non impossibile.
Io credo che occorra una struttura che sia a metà strada tra la "medicalizzata" RSA e la più rassicurante (ma generica) casa di riposo. …forse ….continuo a sognare!!!
Dell’Alzheimer se ne parla e direi finalmente, ci si sofferma sul quanto drammatica sia la malattia, di come evolva, di come sia in crescita esponenziale in una società sempre più anziana ma, finchè ci si limiterà a ringraziare di esistere i familiari che accudiscono e i volontari, non cambierà mai un bel niente. Ci vuole ben altro.
Ma soprattutto bisognerebbe dire basta ai politici istituzionali sulle loro esternazioni di promozione del volontariato al solo fine di scaricarsi la coscienza e pareggiare i bilanci. Le Istituzioni fanno in realtà ancora ben poco, concedendo "generosamente" degli spazi per tavole rotonde e dibattiti...Per poi poter dire di non essere insensibili e di aver predisposto interventi per il semplice fatto di parlarne. O a volte neanche quello.
Sono incazzata perchè mai nessuno prende una posizione ferma. Nessuno che conduca mai una BATTAGLIA, che rifiuti di legare il suo buon nome di medico, di amministratore, di assistente sociale, di direttore, di pubblico-rappresentante-con-ruolo-potenzialmente-chiave, all'indecenza. All'indecenza che siccome è generalizzata passa pure per giusto standard accettabile. E nessuna psicoterapia da gruppo di auto-aiuto potrà mai lenire la rabbia. La rabbia di fronte all'indecenza.
È noto come lo stress intenso derivante dall’assistenza possa incidere sull’equilibrio e soprattutto sulla motivazione di chi opera a stretto contatto con i malati più impegnativi.
Ma del logoramento del famigliare a chi interessa? Secondo me ci si dimentica delle motivazioni che hanno reso inevitabile il ricovero in struttura e del fatto che oltre allo “sfinimento” degli addetti ai lavori esista anche quello della famiglia, che tra l’altro inizia molti anni prima dell’arrivo in casa di riposo. Lo stress del congiunto che maggiormente si occupa del malato è determinato dal carattere totalizzante dell’assistenza che un paziente di questo tipo richiede: l’agitazione psicomotoria notturna ne è l’aspetto più pesante (non eliminabile con l'uso di psicolettici e ansiolitici) e a lungo andare pregiudica anche la salute dello stesso congiunto (famigliare).
Con l’entrata in casa di riposo non è che le problematiche svaniscano per incanto, diciamo che assumono altre forme. E poi il fatto di doversi avvalere di un aiuto privato anche all’interno delle strutture, se si vuole più sorveglianza, sarà sintomatico di qualcosa? Perché l’assistenza continua anche in struttura, sapete? Non si arriva lì per sbolognare un pacco pesante. Il fatto è che l’idea del deposito postale è ancora troppo, erroneamente radicata.
Pur essendo in una fase in cui ha esaurito le risorse ed è in grado di offrire solo il suo sostegno affettivo, il famigliare deve comunque raccogliere le forze ed integrare l’assistenza, direi quasi “per definizione” carente qualsiasi sia la struttura. Molti vademecum sull’Alzheimer definiscono “sindrome da supercoinvolgimento”, Sono convinta che tale “sindrome” sia inversamente proporzionale alla qualità dei servizi assistenziali rivolti ai malati di demenza.
Per potersi fidare occorre sapere di poter contare su un’assistenza di buon livello, completa e competente. Questo presunto “supercoinvolgimento” da parte del parente non credo sia ingiustificato se si considera la realtà delle case di riposo; tra l’altro viene anche pagato a caro prezzo esistenzialmente, sia perchè implica sacrifici notevoli, sia perché giudicato come uno sforzo inutile e insensato dato il tipo di decorso della malattia.
Anziché liquidare le ansie dei familiari semplicisticamente come “problemi di accettazione”, spostiamo piuttosto l’accento sull’inesistenza di nuclei protetti e sulla (generale) inadeguatezza di quello che c’è. È infatti opinione comune che occorra avere un atteggiamento realistico di fronte a queste cose, perchè “nella media è così”. Allora questa come la si dovrebbe definire, “sindrome del farsela andar bene?”
Quando stà per arrivare il 21 settembre, la data per non dimenticare chi dimentica, vengo sempre assalita da sentimenti e pensieri contrastanti.
Non ho niente contro seminari e conferenze ma ho una insofferenza per le frasi ricorrenti. Frasi come «vanno formati i familiari». il familiare. Non trovo sia necessario doverlo educare sul fatto che non può avere un’assistenza one-to-one e 24 ore su 24, o che vi sono molti altri con le sue stesse esigenze, (anche se qui però si potrebbe dire «a maggior ragione»…). Sono cose che impariamo da subito e da soli, garantito.
Dico che si dovrebbe fare formazione ad alti livelli, cambiando i destinatari e mantenendo i contenuti che vengono indirizzati alla solita triade familiari-volontari-operatori. Bisogna istruire chi detiene il potere decisionale, non noi. Aggiornare chi ha o non ha abbastanza volontà politica. Insomma a tutte le figure potenzialmente chiave. Ma di certo non a noi.
Le grandi frasi “I familiari bisogna educarseli, magari proprio loro diventeranno i volontari di domani”. E mi incazzo di nuovo … Perché se in futuro mi chiedessero di operare come volontaria risponderei di no. No perché sono satura. No perché sono stata in stress per anni e dello stress dei familiari non frega niente a nessuno, sei un familiare è tuo dovere.
Per chi lo sceglie come lavoro il coinvolgimento non solo è diverso ma non và sicuramente incontro allo stesso stress, poiché fa parte di una scelta.
Da “familiare autodidatta” non coltivo la speranza che mia madre possa vedere dei cambiamenti in tempo, se mai ci saranno non saranno a breve, è ovvio. Il tempo. Così interminabile e nonostante tutto così breve. Penso spesso agli opuscoli e ai manuali che ho raccolto, agli articoli e alle pubblicazioni che ho letto, alle lettere che ho scritto. Con la conclusione che siamo ancora qui, più o meno ancora con gli stessi argomenti di allora, quando cominciavo a informarmi. Perché i famigliari guardate che si informano, se la vanno a cercare da soli l’informazione. È un alibi quello del formare e informare adeguatamente.
Il punto è che adesso sono stanca anche d’informarmi. Sono stanca. Stanca. Stanca. Non coltivo speranze e vivo alla giornata, anche se è quella dell’Alzheimer, non mi entusiasmo perché so che domani mattina non cambierà in realtà un niente. L’Alzheimer si “risolve”, per il malato e la sua famiglia, quando si dissolve, la persona che ne è affetta, nell’infinito.
da giulia