Una nuova ricerca della University of Massachisetts suggerisce che i geni che estendono la durata della vita non migliorano necessariamente la salute in età avanzata.
Uno studio sul verme longevo C.elegans mutante, eseguito da scienziati della University of Massachusetts, dimostra che i vermi geneticamente modificati passano una parte maggiore della loro vita in uno stato di fragilità e sono meno attivi quando invecchiano, rispetto ai nematodi tipici.
Questi risultati, pubblicati in Proceedings of the National Academy of Sciences, suggeriscono che i geni che aumentano la longevità non possono aumentare in modo significativo la vita in buona salute e puntano alla necessità di misurare la salute nell'ambito dei studi futuri sull'invecchiamento.
"Il nostro studio rivela che, se vogliamo trovare i geni che ci aiutano a rimanere fisicamente attivi mentre invecchiamo, quelli che ci permetteranno di giocare a tennis a 70 anni come se ne avessimo 40, dobbiamo guardare oltre la longevità come unico criterio. Dobbiamo cominciare ad esaminare nuovi geni che potrebbero avere un ruolo nell'«healthspan» [arco di salute]", ha detto Heidi A. Tissenbaum, PhD, professore di biologia molecolare, cellulare e del cancro e di medicina molecolare alla UMass Medical School, e ricercatore principale dello studio.
I progressi genomici e tecnologici hanno permesso agli scienziati di identificare i diversi gruppi di geni che controllano la longevità del C.elegans, un nematode usato come sistema modello per studi genetici in laboratorio, come il lievito e i moscerini della frutta. Questi geni, quando sono esaminati, hanno degli analoghi nei mammiferi. L'assunto di base degli scienziati è sempre stato che estendere la durata della vita aumenterebbe anche il tempo trascorso dall'organismo in uno stato di salute. Tuttavia, per varie ragioni, la maggior parte degli studi hanno esaminato in dettaglio questi animali modello solo mentre erano ancora relativamente giovani e hanno evitato di esaminarli nell'ultima parte della vita.
Sfidando l'ipotesi che longevità e salute siano intrinsecamente collegate, il Dr. Tissenbaum e i colleghi si sono proposti di indagare quant'erano sani i longevi C.elegans mutanti mentre invecchiavano. "Il termine «healthspan» [arco di salute] è poco definito in laboratorio, e nel C. elegans sono stati identificati solo alcuni parametri per misurare la salute", ha detto Tissenbaum. "Così abbiamo deciso di creare una definizione di «healthspan» identificando i tratti che potrebbero essere facilmente verificabili e misurabili, mentre i vermi invecchiano".
Identificando sia la fragilità che il movimento come attributi fisici misurabili che declinano nel nematode con l'età, e che potrebbero essere testati, Ankita Bansal, PhD, ha preso quattro diversi campioni C.elegans mutanti (DAF-2, eat-2, IFE-2 e CLK-1), noti per vivere più a lungo dei nematodi tipici e ne hanno misurato la resistenza allo stress termico, lo stress ossidativo e i livelli di attività sui solidi quando invecchiavano.
Quando Tissenbaum ed i suoi colleghi hanno confrontato questi risultati con quelli dei nematodi normali hanno trovato che tutti gli animali - normali e mutanti - calano fisicamente nell'invecchiare. E, a seconda del modello di mutante e del tratto da misurare, ognuno cala ad un ritmo diverso.
Hanno scoperto che i vermi mutanti, pur avendo durata maggiore di vita, hanno trascorso una percentuale maggiore della loro vita ad un ritmo inferiore del 50 per cento della funzione massima misurata, rispetto ai nematodi normali. La maggiore durata della vita vissuta dai mutanti è stata passata, invece, in uno stato fragile e debilitato.
"Ciò significa che i nematodi mutanti vivono più a lungo, ma la maggior parte di quell'extra tempo non è salutare per il verme", ha detto Tissenbaum. "Anche se abbiamo visto un po' di estensione di certe caratteristiche della salute mentre i mutanti invecchiavano, la compensazione è sempre stata un periodo prolungato di fragilità e inattività per l'animale. Infatti, in termini percentuali di durata totale, i vermi normali hanno trascorso più tempo in uno stato di salute rispetto ai mutanti longevi".
Le implicazioni per gli scienziati, secondo Tissenbaum, sono che l'insieme dei geni che influenzano la longevità può essere distinto dai geni che controllano l'«healthspan». "Questo studio suggerisce che c'è un gruppo separato e inesplorato di geni che ci permettono prestazioni fisiche superiori con l'aumetare dell'età. Quando studiamo l'invecchiamento non possiamo più guardare alla vita come un unico parametro; dobbiamo anche prendere in considerazione la salute come fattore distinto in sè stesso".
Fonte: University of Massachusetts via EurekAlert! (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Ankita Bansal, Lihua J. Zhu, Kelvin Yen, Heidi A. Tissenbaum. Uncoupling lifespan and healthspan inCaenorhabditis eleganslongevity mutants. Proceedings of the National Academy of Sciences, 2015; 112 (3): E277 DOI: 10.1073/pnas.1412192112
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